Una bestia chiamata Occidente: la discesa nella pazzia

Presentando questa terza e ultima parte dello scritto di Alastair Crooke, voglio fare una piccola prefazione al riguardo. Sebbene riconosca la validità della maggior parte delle cose da lui dette (non tutte), la visuale complessiva del suo scenario meriterebbe di essere ulteriormente ampliata. Il materiale contenuto in questi tre articoli potrebbe in futuro venire utilizzato in questo blog come riferimento per degli studi ulteriori riguardanti i cicli e i ricorsi-mutamenti nella storia. In particolare penso a una certa analogia che, se non ricordo male, mi venne riferita da Mediter (“http://mondo-simbolico.blogspot.com/“), tra le tensioni europee che seguirono la Rivoluzione francese e le tensioni europee a cui si sta assistendo dal 2006-2012 in avanti. Quelle di duecento anni fa sarebbero state risolte dal Congresso di Vienna nel 1815, da cui sarebbe uscita fuori una Restaurazione (un “voler ritornare a prima di Napoleone e della Rivoluzione”) la quale però non fu MAI completa e, anzi, dovette sempre tener conto dei cambiamenti mai visti prima sopraggiunti nei due decenni precedenti.

Tenendo presente queste cose che ha notato Mediter, ho pensato a una possibile analogia tra i periodi storici 1760-1820 e 1976-2036. Il primo di questi ha origine, seguendo gli studi di Igor Sibaldi, nell’anno in cui “una bestia chiamata ‘Occidente’ emerse dalle acque della storia precedente”, grazie a tre dinamiche in particolare: 1) La guerra dei sette anni in cui furono coinvolte per la prima volta tutte le potenze europee in tutto il mondo, Asia, Africa e America comprese; 2) L’inizio in Inghilterra di quella che si sarebbe chiamata “rivoluzione industriale”; 3) L’inizio in Francia del modo di pensare razionale e scientifico anti-religioso anti-tradizioni chiamato “illuminismo.” Tutto questo, nei sessant’anni seguenti, sarebbe confluito nella nascita degli Stati Uniti, nella Rivoluzione francese, negli sconvolgimenti napoleonici e infine – con la Restaurazione uscita dal Congresso di Vienna – nel frenare gli slanci troppo violenti (e per certi versi troppo in anticipo sui tempi) della Rivoluzione e di Napoleone.

Duecentosedici anni dopo, “dalle acque della storia precedente” emerse la tecnocrazia e, ovviamente, così in germe com’era (proprio così come l’industrializzazione e l’illuminismo nel 1760), ben pochi se ne accorsero quando comparvero i primissimi personal computer usciti dagli entourage dei giovanissimi Steve Jobs e Bill Gates. In seguito, nei due decenni successivi (anni ’80 e ’90 del XX secolo), la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale nella vita di tutti i giorni presero slancio, allo stesso modo della Rivoluzione americana (da cui uscirono gli Stati Uniti) più di duecento anni prima: gli anni 1760-1790 in cui si estendevano industrializzazione, illuminismo e la civiltà europea nel mondo, ritornano sotto nuove vesti negli anni 1976-2006, in cui si sono estesi i personal computer, internet e l’intelligenza artificiale.

I cosiddetti BoBo (Borghesi Bohemien), di cui racconta Alastair Crooke, fanno la parte di coloro che duecento anni prima – nutriti di quelle letture di Rousseau che viene citato – sarebbero stati  i giacobini (e, poco meno di cento anni prima, sarebbero stati i bolscevichi?) Sono quelli alla base dell’attuale tecnocrazia, la quale, per diverse ragioni, è un prodotto della cosiddetta “ideologia californiana” uscita fuori dagli anni ’90. (“https://it.wikipedia.org/wiki/Utopismo_tecnologico“)

«Il Golia del totalitarismo sarà abbattuto dal Davide del microchip»

(Ronald Reagan)

Nella cultura degli anni novanta del XX secolo cominciò a rifiorire un movimento del tecno-utopismo, legato al fenomeno delle società dot-com. Ciò avvenne soprattutto nella costa occidentale degli Stati Uniti, in particolare, nei dintorni della Silicon Valley. L’ideologia californiana era un insieme di credenze che conciliavano atteggiamenti bohémien e antiautoritaristi della controcultura degli anni sessanta con tecno-utopismo e aderenza ai valori delle politiche economiche libertarie. È stato attivamente promosso nelle pagine della rivista Wired, che è stata fondata a San Francisco nel 1993 ed è stata vista per un numero di anni come la “bibbia” dei suoi seguaci.[8][9][10]

