Vertigo o l’Eterno Ritorno (1)

Il  seguente articolo di Tristan Eldritch del blog A few years in the absolute elsewhere (“Alcuni anni nell’altrove assoluto”), di cui questa è la parte prima, è disponibile nella sua edizione originale a questo indirizzo web:

http://2012diaries.blogspot.it/2015/01/eternal-recurrence-alfred-hitchcocks.html

e chiaramente si ricollega a questo post:

https://civiltascomparse.wordpress.com/2013/05/24/vertigo-25-maggio-articolo-solo-di-immagini-e-musica/.

Al tempo in cui misi in rete quel post, avevo considerato l’importanza archetipica del film di Alfred Hitchcock, “Vertigo” (in italiano col fuorviante titolo – come si capirà bene leggendo – di “La donna che visse due volte”), in relazione ai tempi che stiamo vivendo. All’epoca avevo pensato alle immagini del film riportate come profetizzanti un futuro ben determinato, che solo a posteriori, ad avvenimento accaduto, avrebbero acquistato senso, come spiegavo poco tempo dopo in un altro post-appendice:

https://civiltascomparse.wordpress.com/2013/06/28/vertigo-25-maggio-addendum-quasi-a-luglio/

Questo post è stato – secondo le mie intenzioni – parte di quell’ “arte di CREARE messaggi a carattere profetico” o di “NOTARE messaggi a carattere profetico.” L’ingrandimento delle due figure – maschile e femminile, nera e bianca – dentro quella doppia spirale nella locandina originale del film Vertigo di Alfred Hitchcook, sembra voler evidenziare un ben determinato particolare, inerente qualcosa di ben preciso che non è ancora accaduto. Sembra quasi manchi solo quel qualcosa da associare a quell’immagine, evidenziata dall’ingrandimento, una volta che sarà accaduto.

Mi ero fissato sul quadro particolare (per esempio la caduta dalla torre, come quella dei tarocchi) senza riflettere, in quel momento, su come il film richiami, in uno spettro più ampio, il senso generale del ripetersi ciclico dei drammi a ogni livello dell’umanità sia nel micro che nel macro, il corso e ricorso continuo perchè “la lezione non la si è ancora imparata” e si ripete sempre lo stesso errore, a diversa magnitudine, maggiore o minore, rispetto alla precedente. Penso, insomma, che “Vertigo” abbia a che fare col mistero del tempo.

Le parti del testo sottolineate sono quelle che hanno maggiormente attratto la mia attenzione.

 

L’ Eterno ritorno: “Vertigo” di Alfred Hitchcock (1958)

Sepolto negli studi della natura, più di in ogni altra cosa adatte alle impressioni attutite del mondo esterno, è solo da quella dolce parola – di Ligeia – che la fantasia mette davanti ai miei occhi l’immagine di lei che non è più.”
Edgar Allan Poe, Ligeia.

Correva l’anno 2012 quando “Vertigo” di Alfred Hitchcock, nel sondaggio di “Sight and sound” risultò essere il più grande film di ogni tempo, scalzando finalmente via dal piedistallo “Quarto potere” di Orson Welles, cioè dal posto che manteneva con particolare tenacia fin dal 1962. Ciò ha rappresentato il culmine di una rivalutazione critica già da un po’ di tempo in corso. “Vertigo” ebbe critiche ambivalenti fin dal suo primo apparire, e al botteghino non risultò brillante, a differenza dei precedenti successi di Hitchcock. La casa di produzione del regista lo tenne fuori dalla circolazione per un decennio, e che la critica nei suoi riguardi ricominciò a prendere slancio solo quando venne di nuovo distribuito nelle sale nel 1983.

Oggi, “Vertigo” è considerato parte integrante sia dell’arsenale di Hitchcock sia della storia del cinema. Tuttavia, una certa minoranza del pubblico rimane non convinta dal film. Ricordo un mio amico, molti anni fa, dirmi che proprio non riusciva ad apprezzarlo, pur essendo un grande appassionato di cinema e un ammiratore della maggior parte dell’opera hitchcockiana. Il suo scoglio era la credibilità della trama. In tutta onestà, non si può negare che, a  livello letterale, la risoluzione del mistero di “Vertigo” è quasi impossibile da mandar giù, è – come ammise Bosley Crowther – “diabolicamente inverosimile.” Ci si potrebbe anche interrogare sulla scelta di Hitchcock di discostarsi dal romanzo originale, torcendone la storia, rivelando la conclusione a due terzi dalla fine. Probabilmente, è proprio questa forzatura della trama ad aver spinto il critico Tom Shone – nel suo libro del 2004 “Blockbuster” – a sostenere che “Hitchcock si diverte a oliare i meccanismi delle sue trame fino a ottenerne una specie di lucido brusio di fondo” e così sembra, quindi, che non sia il caso di mettere sul piedistallo, da parte di “Sight and sound” e il suo sondaggio, proprio quel film, dove tutto è in sospeso, gli angoli sono sbilenchi e dove il critico di cinema non cava un ragno dal buco.

