Tachipirina e vigile attesa

Ultimamente ho avuto una sorta di blocco creativo che ha coinvolto questo blog, la scrittura in generale e, mi duole ammetterlo, un po’ tutto il resto della mia vita. Ho fatto qualche tentativo per sbloccarmi ma si è trattato di un qualcosa di forzato e innaturale.
Forse dovrei rileggere “On Writing” di Stephen King. Da quel che ricordo, King diceva che le migliori condizioni per scrivere sono la placida tranquillità oppure, al contrario, l’angosciosa preoccupazione: in quest’ultimo caso scrivere assume allora una valenza di “fuga” e l’attività può dipanarsi in modo incredibilmente fluido. In effetti in passato, quando avevo lo stimolo a scrivere, ho trascorso momenti di viva preoccupazione. Adesso sembra che questa preoccupazione si sia un po’ dissolta ma la vera tranquillità purtroppo latita ancora.
Difficile e pericoloso è utilizzare le sensazioni personali come metro di analisi e decodifica per le sensazioni sociali o, addirittura, “lo spirito dei tempi”. Però, il più delle volte, solo queste abbiamo: le nostre sensazioni. A posteriori funzionano tutte come premonizioni ma prima sono simili a biglietti della lotteria e per giunta, come scriveva qualcuno che non ricordo, una lotteria dai premi per lo più insignificanti.
Così mi è venuta l’idea di provare a descrivere, se non lo spirito dei tempi, per lo meno le sensazioni generali che si respirano in questo preciso momento storico. Non in modo obiettivo ma come riflesso delle mie sensazioni personali, maturate in modo incoerente nel poliedrico mare della società delle informazioni veicolata da internet.
Mi sono quindi chiesto: qual è la sensazione principale che più ha elementi in comune con la situazione generale?
Mi sono risposto: l’attesa.
E ho pensato: questo è un ottimo argomento per questo blog. Cos’è questo blog se non un blog sull’attesa?

SLOGAN PANDEMICI

Lo slogan che dà il titolo a questo post era l’indicazione per il protocollo di cura casalingo in caso di Covid. Lo scelgo un po’ provocatoriamente perché poi, si è scoperto (come? dove? da chi?) che era un protocollo sbagliato e che, anziché la Tachipirina, erano necessari altri farmaci con funzione antiinfiammatoria. La provocazione sta nell’idea che forse anche noi stiamo sbagliando “cosa” abbinare alla “vigile attesa”. Ma la “vigile attesa” è, in effetti, l’unico elemento da cui non possiamo prescindere anche oggi che cominciamo a parlare del dopo-Covid.
Ma cos’è più nello specifico questa sensazione? Cosa vuol dire attesa?
L’attesa è una situazione paralizzante nella quale non si riesce a far altro che aspettare un evento decisivo. Sia esso bello o brutto, desiderato o temuto, l’evento oggetto dell’attesa è un qualcosa che non possiamo ignorare, un po’ come risulta difficile dormire o mangiare sapendo che tra un’ora ci aspetta un’esecuzione capitale o come quando attendiamo il passaggio dell’ultima perturbazione prima di partire per le vacanze. Come quando diciamo a noi stessi: vediamo come va dopo che è successo quel che deve succedere e poi, con la situazione ormai stravolta, ripartiamo analizzando i nuovi e mutati punti fermi.
“Aspettando Godot”? Massì, togliamoci subito di mezzo la citazione…