Questa forma di tecno-utopismo riflette la convinzione che il cambiamento tecnologico rivoluzioni le società umane e che in particolare la tecnologia digitale – di cui Internet non era che un presagio modesto – aumenterebbe la libertà personale liberando l’individuo dal rigido abbraccio del grande governo burocratico. I “lavoratori della conoscenza” renderebbero le gerarchie tradizionali ridondanti; le comunicazioni digitali permetterebbero loro di sfuggire alla città moderna, un “residuo obsoleto dell’era industriale[8][9][10].

I suoi seguaci sostengono il superamento della suddivisione tradizionale tra partiti di destra e di sinistra, ritenendo che questa contrapposizione sia obsoleta. Ciò nonostante, un tecno-utopismo sproporzionato ha attratto diversi aderenti degli schieramenti ultra liberali. Pertanto, i tecno-utopisti hanno espresso una ostilità verso la regolamentazione da parte del governo e una fede nella superiorità del libero mercato. Tra i più noti autori del tecno-utopismo vi sono George Gilder e Kevin Kelly, un editor di Wired che ha anche pubblicato diversi libri[8][9][10].

Gli anni 1790-1796 della Rivoluzione francese – seguendo questo parallelo tra giacobini e ideologi californiani – ritornerebbero negli anni 2006-2012, quando i tempi della diffusione dei personal computer e di internet, si sarebbero mostrati ancora di più come “spazzanti via il vecchio” come delle “ghigliottine che tagliano la testa al passato”: consistenti nell’internet wireless ovunque, negli smartphone e nei tablet, nei social network, e nel web 2.0. degli algoritmi e metadati. Passato il 2012, sarebbe iniziata una nuova “epoca napoleonica”: avremmo visto i diversi volti della tecnocrazia invadere e avere l’intenzione di voler far piazza pulita nel mondo dell’industria, della politica, della finanza. La reazione del “vecchio mondo”, degli “eserciti anti-napoleonici”, dopo il 1802-1808, avrebbe fatto ritorno nel 2018-2024 e, così come allora, ci sarebbero state tensioni e blocchi, oltreché pazzie. Nel 1808-1814, Napoleone si sarebbe spinto troppo in là, avrebbe azzardato eccessivamente: cosa che, alla fine, avrebbe fatto in modo che Napoleone venisse vinto da quel “vecchio mondo” delle potenze europee anglo-tedesche-russe. Cosa succederà nel 2024-2030? L’ideologia californiana – da cui in sostanza sono uscite fuori cose come il “Gran Reset” – si spingerà troppo in là, la farà fuori dal vaso e verrà vinta, da cosa? Dal “vecchio mondo”…i populisti sovranisti?! Perciò il 1814-1820 forse ritornerà nel 2030-2036. Ci sarà una nuova Restaurazione e un nuovo Congresso di Vienna ma, nonostante questo – proprio come duecentosedici anni prima – non si riuscirà davvero nell’obiettivo di “ritornare ai tempi passati, quelli di prima la Rivoluzione”… a “ritornare ai tempi passati, di prima dell’ideologia californiana e la tecnocrazia” e ci sarà dunque uno strano misto – quasi contraddittorio ma reale – di “ritorno all’indietro” (ai valori “analogici e non digitali” “comunitari tradizionali e non globalisti anti-tradizione”, diciamo) contemporaneamente però a slanci di progresso anche violentemente nuovo, così come successe in quel 1820-1826 che potrebbe ritornare con nuove vesti nel 2036-2042.

Tornando ai tre articoli di Crooke, quel totalitarismo che lui vede in Occidente, da parte di una “sinistra radicale” fatta di alto-borghesi (se non élite aristocratiche) tecno-utopiste, è lo stesso totalitarismo che vediamo all’opera quando i computer ci costringono a pensare in un certo modo e a far sì che (e)seguiamo i loro intenti e non i nostri. Crooke è un ultra-liberale all’antica e, per ciò stesso, è contro anche un liberalismo completamente basato sull’intelligenza artificiale la quale detta ordini per far si che “il mondo continui a girare.” E’ indubbio che, ora come ora, milioni e milioni di persone pedalino al ritmo dell’ideologia californiana, che sembra dettare la tabella di marcia del mondo (non certo solo quello strettamente occidentale) e dei mass media…per questo, soprattutto nel seguente e ultimo articolo (che l’abbiamo inserito in una specie di “trilogia della bestia Occidente”) ciò venga visto come un “scivolamento nella pazzia.” Ma è una pazzia analoga a quella che fece sì che nel 1804 un “figlio della Rivoluzione francese” divenisse imperatore con la benedizione del papa. E’ la pazzia dei tempi.