Vertigo è un film diviso in due parti, ciascuna di esse finisce con la caduta (o caduta apparente, nel primo caso) del personaggio di Kim Novak dal campanile della missione San Juan Batista. Il pubblico, nella prima parte, così come il personaggio di James Stewart, John “Scotty” Ferguson, è rapito e ingannato. Nella seconda parte, il sogno è gradualmente decodificato, e ogni cosa è differente. Ferguson, simpatico nella prima metà, nella seconda diventa un bullo prepotente e feticista. La Novak, così notevole nella sua interpretazione della spettrale ed eterea Madeleine nella prima parte, diventa meno convincente nella seconda, quando interpreta la figlia della classe operaia Judy.

La grande magia del primo tempo, il suo senso ipnotico dell’abbandono a un sogno a occhi aperti e la persistenza spettrale del passato, deve cedere il passo a una spiegazione razionale, alla meccanica della trama. Per questo motivo, l’insoddisfazione con “Vertigo” – il senso del suo “essere in sospeso e con gli angoli sbilenchi” – tende a essere focalizzata in questa seconda metà del film.

Tuttavia, anche se ci concediamo questa critica alla storia tesissima di “Vertigo”, io continuo a pensare che sia un meritato candidato per il titolo di “Sight and sound”, tenendo conto, naturalmente, quanto sia soggettiva e chimerica la nozione che ogni film potrebbe essere “il più grande di tutti i tempi.” Nessuno ha mai messo in dubbio che “Vertigo” sia magistralmente diretto e interpretato, ma questa è solo una componente della sua distinzione e grandezza, si tratta di una qualità bonus per “Vertigo”, qualcosa che trascende la sua maestria così come fa con i contorsionismi logici della trama. L’unica metafora che viene in mente pensando a tutto questo, è la illusoria “Madeleine Elster” di cui Ferguson s’innamora perdutamente. Ci sono molte buone ragioni per cui qualcuno s’innamori di Madeleine-Kim Novak (ho deciso di mettere “Madeleine” in corsivo per evitare fastidiosi giri di parole come “Judy cioè Madeleine cioè Carlotta.”) Madeleine è più di una banale donna meravigliosa, egli offre a Ferguson qualcosa che è, allo stesso tempo, molto più inebriante e terrificante del semplice glamour di superficie, comunque abbondante. Madeleine è ossessionata dalla presenza di un’altra donna, la tragica Carlotta Valdes, lei stessa un essere dalle mutevoli sfaccettature: prima la bella Carlotta, poi la triste Carlotta, infine la folle Carlotta. Madeleine è un mistero, una sonnambula dentro un corridoio fatto di specchi rotti e frammenti di sogno, una donna che lotta per affermare la propria identità lottando contro correnti soprannaturali che la spingono nel passato, nella fredda fissità di un vecchio dipinto, verso un incontro prematuro alla fine della parte più buia in fondo al corridoio. Lei è la presenza attraverso cui le forze primordiali e i misteri del sesso, della morte, del sogno e del tempo si affermano. C’è poco da meravigliarsi che “Scottie” abbia preso così male tutto ciò!

Inoltre, non c’è da stupirsi che NOI abbiamo preso così male “Vertigo” nel corso degli anni. Così come in Madeleine, la bellezza di superficie della sua maestria è aumentata dal senso del suo essere ossessionata da altre presenze in corridoi sotterranei senza fine, dalla sensazione perturbante di qualcosa che sappiamo ma non possiamo proprio articolare a parole.
Tessuto intorno alla sua familiare struttura [hitchcockiana] di storia basata sulla suspence e il mistero, “Vertigo” possiede un’atmosfera fortemente onirica e una qualità letteraria, è immerso nella poesia anche nei suoi più casuali dettagli e diventa, dopo ripetute visioni, uno di quei film stranamente labirintici, dove ogni motivo e idea ricorrono e si ripetono in forme diverse per tutto il film. L’effetto è come quello dell’immagine che compare nei titoli di testa e, più tardi, nell’incubo di Scottie, la figura umana che precipita nella spirale, la spirale nei capelli di Kim Novak, la spirale del passato che ricorre nel presente. “Vertigo” possiede la ricchezza tematica e la coerenza estetica di un grande romanzo, o almeno sembra. Non sappiamo quanto del suo potere di suggestione può essere attribuito al romanzo da cui è tratto (“D’entre les morts”, letteralmente “Tra i morti”, di Pierre Boileu e Pierre Aryraud, che non ho letto), quanto allo stesso Hitchcock e ai suoi stimati collaboratori, e quanto alla sua propria immaginazione. I film sono realizzati catturando a perdifiato la luce di un singolo giorno, per poi soffermarsi con noi per l’intera vita.

Il seguente saggio è un tentativo di districare il mistero del perchè “Vertigo” lanci un incantesimo così potente e duraturo su registi e amanti del cinema. Alcuni degli echi e delle risonanze che trovo in esso sono, senza dubbio, volute dai suoi autori, alcuni sono accidentali e altri dovuti alla mia particolare sensibilità. E’abbastanza chiaro che la nostra immaginazione influisca sulla visione di “Vertigo”, in quanto si tratta di un film dove vediamo il mondo intero, la sua stregata San Francisco, attraverso lo sguardo incantato e disordinato del suo protagonista, Scotty Ferguson.

