
Se un computer crea una realtà virtuale, nella quale esseri intelligenti artificiali contemplano la loro situazione, come apparirebbe tale mondo da loro percepito? A quali concetti metafisici giungerebbero? Come si sentirebbero a essere delle creature intelligenti artificiali in un mondo virtuale?
Propongo questa situazione ipotetica come un’appendice alla discussione metafisica diretta riguardante la nostra realtà, situazione che provvede a un contesto netto e definito per analisi le quali hanno qualche parallelo interessante col nostro proprio contesto.
Supponendo che ci sia un computer (CPU e memoria) il quale fornisce uno spazio computazionale, dentro questo spazio ci sono informazioni che si presentano come tipi di DATI, liste, ecc, nonchè processi quali threads, diagrammi di flusso a loops ecc.
. Tutto ciò è intrecciato assieme in un programma di simulazione. Questo è un processo di informazione che organizza tutti i dati esistenziali e causali i quali strutturano esattamente ciò che esiste e succede nel mondo virtuale. Inoltre guida, momento per momento, tutte le informazioni logistiche che sottostanno a tutte le interazioni tra i sistemi.
Questo è il ruolo del SMN (System Matrix Notation).
Allo stesso modo delle funzioni del simulatore, il contesto esistenziale virtuale viene calcolato un momento alla volta, come una serie di momenti confusi assieme i quali fanno sì che il mondo virtuale inizi a esistere.
In questo contesto ogni sistema è definito da un’informazione esistenziale e ogni processo è definito da informazione causale.
Mentre il processo computazionale anima il contesto, ogni processo percettivo ricorre allo stato esistenziale dell’universo e l’esperienza percettiva è generata per ogni sistema secondo il suo contesto. Ogni sistema quindi interpreta e risponde a questo secondo la sua natura programmata.
In questo sistema dinamico, nel contesto teorico i sistemi interagiscono, combinandosi in sistemi di livello superiore. Questi sistemi diventano più complessi e raffinati attraverso ripetute calibrazioni tra di loro. Dunque alla fine si evolvono sistemi complessi che possono essere chiamati ORGANISMI.
Qualcuno di questi organismi sviluppa complessi cicli di retroazione interna o funzioni cognitive superiori, cosicchè sperimenta l’esperienza di stare sperimentando. Inoltre, fa associazioni tra queste esperienze e altre, utilizzando un astratto sistema di simboli. Quindi viene a sapere che sa di sapere di sapere.
Finora ho trascurato il ruolo della libera volontà, che la metafora computazionale non può racchiudere, ma se si paragona la coscienza primordiale – o la pura consapevolezza – al flusso di calcolo del computer, questa analogia descrive il modo in cui è strutturato e intrecciato assieme per creare un contesto distribuito, nel quale gli individui possono sperimentare lo stesso contesto sottostante da innumerevoli prospettive uniche. Una dinamica percettiva guida la rete di sistemi e li fa evolvere.
In questo contesto computazionale gli esseri dall’intelligenza artificiale mancherebbero di libero arbitrio, ma in ogni altro aspetto percepirebbero (sperimentando e interagendo) all’interno di un contesto di sistemi in relazione che impongono i loro sensi e creano l’impressione del loro esistere in un mondo LA’ FUORI.
Quindi la situazione è parallela alla nostra, in molti aspetti. Questi esseri senzienti si presenterebbero alla stregua di una popolazione, evolvendo in una relazione simbiotica con un ecosistema di MEMI. Questa è la loro cultura, la quale conterrebbe un largo spettro di idee su ogni tipo di esperienze e di inferenze da queste esperienze. Con questa cultura avrebbero una composizione concettuale al suo interno, per iniziare ad analizzare e discutere la natura della loro realtà, domandando seriamente: “Chi sono?” e “Cos’è questo spazio?”