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Gli argomenti non ruotano più intorno alla verità. Siete o ‘con la narrativa’ o ‘contro di essa‘, scrive Alastair Crooke. 

“La follia è l’eccezione negli individui; ma la regola nei gruppi” (Fredrich Nietzsche)

 

Questo è il terzo articolo di una serie di tre.

Il primo si focalizza su come il disorientamento di oggi assieme a un senso di salute mentale collettiva scomparsa, sia la manifestazione di uno stress psichico dovuto all’aver imbracciato contraddizioni tali da essere incapaci di una sintesi puramente razionale: un’ideologia che si propone essere esattamente ciò che non è. O, in altre parole, proclamando apparentemente libertà e individualismo – mentre nasconde nel suo linguaggio un’ideologia che insiste su come ogni comunità con delle radici non può supportare una ‘società redenta’ (a causa di razzismo radicato, di idee sorpassate ecc…) – deve dunque venire ripulita dall’alto verso il basso. Deve venire redenta da tutti questi lasciti. Ciò rappresenta i semi ‘bolscevichi’ che Rousseau seminò nel suolo fertile di una pre-esistente di una disposizione culturale franco-europea verso il totalitarismo.

Il secondo articolo ha affrontato il tema di come, negli Stati Uniti, questo ‘seme’ germogliò [dopo il 1989] in dei “gruppi di pensiero (groupthinking)” dei cosiddetti BoBo [Borghesi Bohemien], nella loro insistenza su come le deficienze umane [caratteristiche nelle comunità locali radicate] richiedessero di “essere risolte una volta per tutte”. Questo ideale doveva essere manifestato in uno sforzo che doveva portare un cambiamento rivoluzionario nella società occidentale, gettando il guanto di sfida a quelle che erano viste come ingiustizie strutturali nell’ordine economico, politico e sociale.

Ciò ha significato, in pratica, fare uscire fuori dal potere quelli “che erano troppo spesso maschi e bianchi”, e fare entrare dentro il potere e il danaro quelli che venivano sistematicamente vittimizzati. Per accelerare questo processo, è stato utilizzato il ricorso al panico morale (Covid e Cambiamento Climatico) per attuare l’abbandono al rallentatore dei nostri precedenti principi di governo in modo da ‘rifare l’essere umano’: Un progetto di re-immaginazione ‘umana’ che può venire attuato solo attraverso l’adozione di politiche illiberali .

Questo terzo articolo tenta di tratteggiare brevemente come queste tensioni hanno condotto una fazione delle élite occidentali a un disordine psichico (psicosi) secondo le premesse del prof di psicologia clinica Mattias Desmet, secondo le quali il totalitarismo non è una coincidenza storica ; non si forma nel vuoto, nasce attraverso la storia, di una psicosi collettiva che ha seguito una sceneggiatura prevedibile.

Tale quadro è importante per comprendere “dove ci stiamo trovando” e per inquadrare la resistenza a questa nuova fiammata di totalitarismo, – essendo un processo che acquista in forza e velocità ogni generazione, dai giacobini ai bolscevichi ai nazisti, nel solco degli avanzamenti della tecnologia.

Desmet espone accuratamente le tappe psicologiche che portano al totalitarismo : i governi, i mass media e altre forze meccanizzate  usano la paura, la solitudine e l’isolamento per demoralizzare le popolazioni ed esercitare un controllo, persuadendo degli ampi gruppi di persone ad agire contro i loro propri interessi – con dei risultati destrutturanti.

Per comprendere come funziona il totalitarismo, basta osservare che i suoi germi sono dappertutto intorno a noi. Inutile ripeterlo. Da quando i mezzi di comunicazione sono divenuti decentralizzati, digitali e algoritmici, la collusione dello stato con le piattaforme tecnologiche per controllare la cultura contemporanea, ha forzato gli individui a raggrupparsi in folle, in mandrie, dove le analisi riduzioniste, i signorsì et un tossico disprezzo per ogni punto di vista differente, servono ad alimentare i “clic” dei mezzi di comunicazione di massa, – anche se ciò ghiaccia l’immaginazione creativa e l’intelletto.