Tanto per avere sotto mano la trama familiare di “Vertigo”: John “Scotty” Ferguson è un detective di San Francisco che scopre, durante un inseguimento sui tetti, di soffrire di Acrofobia [la paura delle altezze, le “vertigini.”] E’afflitto dal senso di colpa verso il collega che ha trovato la morte nel tentativo di salvarlo, e dal senso di inadeguatezza a causa dei suoi accessi di vertigini. Scottie va a prendere conforto presso dalla sua amica ed ex fidanzata Midge. Non sapendo che fare, si trova a malincuore impiegato da Gavin Elster, una vecchia conoscenza dei tempi del college, ora in un’impresa di spedizioni marittime, assieme alla moglie Madeleine. Elster afferma che sua moglie è posseduta da una donna morta da lungo tempo – Carlotta Valdes – e vuole saperne di più sulle attività giornaliere prima di coinvolgere i medici. Seguendo Madeleine, Scotty scopre una donna apparentemente in trance, che rivisita senza fine una manciata di luoghi storici di San Francisco di particolare risonanza emotiva. Questi includono la tomba di Carlotta Valdes alla missione Dolores (l’unica struttura superstite della prima San Francisco) e il museo d’arte presso il California palace della legion d’onore, dove Madeleine studia un ritratto di Carlotta. Madeleine sembra ispirarsi alla figura del ritratto, portando con sè un mazzo di rose e modellandosi la parte posteriore della sua capigliatura in una treccia a forma di spirale.

Dopo aver salvato Madaleine da un apparente tentativo di suicidio nella baia di San Francisco, lei e Scottie iniziano un tentativo di relazione. Il tempo, però, stringe. Carlotta Valdes ha commesso il suicidio all’età di ventisei anni, la stessa età che ha ora Madeleine. Abbiamo la forte sensazione che Madeleine si stia fondendo in Carlotta, e la storia è destinata a ripetersi. Tuttavia, Scotty crede che Madeleine può essere salvata e il mistero della sua possessione spiegato razionalmente. Importanti per risolvere questo mistero sono i frequenti sogni di Madeleine, di un monastero spagnolo del XVIII secolo la cui chiesa ha una grande torre campanaria. Questo luogo sembra essere la chiave, il locus attorno a cui gira la spirale. Rendendosi conto che questi sogni rappresentano un posto reale, la missione San Juan Batista, Scottie la porta lì, sperando che la tangibile realtà abbia la meglio sulle sue manie di possessione. Tuttavia, i risultati sono opposti: dopo aver confessato il suo amore per l’ultima volta, Madeleine corre nella chiesa. Scotty tenta di seguirla fino alla scala a chiocciola della torre campanaria ma, ostacolato da attacchi di vertigine, guarda impotente Madeleine che si tuffa dall’alto fino a morire. In altre parole, siamo tornati all’inizio del film, le vertigini di Scotty come causa involontaria della morte di qualcuno, questa volta col senso di colpa più grave perchè era la donna che amava.

Passiamo adesso alla seconda parte del film. Scottie, addolorato fino al punto d’impazzire, è diventato come Madeleine nella prima parte: una figura spettrale, posseduta dal passato, che ritorna incessantemente ai luoghi di San Francisco con un personale, ossessivo, significato. Durante il suo vagabondare, incontra una brunetta, Judy Barton, la quale somiglia singolarmente a Madeleine. Nonostante la rassomiglianza fisica, Judy è un’operaia di Salina, Kansas, più terra-terra e aperta sessualmente di Madeleine. Nella suddetta bizzarra rivelazione, il pubblico è immediatamente lasciato nel complesso della trama: Judy era impiegata da Gavin Elster per impersonare sua moglie. La Madaleine di cui Scotty s’innamorò era dunque una finzione, la storia di Carlotta Valdes un elaborazione fantastica (ciò che proprio non va giù ai detrattori di “Vertigo”), uno stratagemma per assicurare un testimone per il supposto suicidio di Madeleine Elster, in realtà una tattica di adescamento fatta apposta da Gavin per denaro.
Tuttavia, proprio nel fare finta di essere Madeleine, Judy ha fatto per davvero innamorare Scotty, e così decide di assecondare il suo corteggiamento nella speranza che possa innamorarsi di lei per quello che realmente è. Ciò, però, si rivela doloroso e impegnativo, dal momento che Scotty accarezza ossessivamente l’idea di riportare Madeleine in vita in ogni suo più piccolo dettaglio. Con cura meticolosa e spesso tirannica coercizione, fa somigliare il più possibile Judy a Madeleine, cambiando il suo guardaroba e il suo taglio di capelli, e aggiungendo alla fine l’ultimo dettaglio fondamentale: la spirale appuntata dietro ai capelli. Ora che è tutto al suo posto, abbiamo una delle maggiori estasi della storia del cinema: l’apoteosi di passione romantica e perverso feticismo mano a mano che che la cinepresa di Hitchcock ruota delicatamente intorno alla coppia, intorno all’eroe sempre più ambiguo che ha raggiunto il suo empio obiettivo, la dea bionda e impervia come simbolo dell’irraggiungibilità in vita, divenendo letteralmente così anche nella morte.

L’estasi è di breve durata. Dopo aver donato il gioiello a Judy, Scotty comincia a sospettare la verità e torniamo circolarmente di nuovo al campanile della missione San Juan, dove Scotty supera la sua acrofobia e costringe Judy a confessare. L’improvvisa comparsa di una suora spaventa Judy, facendola slittare oltre il bordo e dunque ripetendo l’inevitabile tragedia del film.

