Questa è la quarta puntata degli appunti tratti da uno dei miei quaderni, che scrivo regolarmente. Come nelle altre occasioni, vi renderete conto che il modo di scrivere segue associazioni mentali non eccessivamente elaborate. Quindi piuttosto grezze, e con possibili difficoltà di comprensione immediata da parte del lettore. Dal momento che il seguito sul quaderno di questa parte di scritto, è ulteriormente sacrificato alla comprensibilità (cioè, lo capisco solo io), mi sono fermato al punto che adesso, adoperando come un rovesciamento, metto per primo.

Vivere dentro una società DISTOPICA senza sospettarlo. Vivere dentro l’impero del denaro dato in prestito a interi stati da parte di potentissimi banchieri privati.
Una società “su di giri” si scontra con la perdita di propulsione. Come se si dovesse sempre, apparentemente, essere negli anni cinquanta, negli anni sessanta. Il far ripartire l’economia che si deve scontrare con l’accumulo di precedenti. La statua di argilla che si affloscia su se stessa. Il tempo lineare che crolla al suolo come le statue dei dittatori comunisti nei paesi dell’est a cavallo tra gli anni ottanta e novanta. La concezione comune della storia, della scienza, del genere umano, che crolla al suolo come le statue di Lenin, di Stalin e di Saddam Hussein.
Crollo del sistema monetario e della finanza. Crollo dell’ultima ideologia, il capitalismo, associato alla caduta del sionismo, di Zion. Il segno di Zion. Non ci potrà mai più essere il periodo storico in cui è vissuto Fellini e gli altri grandi registi dagli anni cinquanta agli anni ottanta. Ed è inutile e quasi nocivo rimpiangerli e celebrarli. Celebrare e ricordare qualcuno, poi, come un certo attore di Campi salentina, è semplicemente una bestemmia.

La “società del piagnisteo” è la tappa di arrivo della “degenerazione del postmoderno”, il celebrare i bei tempi andati rimpiangendoli. Quando ancora si era solo in uno o due miliardi sul pianeta Terra, il cui vero nome è Gaia.
Le cose sul pianeta devono andare sempre peggio sempre più velocemente, fino a collassare.
La società senza futuro della finanza, di Wall Street, delle borse, dei mercati, della pubblicità, del cinema blockbuster e delle multisala, dello shopping, è destinata a infrangersi contro la perdita di propulsione, che raggiungerà l’ “onda temporale zero” tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, quasi un secolo dopo l’inizio della Prima Guerra Mondiale.
Per continuare a far girare il mondo dei mercati, della finanza, dei capitali, delle borse, c’è sempre bisogno di “fare ripartire l’economia, la crescita, il lavoro”, cioè di dare un senso, un perché, a tutta quella massa, quel flusso di denaro creato con meccanismi debitori, soldi dati in prestito, dalle banche centrali private, a interi paesi, per creare “debito pubblico da ripagare.”
La crisi si acuirà sempre di più, se ne potrebbe uscire solo con una guerra mondiale, la quale genererebbe quei meccanismi iperinflattivi che sono la manna per i grandi gruppi privati internazionali, per le oligarchie che tengono per le palle interi continenti.
Perché il capitalismo vada avanti, il mondo deve sempre “bollire”, in un modo o in un altro, bisogna sempre tenere il fuoco acceso sotto la pentola in cui l’acqua bolle. Se il fuoco della pentola si abbassa, o addirittura si spegne, il capitalismo è finito. Ecco perché, per far funzionare il capitalismo, il mondo deve sempre essere “su di giri”, con lo spettacolo, con lo shopping, con la guerra. Tutta una sovrastruttura egoica che Gaia non può sopportare ancora a lungo, e se la scrollerà via di dosso, con l’eleganza di un rigurgito.
La “fine della storia come si è abituati a conoscerla” La “voglia di catastrofe” dagli anni novanta in avanti. Libro che avevo visto in quel negozio alla Feltrinelli, che era vicino alla Nunziata, l’avevo visto verso la fine del 1997 e giù di lì, si intitolava Ultimo avviso prima del collasso, “the end of the world as we know it”, aveva la carcassa di una Renault in copertina.
Le regle du jeu, film del 1939, in un momento storico in cui non era ancora presente il “disincanto postmoderno”, la sfiducia nelle “grandi narrazioni che ci spiegano bene il mondo”, e dove si vedono queste automobili con l’impianto elettrico rudimentale, i paraurti con tanto metallo e plastica zero (tutt’al più bachelite, celluloide), il volante sottile, i pedali come quelli di un’automobile giocattolo ingrandita.
La coscienza dei Rossellini, dei Fellini, aderiva ai tempi storici in cui sono vissuti come il dorso di una mano aderisce al palmo. La Coscienza, inserita dentro il discorso storico, così come la si è iniziata recentemente a inserire nel discorso scientifico. Immagine ancora migliore: la Coscienza e la Storia sono due facce della stessa moneta. E’ la Coscienza che produce la Storia e la Storia produce la Coscienza, in un intescambio reciproco.
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