L’ESCHATON

Questo blog, riprendendo le teorie di Terence McKenna ha atteso per anni l’Eschaton, l’evento che segna il prima e il dopo. Non conosco ovviamente a priori la natura dell’evento ma so fin troppo bene che potrebbe contribuire a perpetuare il classico discorso di apocalissi ingannevoli, divenendo un “mille non più mille” aggiornato periodicamente, l’attesa di un messia ebraico, il giorno del giudizio che tarda a venire e che, invariabilmente, cicca tutti gli appuntamenti che noi umani abbiamo con tanta cura confezionato. Oggi Nostradamus non è più alla moda e Malachia ha passato il suo momento di gloria.
Però questa attesa spasmodica io la respiro e l’accelerazione a spirale del tempo è una sensazione che ho percepito molto prima di incappare in questo blog.
Nella mia vita l’attesa è cominciata quasi in sordina ma è rimasta latente, quasi come in certe epoche storiche in cui l’evento X lungamente atteso s’era allontanato dalla nostra testa, dando all’uomo il via libera per pensare ad altro. Ad esempio il Rinascimento è il classico esempio, nella narrazione storiografica, di epoca spensierata e intellettualmente stimolante.
Inutile che vi citi Fukuyama, destinato ad essere perculato a vita per il suo discorso sulla fine della Storia, un po’ come quel fisico che agli inizi del 1900 aveva detto che ormai avevamo scoperto un po’ tutto quello che c’era da scoprire. Ogni volta che qualcuno dice “Ora stiamo tranquilli” succede il finimondo, riemerge un problema insormontabile e torna, implacabile, l’idea dell’attesa.

QUANDO E’ COMINCIATA L’ATTESA

Non c’è dubbio che l’attesa comincia quando appaiono i problemi, le questioni irrisolte. E’ come in un giallo: c’è l’omicidio e il giallo non può concludersi senza scoprire esattamente com’è andata e chi è l’assassino. Nella mente umana c’è un’idea di coerenza a cui non sappiamo e non vogliamo rinunciare. Cosa sono tutti i romanzi se non tentativi di ordinare la realtà, di capirla, di “chiudere la questione”?
Immagino che molte persone del passato si siano trovate di fronte a questioni storiche irrisolte. Suppongo che molti si siano detti: “Così non può più andare avanti!”. E’ naturale e molte di quelle persone oggi sono morte. In effetti avevano tutte ragione perché la situazione non è mai stata stabile, imperi sono sorti e caduti, vincitori e vinti si sono avvicendati, dei e cieli antichi sono stati sostituiti da dei e cieli nuovi.
Cos’è però che oggi rende pressante il senso di attesa? Quando possiamo pensare che questa specifica attesa abbia avuto inizio?
Non c’è dubbio che l’età anagrafica collochi questa attesa ora prima, ora dopo, nella linea del tempo.
Molti considerano come spartiacque l’11 settembre 2001 e probabilmente a ragione.
Un paio di giorni prima avevo sognato di aggirarmi per enorme palazzo con una ragazza finché qualcuno non mi aveva detto che si trattava di una ragazza robot esplosiva. All’inizio avevo pensato si trattasse di un meccanismo psicanalitico di censura ma a posteriori credo sia stato qualcosa di diverso. Anche il senso di necessità di trascrivere il sogno sul diario e la sensazione spiacevole connessa…
Per molti l’11 settembre 2001 è stato il classico problema irrisolto: talmente tante sono state le cose strane nella narrazione ufficiale che cominciare con l’analizzarle condurrebbe dritti dritti verso il complottismo che, pur non potendosi escludere come atteggiamento utile a decodificare la realtà, non è il tema di questo blog.
Per questo vorrei parlare di un anno a caso: il 2008.