Vertigo si conclude con Scotty, in piedi davanti al campanile, tre volte addolorato e morso dal senso di colpa, che sembra intrappolato in un ciclo che lo porta a rivivere la stessa tragedia, più e più volte.

Alcuni delle più comuni risonanze tematiche di “Vertigo” sono incentrate sulla relazione di Scottie con Madeleine/Judy, e particolarmente il rimodellamento di quest’ultima nella prima da parte di Scottie; nella seconda parte, dunque, le tratterò brevemente prima di esplorare le qualità mitiche e letterarie del film. In un senso generale, l’ossessione feticistica di Scottie verso Madeleine ci ricorda la tendenza diffusa di innamorarsi attraverso idealizzazioni, immagini o preconcetti, senza tenere conto delle imperfezioni, delle complessità e delle variazioni giorno dopo giorno. L’amore, per un carattere fortemente romantico o sensuale, tende a essere un’idealizzazione o un particolare ardore generato da un’immagine. Per la persona affascinata da questo tipo di passione, l’idealizzazione e l’immagine esistono in un regno elevato sopra la realtà quotidiana in cui, invece, l’oggetto del desiderio è completamente in carne e ossa. Questa è la situazione in cui Judy si ritrova: lei vuole che Scottie la ami per la sua reale personalità, ma lui rimane ossessivamente affascinato alla fantasia di Madeleine, la quale è stata creata da lei e da Gavin Elster per intortarlo. (Un’altra questione qui sollevata è legata all’identità: Scottie s’è innamorato di Judy perchè il suo aspetto e la sua personalità erano modellati per diventare Madeleine o solo per via della performance e della fantasia di Madeleine?
Le due cose – la persona e l’adozione dei tratti dell’altra persona – sono così facilmente separabili?)

La ricreazione di Madeleine da parte di Scottie è stata associata più frequentemente ai feticci caratteristici e agli ideali femminili dello stesso Hitchcock. La ricorrente propensione del regista per il tipo femminile della bionda raffinata e riservata, è stata descritta da Truffaut come “il paradosso tra il fuoco interiore e la superficie fredda.” Hitchcock stesso ha espresso questa dualità in termini più decisi: “Noi siamo per le tipe da salotto, le donne reali che diventano puttane quando sono in camera da letto.” (Style on film: “Vertigo”)
Questo è un desiderio maschile abbastanza tipico, di vedere incarnate la Madonna e la puttana in una persona sola – apparentemente repressa, privatamente sfrenata – va in qualche modo verso la comprensione della dualità tra la bionda e la bruna di “Vertigo” come incarnazioni della stessa donna, e gli stili diversi di abbigliamento e il diverso tipo di sessualità incarnati da Madeleine e Judy Barton. L’abito caratteristico di Madeleine è l’abito grigio, soggiogante, chiuso in modo restrittivo e non sensuale, quasi severo ma elegante nella sua sobria semplicità. Il senso generale di restrizione, moderazione e controllo è completato nel dettaglio finale della ricreazione di Madeleine da parte di Scottie: la pinzetta per capelli dietro la testa. Questo, chiaramente, rappresenta l’ideale di Hitchcock: la sensualità resa ancora più seducente dal suo essere sobria, nascosta sotto la superficie fredda.
Al contrario, quando incontriamo per la prima volta Judy Barton, indossa un abito verde luccicante che evidenzia le forme naturali del suo corpo, senza reggiseno (cosa inusuale per l’epoca.) Ciò è l’opposto della restrittiva, soggiogata sessualità rappresentata da Madeleine. Nei suoi, in qualche modo forzati, toni da ragazza operaia, Kim Novak-Judy dice a Scottie: “Ho già preso appuntamenti al buio, a dirti la verità, mi è già successo.” E’ questa ragazza terra-terra, più naturale e spiccia, che non riesce a emozionare Scottie, mentre invece resta incantato dalle fantasie sulla Madeleine artificiale, la donna che diventa un dipinto, un’opera d’arte.
In un interessante frammento di vita che imita l’arte, Kim Novak, doveva essere indotta a indossare l’abito grigio dal suo regista, proprio come come Judy deve esserne costretta da Scottie.

Non è dunque difficile vedere “Vertigo” come uno scorcio, forse involontario, negli angoli più oscuri della psicologia del suo regista, e uno studio, in generale, sul soggiogamento e la sottomissione della donna. Sebbene alcuni dettagli restino contestati, la preoccupazione di Hitchcock col suo personale ideale di bionda, sembra essere divenuto del tutto malsana al tempo della sua relazione con Tippi Hedren. Le corrispondenze tra Scottie come un bullo, solo saltuariamente simpatico, nella seconda metà di “Vertigo” e il rapporto apparentemente ossessivo, prepotente e abusivo di Hitchcock nei confronti di Tippi Hedren, è un argomento affascinante, ma è un aspetto di “Vertigo” così ben tracciato altrove che in questo saggio non mi soffermerò su di esso.

“Pigmalione” di Jean-Baptiste Regnault, 1786, Musee National du Chateau et des Trianons, wikipedia.