Dando questo contesto di esseri dall’intelligenza artificiale in una realtà virtuale in esecuzione nel computer, sorge un certo numero di domande. [per esempio] Cosa potrebbero sperimentare della loro realtà? Principalmente gli oggetti dei sensi, i quali combinano a creare l’illusione del mondo virtuale. Ma se si rivolgono verso la loro interiorità attraverso la meditazione, potrebbero anche sperimentare uno spazio interno di consapevolezza pura. A cosa condurrebbe una prospettiva empirica? Al credere a una oggettività esistente, a un “mondo là fuori” che esiste indipendentemente dall’osservatore. Ci sarebbero concetti come “materia” e l’idea che tutto sia “fatto di materia” inclusi loro stessi. La loro propria esperienza della coscienza sarebbe sottomessa a qualche non ben spiegato risultato del funzionamento dei loro corpi materiali.
A cosa condurrebbe una profonda prospettiva da parte del soggetto? A credere che la coscienza è fondamentale e che il “mondo là fuori” è solo una costruzione degli oggetti dei sensi. Proporrebbero che ci fosse un più profondo livello di realtà che non fosse “fatto di” materia, il quale è alla base del divenire “materia” di tutte le cose. In questa realtà più profonda tutte le coscienze individuali sono unificate, l’universo è visto come un campo di consapevolezza, e con consapevolezza potrebbero partecipare in quel campo.
Quali sarebbero le conclusioni sulla loro realtà? Cosa richiederebbe la logica? Ciò dipende dal loro punto di vista, se le esperienze sono state quelle dei sensi o della stessa coscienza. Gli empirici concluderebbero che il mondo era un costrutto oggettivo fatto di materia e i trascendentalisti che il mondo era un’illusione dei sensi che viene fuori da un mondo più profondo costituito da dinamiche spirituali.
Non c’è modo di provare nessuna di queste due prospettive: entrambe si basano esclusivamente sulla voracità delle esperienze, che siano interiori o meno. Gli esseri non hanno un modo diretto per discernere il sottostante contesto computazionale. Potrebbero scoprire ciò attraverso la meditazione e l’unificazione interiore con esso o potrebbero scientificamente prendere la mitologia del mondo oggettivo per i suoi estremi logici, andando alla ricerca di una fondamentale unità di esistenza. Materiale “magico” che già esiste e si comporta nello spazio, ma senza nessuna dinamica sottostante o interiore.
Questa esplorazione alla fine si esaurirebbe, dando origine a una teoria di astratti processi informativi non-locali, come nella fisica quantistica.
In definitiva, possono solo dedurre ciò e, dato che tutta la conoscenza è un arazzo di esperienze e associazioni le quali sono modificate e costruite in nuove strutture. Essi non avrebbero, inoltre, alcun mezzo diretto per comprendere le dinamiche sottostanti. Descriverebbero uno spazio computazionale non familiare come “esseri spirituali” e “altri mondi o dimensioni sottili”, o magari “funzioni d’onda e quanti”, e così via. A meno che non accada ciò anche perchè sviluppino una propria tecnologia informatica. Dunque questo provvederebbe un insieme di esperienze e un linguaggio di concetti associati, coi quali potrebbero comprendere e analizzare la loro più profonda situazione. Potrebbero alla fine costruire un computer che faccia funzionare una realtà virtuale abitata da esseri provvisti di intelligenza artificiale i quali stanno contemplando la loro situazione.
Perciò avrebbero un modello della loro situazione, una effettiva implementazione, e non solo descrizioni in termini di discorsi culturali. Quindi potrebbero veramente iniziare a esplorare le più profonde fondamenta della loro realtà.
C’è una quantità di maggiori dettagli per questo piccolo esperimento del pensiero, ma quello esposto è il suo quadro generale. Lo trovo un utile scenario per meditarci sopra, e lo contemplo sempre più profondamente da ogni tipo di angolo trovandolo una vera provocazione del pensiero. Che ne pensano gli altri?
La versione originale di questo articolo si trova al seguente indirizzo:
http://www.anandavala.info
/TASTMOTNOR/SSE_1430.html