INIZI DI COUNTDOWN

Per me il 2008 è un anno che ha modificato molte cose. Ha determinato il ciclo di vita in cui sono immerso ancora oggi. Non è il caso di parlare di me in modo specifico ma voglio partire da una sensazione personale: nel 2008 non mi è successo nulla di particolare ma le cose hanno cominciato a complicarsi dopo che nel 2007 sembrava potessero prendere tutta un’altra direzione.
E a livello generale?
Vi invito a vedere un film del 2008. Uno qualsiasi. Magari anche uno italiano. Che so: “La fidanzata di papà” con Massimo Boldi. Sembra passato un secolo, forse perché allora non c’erano ancora i social e gli smartphone. Ma sono 13 anni.
A livello economico, c’è stata una cosa chiamata crisi dei sub-prime. Il sistema finanziario ha rischiato di collassare come nel 1929 ma non l’ha fatto grazie a pesanti iniezioni di soldi delle Banche Centrali creati da zero (i cosiddetti Quantitative Easing) e grazie all’artificioso taglio dei tassi di interesse che sono sempre più scesi in un curioso countdown che, a colpi di mezzo punto percentuale, li ha portati allo zero e sotto lo zero. Qual è il problema? Il problema è che è come calciare un barattolo in avanti prendendo tempo. Il problema è che c’è l’implicita ammissione che non è possibile andare avanti all’infinito, che manca l’equilibrio, l’omeostasi. Sui blog degli economisti della scuola austriaca tutti aspettano il loro personale Eschaton, cioè il collasso dell’Economia Fiat (ovvero del denaro creato a volontà dalle Banche Centrali). Non entro nel merito nè li supporto ma è solo uno dei tanti esempi di countdown che si sono innestati quasi naturalmente ma in modo sempre più pressante: il confronto con la potenza cinese, la disoccupazione fuori controllo, l’emergenza climatica, la dissoluzione morale dei giovani della movida, lo svuotamento delle chiese, l’insostenibilità economica di tante attività che solo anni prima erano sostenibili, i divorzi rampanti, i cali delle nascite e, nel piccolo, le edicole chiuse il pomeriggio. Forse non tutto è preoccupante, magari è solo l’allarmismo dei media, ma il senso di urgenza invade la nostra vita.
E poiché è poco quel che sembra possiamo fare singolarmente, il senso di urgenza o di emergenza si trasforma inevitabilmente in senso di attesa. Anche chi forse potrebbe fare qualcosa prende tempo: “quando la crisi passerà…” viene ripetuto da tanti anni.
Forse è il momento di ammettere (e molti sembrano averlo fatto) che abbiamo creato la nostra attuale società e le nostre strutture mentali e la nostra idea di convivenza su presupposti troppo specifici e particolari, su idee che oggi non valgono più. Ma siccome non riusciamo a fermare il treno, aspettiamo che finisca la benzina o arrivi lo schianto.
Questa è la mia sensazione. E’ quella di molti altri?
Magari molti di voi hanno in testa un altro anno che ha incrementato la consapevolezza dell’attesa. E magari hanno considerazioni diverse sulle mie, meno basate su generiche senzazioni e considerazioni socio-economiche e più fondate sullo sfuggente e a tratti ingannevole “linguaggio del crepuscolo”.

COME INGANNARE L’ATTESA

Osservo gli altri. Molti aumentano i propri sforzi. E’ esattamente la definizione di fanatismo: aumentare gli sforzi quando peggiorano i risultati. Vedi fantomatici gruppi finanziari che acquistano squadre di calcio e poi falliscono. Vedi politici che sfruttano la pandemia per guadagnare coi prodotti ad essa collegati. Vedi imprenditori che si drogano e si buttano sul sesso estremo prima d’essere arrestati per aver calcato troppo la mano.
Poi ci sono quelli che stanno fermi e aspettano in “vigile attesa”.
Ecco, sono uno di questi e non so se è l’atteggiamento giusto. Forse nella vita bisognerebbe andare avanti e avanti e avanti ma ho questa idea di qualcosa in arrivo, qualcosa che ci riguarda tutti.
Qualcosa che ci salvi, magari.
Come quando chiedevano a Dylan Dog se credeva nel paranormale e lui rispondeva: diciamo che ci spero.
Credi nell’Eschaton? Ecco, diciamo che ci spero.

Recensione di “Fenomenologia della fine” di Franco “Bifo” Berardi

Leggendo questo post di qualche giorno fa mi sono convinto della necessità di leggere il libro di Franco “Bifo” Berardi intitolato “Fenomenologia della fine”. E’ stato un impulso improvviso. A dispetto della passione che nutro per il sincromisticismo, non so fino a che punto è un bene seguire così ciecamente le intuizioni, gli impulsi e i colpi di testa, ma ad ogni modo, considerato che leggere un libro oggigiorno non può far mai troppo danno, mi sono procurato l’e-book e l’ho affrontato.