Le storie moderne con una certa risonanza e potere archetipico, hanno frequentemente analogie con molti miti antichi. Almeno, questo è senza dubbio il caso di “Vertigo.” Il più ovvio, mitico, precursore è la storia di Orfeo ed Euridice. Orfeo perde la sua amata, e va nel mondo sotterraneo per reclamarla dal mondo dei morti. La sua musica affascina così tanto Persefone da permettergli di riportare Persefone nel mondo di sopra, ma a una condizione: Orfeo deve camminare davanti alla sua sposa e non voltarsi indietro fino a che non hanno riguadagnato la terra dei viventi. Tuttavia, Orfeo è malaccorto, e perde la sua amata per la seconda volta, questa volta per sempre. “Vertigo” ricapitola questa tragedia classica. La morte strappa (o sembra strappare) Madeleine a Scottie, ma poi, miracolosamente, egli la ottiene indietro. Tuttavia, le sue azioni, in ultima analisi, portano alla vera e permanente perdita della sua amata. Il divieto di guardare indietro sembra particolarmente adatto in relazione al tema principale di “Vertigo”, del ritorno inevitabile del passato nel presente. La tragedia di Scottie è che, quando trova Judy, egli ha la donna che amava, e il suo amore per lui era l’unica cosa di Madeleine non contraffatta. Ma lui è ossessionato dal passato, ed è costretto a voltarsi indietro, prima nella ri-creazione di Madeleine, e poi nel ritorno alla missione San Juan Batista, dove diventa realtà ciò che la prima volta era illusione, ed è costretto a perdere Judy/Madeleine per sempre.

Scottie ricorda anche il mito di Pigmalione ed Edipo. Pigmalione fu lo scultore cipriota che scolpì una donna nell’avorio – Galatea – così perfetta che si innamorò di lei. Pigmalione pregò Afrodite di incontrare una donna bella come la sua statua e, dopo essere tornato a casa e baciato Galatea, trovò che l’avorio senza vita era divenuto carne vivente, e il suo idealizzato lavoro artistico una donna reale. Questo mito differisce da “Vertigo” nel suo lieto fine e in un altro elemento cruciale: Scottie si innamora di un’opera d’arte che non ha creato egli stesso, ma che è piuttosto una creazione della drammaturgia di Gavin Elster e della recitazione di Judy Barton. Cionondimeno, “Vertigo” riflette e inverte l’inquietante trasformazione del mito di Pigmalione.
Madeleine è una donna reale in procinto d’essere assorbita in un dipinto e nel freddo della storia, e Judy una donna reale che Scottie non può amare fino a che non è trasformata in un’opera d’artificio.
D’altra parte, Edipo, viene spesso chiamato il primo detective della letteratura. Assomiglia a Scottie, nel senso che la sua tenacia nel risolvere l’enigma della propria discendenza e identità, è in definitiva la sua rovina, qualcosa che non gli porta nulla a parte una profonda sofferenza.

Tutto il contrario di tutto – formazione reattiva Freudiana

image

La formazione reattiva Freudiana e’ un meccanismo di difesa del’ Io personale molto interessante. Ci spiega che siamo affascinati da ciò che ci tormenta e da ciò che ci fa paura, ma ne neghiamo l’ evidenza assumendo opinioni, posizioni e comportamenti opposti a quello che in realtà crediamo.

Esistono casi curiosi, come razzisti conclamati che finiscono per stare assieme a una extracomunitaria, persone attentissime a quello che dicono e a come lo dicono, che non si scompongono mai che finiscono per buttare all’ aria tutto quanto in poche ore quando hanno raggiunto il limite, fondamentalisti atei che finiscono sempre immischiati in dibattiti di religione, alcolisti che decantano le Lodi del’ astinenza, che si vantano di avere finalmente deciso di averne abbastanza.

Normalmemte ci si dovrebbe aspettare che persone che si auto dichiarano con forza e convinzione appartenenti a una certa posizione nei confronti di tale cosa, che se ne stiano bene alla larga dalle categorie di persone da loro disprezzate, per un vero sentimento di avversione o semplicemente pura indifferenza.
Ma spesso rimaniamo sorpresi.

Quante volte vi è’ capitato di assistere ad amici e familiari che si accaniscono contro una certa cosa, magari un qualche vizio, o una scelta di vita, per poi scoprire che in realtà c’è un desiderio celato e combattuto di imitarli e partecipare? O che magari in passato hanno invece praticato, di qualunque cosa si stia parlando.

Una volta ho letto su uno stupido libro di profezie qualcosa che in un certo senso un nesso logico ce l’ ha.
La autrice descriveva un personaggio che avrebbe cercato di unire tutti i popoli, tutti i credo, che si sarebbe messo a fare grandi ed eclatanti progetti per il bene dell’ umanità, ammaliandola con discorsi di pace e collaborazione globale, per poi uscire allo scoperto rivelandosi un affamato di potere che finanziava terribili progetti, magari torture, grandi guerre, qualcosa di fortemente distruttivo, tutto rivolto verso i suoi singolari interessi.
Il classico esempio del lupo che si introduce come una pecorella.

Si’ perché le persone spesso sono coscienti di sentire tanta rabbia e avversione dentro e quindi coprono il tutto con eclatanti e invasivi atti di grande bontà, generosità e accoglienza, poi magari per una piccola cosa si accanisce con un improvviso eccesso di rabbia.

Le persone moraliste si accaniscono in ” modo dolce ” contro i violenti e gli incivili, ma credono sempre di essere nel giusto, si ritengono qualcosa in più degli altri e cercano di convincere gli altri che la loro opinione e’ quella più corretta, diventando quindi pseudo- missionari e attuando un ” pacifismo aggressivo ” .