E’ impossibile rimanere al di fuori di questo discorso ; è impossibile pensare al di fuori dei feed di Twitter. La psiche digitale, come Adamo nell’Eden, dà dei nomi alle cose. Voi non siete “voi”. Voi siete l’etichetta che vi si dà ; il vostro lavoro è la somma di ciò che si è detto a suo proposito ; le vostre idee sono riducibili alla reazione che esse suscitano nel web. Dunque tutto ciò designa un deterioramento dell’efficacia mentale e del giudizio morale; finisce per formare una pseudo-realtà tagliata fuori dal mondo, generata per fini ideologici.

Un “gruppo di pensiero”, un “groupthink” non è un segmento della società che pensa usando la sua propria razionalità. Usa si una razionalità ma di un certo tipo ridotto a un loop che si auto-alimenta, che permette a un qualche tipo di realtà auto-immaginata di staccarsi da tutto i resto [coinvolgendo in ciò la collettività attraverso i mass media in modo così ampio da risultare totalitario]; allontanandosi sempre di più in questo loop da ogni legame con tutto il resto, e quindi finire nell’illusione – appoggiandosi sempre su dei compari legati mentalmente alle stesse idee per la loro convalida e la loro estesa radicalizzazione.

Così come ha fatto notare il dottor Robert Malone, si tratta qui di allontanarsi dal focus sugli attori esterni e le forze obiettive, considerando invece i processi psicologici che alimentano il rifiuto di gran parte della realtà, – assieme all’apparente ipnosi di colleghi, amici e familiari.

Il dottor Malone si concentra, comprensibilmente, sulla “follia che s’è impadronita degli Stati Uniti”, direttamente responsabile delle “decisioni stupefacentemente non scientifiche e contro-produttive, – bypassando le norme della bioetica, della regolamentazione e degli sviluppi clinici – nel proposito di accelerare la produzione di vaccini genici”. Ma i commenti di Malone hanno una portata molto più ampia:

Proprio come dentro i gruppi di cittadini ordinari, una caratteristica prevalente appare quella di rimanere fedeli al gruppo mantenendosi alle decisioni in cui il gruppo s’è ingaggiato – anche quando le sue politiche non stanno funzionando bene e hanno conseguenze involontarie che disturbano la coscienza dei suoi membri. In un certo senso, i membri considerano la fedeltà al gruppo come la più alta forma di moralità. Questa fedeltà richiede a ogni membro di evitare di sollevare delle questioni controverse, di mettere in questione le argomentazioni deboli, o mettere uno stop ai cosiddetti ‘wishful thinking’, cioè il voler continuare a credere a una cosa sebbene la realtà di questa cosa sia alquanto dubbia”.

“Paradossalmente, i gruppi senza una direzione ferma sono suscettibili di essere estremamente duri verso i gruppi estranei e i nemici. Quando trattano con una nazione rivale, un gruppo di politici trova relativamente facile autorizzare soluzioni anti-umane come i bombardamenti su vasta scala. E’ improbabile che un gruppo di funzionari governativi persegua le questioni difficili e controverse che emergono quando vengono messe in discussione le alternative a una dura soluzione militare. È improbabile che un gruppo affabile di funzionari di governo persegua le questioni difficili e controverse che emergono quando vengono in discussione alternative a una dura soluzione militare”.

“Né i membri sono inclini a sollevare questioni etiche che implichino che questo ‘gruppo composto da noi altri brave persone’, col suo umanitarismo e i suoi nobili principi, potrebbe però essere capace di adottare una linea di condotta disumana e immorale.”

L’ampliamento negli anni della parte atlantica della bestia Occidente (il “mare”, la finanza) contro la sua parte continentale eurasiatica (la “terra”, l’economia.)

Gli argomenti non ruotano più intorno alla verità (o alla ricerca di essa) ma vengono giudicati dalla loro aderenza o meno ai principi di un singolo modo di pensare. O tu sei “con la narrativa” o “contro di essa”, non esistono vie di mezzo.

Desmet ha effettivamente aggiornato la definizione di Hannah Arendt di una società totalitaria come “una in cui un’ideologia cerca di sostituire tutte le tradizioni e le istituzioni precedenti con l’obiettivo di portare tutti gli aspetti della società sotto il controllo di quell’ideologia.”