La copertina di “Fenomenologia della fine” di Franco “Bifo” Berardi

Devo ammettere una cosa. Parlando d’istinto, Franco Bifo Berardi non mi è naturalmente simpatico. Il suo modo di presentarsi, un po’ demodè, un po’ “trasandato con cura”, non fa che accrescere il mio pregiudizio. Il fatto che, da rapida ricerca web, risulti avere molta visibilità anche all’estero, con traduzioni e articoli internazionali, non aiuta a farmi cambiare idea, anzi. Sono tempi in cui cerchiamo Cassandre, profeti non necessariamente di sventura, ma possibilmente non-mainstream, di nicchia, su misura, capaci di interpretare un possibile sviluppo futuro con l’occhio libero dai condizionamenti.

Ritratto fotografico di Franco “Bifo” Berardi

Perciò quando comincio a leggere il suo saggio sono ancora, troppo, arroccato nella mia posizione di chiusura. Franco “Bifo” Berardi si professa anarcocomunista o comunque, come il suo amato Marx, fa sin dall’introduzione una analisi preliminare “teleologica” che vede nel comunismo l’obiettivo salvifico finale. Il suo sembra una ideologia vecchia, velleitaria, una posa fuori dal tempo, una distopia ancora in piedi perché non ha avuto ancora occasione di fallire o forse è già fallita e lui non se n’è accorto.
Ma Franco “Bifo” Berardi è onesto e riconosce, ad un certo punto del libro, il suo velleitarismo, anzi lo rivendica con coerenza.
Quando si continua a leggere, appare poi la vera natura dello scritto. Il suo, almeno nella prima parte, è un diario, un resoconto della pandemia che narra di vicende non troppo diverse da quelle che abbiamo vissuto tutti noi. Giornate scandite dalle stesse immagini che abbiamo visto nei drammatici momenti del lockdown ma raccontate con una certa freschezza, con linguaggio semplice ma non certo sciatto e con riflessioni intrise in parte col velleitarismo narrato prima, che finisce con il risultare anche simpatico, qualunque sia la nostra idea.
Amicizie, morti, ricordi, acciacchi personali, citazioni tratte da media digitali, storie di parenti, riti quotidiani si susseguono nei suoi ricordi su pagina come se fossero i nostri.
Sempre a prescindere dalla nostra idea, è impossibile tuttavia non ritrovarsi d’accordo con la sua posizione di fondo che appare forte e netta già in questa prima parte del saggio: gli ultimi decenni della nostra storia sono stati un delirio nevrotico che ha richiesto, da parte nostra, una accelerazione sempre più insensata nei ritmi per un ritorno ben magro, se non negativo, sulle nostre esistenze.
Se l’alternativa non sarà l’utopia di Bifo, dovrà comunque essere qualcos’altro. Il “There is no alternative” di tatcheriana memoria non ha più ragione di esistere.

Belle alcune immagini e metafore.
Quella iniziale ad esempio, che mi ricorda un fumetto di Martin Mystere che sono andato a ritrovare: la pandemia e le sue conseguenze (in particolare il “rallentamento”) non sono altro che il sintomo di una malattia che il pianeta terra sta cercando di debellare, come un organismo che si riposa per recuperare ed espellere il nemico biologico. Franco “Bifo” Berardi chiama questa malattia neoliberismo (una definizione fin troppo di moda per designare il “mostro moderno”) ma noi ci possiamo comunque sentir liberi di dargli ragione utilizzando un nome diverso. Perché dargli ragione, ormai, non sembra più questione di opinione.