Adottando in maniera esagerata il comportamento opposto a quello temuto, in una sorta di scaramanzia mentale, l’individuo cerca di conservare il suo equilibrio.

Questo studio a livello psicologico mostra il livello di finzione e negazione che esiste nella realtà. Viene da chiedersi quanto conosciamo davvero le persone.

Da sempre la vera dimostrazione di disinteresse e’ l’ indifferenza. Ci sono quelli che non si fanno scrupoli e fanno quello che fanno senza tanti problemi. Si presentano subito esattamente come sono, non hanno interesse a fingere. E poi ci sono quelli che si accaniscono per qualcosa, che si auto dichiarano appartenenti a una certa categoria, che dichiarano forte avversione verso un tipo di categoria. Questa non è’ indifferenza, ma il rendersi conto che c’è un segreto interesse o semplice curiosità alla quale reagiamo come a una invasione interiore, contro la quale tale accanimento e’ l’ antibiotico.

E’ una specie di ” peer pressure ” auto- indotta, una crociata contro una parte di se stessi.

Come la tecnologia ha ucciso il futuro

Il seguente articolo di Douglas Rushkoff, uno studioso dei mass media (autore del libro Present Shock: When Everything Happens Now) è apparso nel gennaio dell’anno scorso, ma penso proprio non abbia perduto di attualità, visto e considerato anche che tratta, in un certo senso, di un’attualità  divenuta perenne, invasiva, patologica e bloccante.

COME LA TECNOLOGIA HA UCCISO IL FUTURO
Presidenti e noi comuni mortali non ne possiamo fare più nulla

Di DOUGLAS RUSHKOFF

present-shock

Le crisi arrivano da ogni parte, e tutte in una volta. Così come le reazioni. Per esempio, le nuove accuse sulle intercettazioni dell’NSA, fanno scattare pop up di risposta su Twitter ben prima che la Casa Bianca abbia  il tempo di intervenire sull’argomento. Un segretario del governo si presume pronto per essere mandato via a proposito di un sito web sull’assistenza sanitaria fallito prima ancora che i problemi del sito siano pienamente diagnosticati. Le pause tra un evento e la risposta a esso – lo spazio in cui la pubblica opinione una volta era calibrata – sono polverizzate, e adesso la reazione è indistinguibile dall’azione iniziale. Il verdetto, la valutazione, il vero significato dietro ciò che sta accadendo è più elusivo che mai.
Siamo costretti a mettere assieme pezzi di storie andando a caccia delle conclusioni. Milioni di post provenienti dai social media vengono scandagliati e analizzati, come se tutti questi innumerevoli pezzi di opinioni, congetture e fantasie in qualche modo potessero fondersi in una storia coerente.

Ma ciò non succede.

Benvenuti nel mondo dello “shock del presente”, dove tutto sta accadendo così velocemente da essere simultaneo. Un “BIG NOW.” Il risultato, per le istituzioni, soprattutto quelle politiche, è stato profondo. Questa trasformazione ha degradato drammaticamente la capacità degli operatori politici di stabilire piani a lungo termine. Gettati fuori rotta, sono ora spesso lasciati semplicemente a vedersela col fuoco di sbarramento degli eventi mentre si svolgono. Improvvisamente, è andata via la nozione caratteristica di “controllo della narrativa”, il flusso d’informazione è spesso troppo indisciplinato. Non c’è tempo per il contesto, solo per la gestione delle crisi.

Certo, il tasso della diffusione e moltiplicazione delle informazioni è accelerato, ma ciò che ora sta prendendo posto è più che una semplice accelerazione. Ciò che stiamo vivendo è l’amplificazione di tutto ciò che è verificato accadere in questo momento e la diminuzione di tutto ciò che non è verificato. Non sono solo i risultati delle ricerche su Google che danno maggior rilevanza all’informazione più recente, ciò viene improvvisamente fatto da un’intera società.

Io mi sento tutto il tempo questo “ORA” alle calcagna. Lo scorso giugno, mentre stavo per andare a parlare sul palco del fenomeno dello “shock del presente” al Personal Democracy Forum, fece irruzione lo scandalo NSA e la CNN ha cominciato a tartassarmi di news al cellulare per apparire in onda. Percependo una sorta di meta-momento, ho cambiato l’approccio al discorso che avrei tenuto di lì a poco e misi assieme alle constatazioni che stavo per fare, leggendo gli aggiornamenti in tempo reale dal mio cellulare proprio mentre parlavo della nostra tendenza a essere presi nella rete da questo “ORA.”
L’utilizzo di qualsiasi altro tipo di veloci news già accadute avrebbero avuto il sapore del tempo passato. Il mio discorso divenne più di una dimostrazione: divenne un esempio di shock del presente a proposito dello shock del presente in una giornata di shock del presente.

Non è sempre stato così. Non più tardi della fine del XX secolo, lo zeitgeist (=”spirito del tempo”), era ancora animato da un tipo di propensione a guardare in avanti, nel futuro. Vi era la sensazione che stavamo accelerando verso un grande cambiamento alimentato dalle nuove tecnologie, le reti e la connettività globale. Oggi, quel cambiamento può essersi finalmente concretizzato ma, piuttosto che incoraggiarci a guardare ulteriormente avanti, ha instillato in noi una pervadente sensazione di “presentismo.” La nostra vecchia ossessione del ritmo del progresso, è stata soffocata dall’assalto di tutto ciò che sta accadendo proprio adesso. E’impossibile perfino tenere il passo, figuriamoci guardare avanti!