Cosa distinta dall’autoritarismo, dove uno stato mira si a monopolizzare il controllo politico, ma non cerca una trasformazione profonda, intrusiva e invadente nella visione del mondo e dei comportamenti dei suoi cittadini. 

Durante i primi anni 1970, quando il fiasco della politica estera statunitense in Vietnam stava per concludersi, uno psicologo accademico, altrettanto concentrato sulle dinamiche di gruppo e sul potere decisionale, fu colpito dai parallelismi tra le sue ricerche e i comportamenti di gruppo implicati nel fallimento della politica estera USA nella Baia dei Porci a Cuba. Incuriosito, ha iniziato a investigare ulteriormente i processi decisionali coinvolti in questo caso, così come le debacle politiche nella Guerra di Corea, nell’aggressione giapponese a Pearl Harbour, e l’escalation nella Guerra del Vietnam. Il risultato delle ricerche dello psicologo fu il libro Victims of Groupthink: A psychological study of foreign-policy decisions and fiascoes di Irving Janis (1972).

Janis ha debitamente delineato tre regole ben definite del Groupthink (come parafrasato da Christopher Booker):

Primo: un gruppo di persone arriva a condividere un punto di vista comune, spesso proposto da pochi individui ai quali viene dato credito. Tuttavia, è una visione non basata sulla realtà. Questi aderenti possono essere convinti intellettualmente che il loro punto di vista è giusto, ma la loro convinzione non può essere messa alla prova in un modo che possa confermarla – al di là di ogni dubbio. E’ semplicemente basata sulla visione del mondo come loro immaginano che sia, o più precisamente, come vorrebbero che fosse.

La seconda regola è che, proprio perché la loro visione è essenzialmente soggettiva e non dimostrabile, quelli del Groupthink fanno tutto il possibile per insistere sul fatto che il loro punto di vista è così evidentemente corretto da far sì di meritare il ‘consenso’ di tutte le persone razionali, logiche e benpensanti, le quali devono essere d’accordo con esso. Ogni evidenza contraddittoria, e i punti di vista di chiunque non sia d’accordo con loro, possono essere completamente ignorati.

Terza, molto importante, è la regola che afferma come, allo scopo di rafforzare la convinzione di quelli ‘nel gruppo’ che il loro punto di vista è quello giusto e che hanno ragione loro, devono trattare le opinioni di chiunque lo metta in dubbio come del tutto inaccettabili. Le persone che mettono in dubbio il punto di vista del groupthink sono allora considerate ottuse e quindi non dovrebbero venire coinvolte in nessun dialogo serio, ma piuttosto essere emarginate. Tutti quelli che si trovano al di fuori della bolla del groupthink devono venire marginalizzati, e se necessario, i loro punti di vista caricaturizzati senza pietà per renderli ridicoli.

E se ciò non bastasse, devono essere attaccati nei modi più violentemente sprezzanti, di solito con l’aiuto di qualche etichetta che li metta in cattiva luce degradandoli – etichette quali ‘bigotto’, ‘sorpassato’, ‘xenofobo’ o ‘negazionista’. Il dissenso in ogni sua forma non può venire tollerato. Alcuni membri del groupthink si impegnano ad avere un ruolo di ‘poliziotti del pensiero’ e correggere le convinzioni dissenzienti.

Questo processo psicologico può indurre il gruppo a prendere decisioni rischiose o immorali. Molti dei più grandi errori e orrori della storia dell’umanità devono il loro verificarsi, esclusivamente all’istituzione e all’imposizione sociale di una falsa realtà – un mondo percepito così come lo si immagina e non come è: una pseudo realtà al posto della realtà. Quanto più completamente viene assunta questa posizione idiota [nel suo senso più etimologico di auto-esclusione dalla realtà], tanto più la psicopatia funzionale che ne è alla base verrà portata alla luce; e dunque avviene la manifestazione della pazzia collettiva.

Tuttavia, percepirli erroneamente come “normali”, quando in realtà non lo sono, porterà milioni e milioni di individui a fraintendere le motivazioni degli ideologi pseudo realisti – installando universalmente la loro ideologia – dimodoché i milioni di “persone normali” faranno scorrere le loro vite dentro un totalitarismo senza nemmeno rendersene conto, finché c’è il rischio che sia troppo tardi per cambiare rotta.

La pazzia è una forma particolare dello spirito la quale si può aggrappare a tutti gli insegnamenti e a tutte le filosofie, ma ancora di più alla vita quotidiana, perché la vita stessa è piena di pazzie, anzi nel suo fondo totalmente illogica. L’umano si sforza di raggiungere la ragione che per potersi fissare delle regole.  