Una pagina tratta dal fumetto Martin Mystere Extra n. 4 (gennaio/febbraio 1997)

Quando leggo un libro, non mi aspetto mai di essere completamente d’accordo con l’autore. Talvolta mi piace un punto di vista diverso, a volte invece mi basta ricordare uno o più particolari, riflessioni, idee significative.
Ce ne sono varie nel libro, ma mi è piaciuta particolarmente questa, perché era già “mia”:

Ma cos’è il terrore? Terrore è una condizione in cui l’immaginario domina completamente l’immaginazione. L’immaginario è l’energia fossile della mente collettiva, le immagini che l’esperienza vi ha depositato, l’imitazione dell’immaginabile. L’immaginazione è l’energia rinnovabile e impregiudicata. Non utopia ma ricombinazione dei possibili.

E’ una riflessione che fa il paio con quella già citata in un altro articolo linkato in questo blog:

Chi immagina per primo vince – questa è la legge universale della Storia.

A cui fa seguito il giusto dubbio:

Almeno credo.

Cosa abbiamo di profetico o sincromistico in questo libro?
Ad esempio la citazione di un suo romanzo, praticamente invenduto, intitolato “Morte ai vecchi”, di cui Bifo ci racconta la trama:

Scoppia una specie di epidemia inspiegabile: ragazzini di tredici-quattordici anni ammazzano i vecchi, dapprima alcuni casi isolati poi sempre più frequenti, poi dovunque.

Il suo racconto fa parte di una pagina del diario del 18 marzo, in cui Bifo sembra leggere metaforicamente, oltre che una precisa dinamica della pandemia Covid che colpisce gli anziani, un collegamento coi ragazzi di FridayForFuture e Greta Thumberg, ignorati dai Grandi Vecchi dell’economia e della politica, che ottengono per vie traverse un riscatto alleandosi con Gea, la divinità del pianeta Terra.
Io ci leggo invece (a posteriori) una visione premonitrice della colpevolizzazione dei media nei confronti dei ragazzi della “movida”, additati come untori.

Movida, Covid e Giovani

Nella seconda parte del saggio poi, il tono si eleva e lo sguardo spazia ben oltre e ben sopra il quotidiano, approdando a citazioni letterarie più o meno pop (da Ugo Foscolo a William Burroughs, da Giacomo Leopardi a Philip K. Dick) ma anche a riflessioni sociologiche miste a visioni svincolate dal razionale dominante. Il titolo di questa seconda parte è “Sei meditazioni sulla soglia” e una di esse, “La profezia sensuale” è esattamente il materiale di questo blog, come appare chiaro leggendo, ad esempio:

Quel che mi interessa dell’attività profetica è questa capacità della mente umana (di alcune menti umane) di sintonizzarsi con l’inconscio collettivo, o, forse meglio, la capacità di leggere i flussi che circolano nella psicosfera.

Trovo che queste riflessioni costituiscano la parte più interessante dell’opera.

Due parole conclusive poi merita il titolo e la tematica apocalittica. Come in vari altri autori, il Covid, abbinato ad altri elementi di discussione pubblica quali l’inquinamento e il riscaldamento globale, fa emergere in modo naturale la tematica tipicamente evoluzionista dell’estinzione della razza umana. Bifo prevede una apocalissi e una catastrofe (analizzando l’etimo di questa parola: andare oltre la soglia) ma, pur evocando lo scenario, la identifica con la fine di una vecchia fase e dell’inizio di una nuova in cui la volontà dell’uomo non ha più un ruolo centrale. Si tratta di un passaggio che, tuttavia, è convinto non avverrà in modo pacifico, né scontato nei suoi esiti.
Bifo colloca l’inizio di questa guerra ideologica e fisica esattamente dopo la fine della pandemia ma, fortunatamente, il suo tono non è né quello del profeta, né quello del futurologo che prendono i propri vaticini troppo sul serio.

E’ definitiva di una lettura molto interessante, anche se, forse, siamo ancora troppo immersi nelle vicende descritte per poterle valutare con la lucidità necessaria a trarre una qualche intuizione utile. Come sostiene anche l’autore ad un certo punto della sua disamina, l’apocalisse che tanto aspettavamo è scesa sulla Terra. Prevedevamo una deflagrazione improvvisa e non una catastrofe al rallentatore, ma ormai l’apocalisse è qui e ci siamo esattamente in mezzo.