Questo nuovo paradigma sta fondamentalmente strapazzando le nostre politiche. L’abilità dei nostri leader di articolare obiettivi, organizzare movimenti o anche approcciare soluzioni a lungo termine, è stata ossessionata (sia da parte loro che nostra) con l'”ORA.” A meno che non ci si adatti a questo nuovo presentismo, e presto, potremo giungere pericolosamente vicini al bordo della paralisi politica.

Come ci si può attendere, possiamo incolpare, almeno in parte, la tecnologia digitale per la nostra attuale condizione.
Considerando il telecomando, il DVR o anche You Tube – ciascuno dei quali, a suo modo, ha eroso la tradizionale funzione della Tv di raccontare storie – come colpevoli di formare, invece, un paesaggio decostruito di memi indipendenti.
Il tipico arco della storia in cui sia le news che l’intrattenimento ne fanno parte, perde la sua funzione quando il pubblico può sfrecciare via o andare avanti e indietro, semplicemente premendo un pulsante.

Oggi Martin Luther King Jr. non sarebbe in grado di mobilitare le persone per il suo “I have a dream”: starebbe disperatamente a fare e ricevere tweet come il resto di noi, accumulando like dai follower su Facebook come sostituti delle marce assieme a lui. Il nostro rapporto coi movimenti sociali e politici sta cambiando molto allo stesso modo. Sono andati via i giorni quando potevamo seguire un leader carismatico, coi fini che giustificano i mezzi, verso degli obiettivi chiari. Immaginate, allo stesso modo, John F.Kennedy oggi tentare di raccogliere il supporto nazionale per una DECENNALE gara di conquista lunare!

Il presente estremo non è un ambiente favorevole a costruire movimenti duraturi.

Douglas Rushkoff è teorico dei media e autore del libro Present Shock: When Everything Happens Now.

http://www.politico.com/magazine/story/2014/01/how-technology-killed-the-future-102236.html#ixzz3Rx6W7s4C

Vedere anche:

https://civiltascomparse.wordpress.com/2011/07/04/la-realta-e-unimmagine-che-linformazione-non-puo-costruire/

 

Iperdisordine, punto di rottura e caos

fibonacci_a_mano

http://sacroprofanosacro.blogspot.it/2015/02/transizione-nella-preservazione-qui-cosi.html

Caos, dal latino Chaos e dal greco antico Khaos. In teologia, il caos è la «confusione generale degli elementi prima della loro separazione e della loro sistemazione per formare il mondo». Nella mitologia greca, Khaos precede tutto : «Nella mitologia greca, il Caos (in greco antico Khaos, letteralmente “Apertura, spalancatura”, dal verbo kainô, “spalancare, essere spalancato”) è l’elemento primordiale della teologia esodiaca. Esso designa una profondità spalancata…[…] Secondo la “Teogonia” di Esiodo, esso precede non solo l’origine del mondo, ma quella degli Dei…» Ci appoggiamo su questo possente riferimento per considerare che “il caos”, nelle nostre concezioni, è assolutamente differente dal disordine. Il caos è uno stato superiore del disordine, un sovra-disordine se vogliamo ; mentre il disordine comprende “degli elementi, dei dati, delle informazioni, delle variabili, di cui la disposizione è improvvisamente rovesciata”, il caos comprende, in disordine, tutti gli elementi, tutti i dati, tutte le informazioni e tutte le variabili possibili… Cioè, è un sovra-disordine, secondo il nostro giudizio in questa nostra epoca, un disordine che si stacca in modo decisivo dall’epoca da cui è tratto poichè contiene tutti gli elementi (tutte le informazioni) per la creazione di un’epoca nuova, di una nuova era, – ma no, ancora meglio, è decisamente meglio dire, – per un nuovo ciclo meta-storico… (Al tempo stesso, è evidente che il caos è “creatore” per definizione, o “necessariamente creatore”, ma in un senso che è il nostro, senza alcun rapporto con le dialettiche [di oggi.]

L’iperdisordine è uno sporgersi decisivo e di rottura nei confronti del disordine nella misura in cui apre il disordine a tutti gli elementi possibili, quindi apre la possibilità alla creazione di un ordine che sarà completamente differente dall’ordine [quello di prima] che precede il disordine, aprendo le porte al CAOS.

http://www.dedefensa.org/article-glossairedde_hyperd_sordre_d_sordre_et_chaos_16_02_2015.html

cop

ed-d14536e163ce636308195770d09a618b

 

 

Il rapporto P greco applicato ad esempi bellici secondo il libro “Guerra senza limiti”

Vi presentiamo un estratto preso dal libro “Guerra senza limiti – l’arte della guerra asimmetrica tra terrorismo e globalizzazione”, un volume scritto nel 1998 da due militari cinesi, i colonnelli Qiao Liang e Wang Xiangsui, i quali previdero, con un certo anticipo, gli sviluppi dei dieci/quindici anni successivi, ovverosia, la sempre minore importanza data alle operazioni belliche tradizionali di contesa tra stati sovrani, la sempre maggiore labilità tra attività militari e non militari a fini bellici e la guerra estesa alla speculazione finanziaria, alla disinfo sui mass media, alle azione terroristiche. Inutile dire, che le tendenze previste dai due ufficiali sono state pienamente confermate.