(Carl Jung)

La questione qui è che un’analisi razionale geopolitica della formazione di una psicosi di massa è inutile. Solo uno psicoterapeuta potrebbe avere osservazioni rilevanti da fare. Nessuna cosa sul negazionismo di massa ha senso, oltre il riconoscimento della sua maligna esistenza.

E’ ‘ciò che è’ e richiederà una catarsi per chiarificarlo e cancellarlo.

[…]

L’analisi, che abbiamo visto prima, di Janis permette dunque di spiegare degli avvenimenti geopolitici come le risposte iper-ideologiche dell’Unione Europea alle crisi in Europa dell’est?  Sembra che ciò corrisponda a tutte le osservazioni e analisi di Janis sui fiaschi in politica estera. La follia di gruppo è più caratteristica quando siamo confrontati a delle persone che hanno un’opinione categorica quanto enfatica su un dato soggetto sensibile (un’operazione bellica per esempio), ma che poi, dopo un po’, passati i primi momenti di esaltazione amplificata dai mass media, esce fuori non c’abbiano mai veramente riflettuto bene. 

[…]

Non hanno guardato seriamente ai fatti e all’evidenza. Le loro opinioni super-amplificate dai mass media non sono basate su nessuna reale comprensione del perché credano a ciò che fanno, e questa non comprensione li incoraggia a insistere ancora più veementemente – e con intolleranza verso le opinioni contrarie – che il loro punto di vista è sempre quello giusto, e a respingere come fuori di testa, insensata o anche criminale ogni opposizione.

Ogni fanatismo è un dubbio represso.

(Carl Jung)

Si dice che – nel suo pensiero preso alla lettera e nell’insistenza sul disimpegno – il liberalismo abbia un “centro vuoto”, spogliato di qualsiasi fonte sostanziale di significato morale. Eppure la vita politica detesta il vuoto e dunque questo centro non rimane vuoto. Quel “bene” a cui il liberalismo è stato agganciato – come fonte di significato collettivo dell’Occidente – è “il salvataggio dell’ordine liberale”, la preservazione del suo progetto IDEOLOGICO contro l’attrazione crescente verso delle condizioni basate su una civiltà e non su una ideologia.

Nel suo studio Men without Chests, C.S. Lewis ha caratterizzato l’ a-thumia (il fallimento del thumos – un concetto dell’Antica Grecia riguardante l’empatia e la connessione tra gli umani) come uno stato dell’essere scoraggiato e malinconico che è il risultato di un’educazione che insiste sul fatto che ogni percezione del valore morale è semplicemente soggettiva.

Il filosofo Talbot Brewer afferma che abbiamo tutti uno “sguardo valutativo” sul mondo.  Ma, se non c’è nulla di reale da guardare, allora la nostra capacità di valutazione non può riferirsi a nulla d’altro che al se soggettivo. In questo caso, è difficile di vedere come un tale “Groupthink” può fare la distinzione tra la valutazione e l’affermazione di sè. Il “Groupthink” non ha dunque nessuna altra scappatoia a parte imporre i suoi “valori” al mondo, pedalando al ritmo dei riflessi condizionati dell’ideologia.

[…]

L’idea che l’empatia e le comunità tra gli umani possano svolgere un ruolo epistemico positivo nell’approccio alla realtà è ormai largamente estraneo al pensiero politico occidentale contemporaneo. Eppure, quando il thumos muore, i sintomi del disordine psichico, dell’ansia, della solitudine e dell’amarezza ci conducono inevitabilmente alla pazzia, – sia individualmente sia collettivamente.

“Le catastrofi gigantesche che oggi ci minacciano non sono avvenimenti elementari di ordine fisico o biologico ma eventi psichici. In misura abbastanza terrificante siamo minacciati da guerre e rivoluzioni le quali altro non sono che epidemie psichiche. In ogni momento diversi milioni di esseri umani possono essere colpiti da una nuova follia, e quindi avremo un’altra guerra mondiale o un’altra rivoluzione devastante. Invece di essere in balia di bestie feroci, terremoti, smottamenti e inondazioni, l’umano moderno è bersagliato dalle forze elementari della sua propria psiche.”

(Carl Jung, 1932) 



Versione originale: “https://www.strategic-culture.org/news/2022/08/22/descent-into-madness/