L’estratto in questione è preso dal capitolo quarto del libro, e tratta di come sia possibile utilizzare il rapporto P greco nell’analisi della storia bellica più o meno recente.

guerra-senza-limiti

“Tutto è questione di numeri”. Seguendo questo pensiero, il filosofo Pitagora incontrò inaspettatamente una serie di misteriosi numeri semplici: 0,618. E alla fine scoprì la regola della sezione aurea (una formula matematica che indica la derivazione della cifra 0,618.)

Nei successivi duemilacinquecento anni questa formula è stata considerata dagli artisti come la regola aurea dell’estetica. Com’è stato autorevolmente dimostrato dalla storia dell’arte, quasi tutte le opere d’arte considerate come capolavori, sia che fossero state create in maniera casuale o in base a una ricerca intenzionale, sono state tutte vicine o conformi a questa formula nei loro criteri estetici fondamentali. I popoli a lungo hanno provato meraviglia alla vista del Partenone, credendo che si trattasse dell’opera di un dio; attraverso calcoli e misurazioni si scoprì che il rapporto tra le sue linee verticali e quelle orizzontali coincideva perfettamente con il rapporto di 1:0,618.

segmento_aureo

La sezione aurea di un segmento AC è la parte AB che è media proporzionale tra AC e BC. Ossia AC:AB=AB:BC. Se invece dei segmenti si considera la proporzione numerica tra le loro misure e la misura AB si indica con X, si ha l’equazione X2 + X – 1 = 0. Questa ha una sola radice reale positiva x=(-1+radice quadrata di 5)/2 che è uguale a 0,618033988.
In termini estetici rappresenta un rapporto equilibrato tra una parte e il tutto. In termini di speculazione del pensiero può individuare l’anelito alla misura e all’armonia. Per la mente occidentale è quasi un istinto riferirsi a questo rapporto. Concettualmente è l’equivalente occidentale del gusto armonico, asimmetrico, a-lineare orientale.

aurearett

[…]

Si consideri come questa regola si sia ostinatamente “manifestata” per rivelare chiare indicazioni prima di essere riconosciuta come qualcosa di più di una regola delle arti. Napoleone attaccò la Russia nel giugno del 1812. In settembre, dopo aver fallito nel tentativo di eliminare l’esercito russo nella battaglia di Borodino, Napoleone entrò a Mosca. A quell’epoca, non si era ancora reso conto del fatto che il suo genio e la sua buona stella lo stavano abbandonando a poco a poco, e che l’apogeo e il punto di svolta della sua carriera e della sua vita si stavano avvicinando contemporaneamente. Un mese dopo, l’armata francese si ritirava da Mosca sotto pesanti nevicate. Vi furono tre mesi di vittoriosa avanzata e due di declino; sembra che, mentre guardava Mosca che bruciava, l’Imperatore dei francesi si trovasse sulla linea della sezione aurea.

Sempre in giugno, centotrenta anni dopo, la Germania nazista lanciò il piano Barbarossa contro l’Unione Sovietica. Per due anni interi le forze tedesche mantennero il loro impeto offensivo. Fu nell’agosto 1943 che ripiegarono alla fine dell’azione del Castello e da quel momento non sarebbero più state in grado di sferrare un attacco all’altezza di una vera e propria campagna militare contro le forze sovietiche. Forse anche questo fatto deve essere considerato come una semplice coincidenza: la battaglia di Stalingrado, che da tutti gli storici militari è considerata il punto di svolta nella guerra patriottica sovietica, ebbe luogo esattamente nel diciassettesimo mese della guerra, cioè nel novembre del 1942. E quello fu il “punto aureo” nell’asse temporale che comprendeva i ventisei mesi nel corso dei quali la parabola dell’esercito tedesco giunse alla sua fase calante.

Si consideri anche la Guerra del Golfo [1991]. Prima della guerra, gli esperti militari stimavano che l’equipaggiamento e il personale delle Guardie Repubblicane di Saddam avrebbero fondamentalmente perso la loro efficacia nel momento in cui le perdite causate dagli attacchi aerei avessero raggiunto o superato il 30%. Per portare le perdite dell’Iraq a questo punto critico, gli Stati Uniti estesero ripetutamente i tempi del bombardamento. Quando la “Spada del Deserto” fu sguainata, le forze iraquene avevano già perso il 38% dei loro 4.280 carri armati, il 32% dei loro 2.280 mezzi corazzati e il 47% dei 3.100 pezzi d’artiglieria; rimase all’incirca solamente il 60% della potenza complessiva delle forze iraquene. Attraverso questi dati scarni e crudi si intravede di nuovo balenare la misteriosa luce dello 0,618 nel primo mattino del 24 gennaio 1991. La fase terrestre della Guerra del Golfo terminò cento ore dopo.

Questi esempi di cui la storia è costellata, rappresentano qualcosa di realmente straordinario. Se considerati singolarmente, sembrano solo eventi fortuiti verificatisi uno dopo l’altro nel tempo. Ma il creatore non fa mai nulla senza una ragione. Se troppi avvenimenti evidenziano lo stesso fenomeno, li si può ancora ritenere casi fortuiti? No. A questo punto bisogna ammettere che esiste una regola.