Le elezioni politiche del 1948, le più allucinatorie di sempre

Ricordo quando nel lontano 1994 iniziò in Italia la cosiddetta “Seconda Repubblica”, dopo che tra il 1989 e il 1993 ebbe fine la “Prima Repubblica”.

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Almeno tre periodi della storia italiana riassunti in uno stesso manifesto.

La “Prima Repubblica” ebbe inizio poco più di quarantacinque anni prima, tra il 1946 e il 1948, in seguito al referendum Monarchia-Repubblica assieme alle prime elezioni post-belliche del 1946 le quali formarono la legislatura dei lavori parlamentari che portarono alla commissione che scrisse la Costituzione sulle cui basi si stabilì appunto la Repubblica.

Prima delle elezioni del 1992 – e soprattutto prima delle elezioni del 1994 – chi scrive fu da sempre abituato ad assistere a campagne elettorali alquanto istituzionali e, comunque, costantemente, fino alla fine degli anni ottanta, la comunicazione politica attraverso i mass media appariva sempre formale e talvolta anche un po’ paludata e ingessata nei suoi cliché e stereotipi da “servizio pubblico”

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Il manifesto “Vota comunista”, sempre lo stesso per almeno trentacinque anni.

Fino al 1989-1993 c’era questo sistema che sembrava non sarebbe cambiato mai: da una parte la Democrazia Cristiana e dall’altra il Partito Comunista Italiano.

Tutti gli altri partiti apparivano quasi come le eccezioni che confermavano la regola delle due colonne che sostenevano tutta la struttura politica, DC e PCI, ed entrambi erano referenti di superpotenze contrassegnate da sigle le quali si trovavano oltre confine, a ovest e a est, l’una potenza marittima l’altra potenza terrestre.

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Dal 1948 al 1988 non cambiava mai niente e la dirigenza politica della capitale, tra palazzo Chigi, Montecitorio, palazzo Madama e le sedi dei vari partiti, era sempre uguale a se stessa, soprattutto nei suoi formalismi e nella sua serietà ostentata.

Ogni appuntamento elettorale, dal 1953 al 1987, era scandito da figure ripetitive, da una specie di fotocopiatrice formale che, anche nel passaggio dal bianco e nero al colore, eiettava sempre le stesse copie, di manifesti elettorali e tribune politiche sempre uguali a se stessi.

Non solo la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista ma anche gli altri: i socialisti, i missini, i liberali, i socialdemocratici, i repubblicani…tutti usciti fuori dalla temperie del 1946-1953 e tutti ancora belli ingessati come manichini al loro posto per l’appuntamento elettorale del 1987, l’ennesimo di una lunga serie stereotipata e all’epoca apparentemente interminabile.

Perciò ero rimasto sbalestrato nel 1994, un po’ nel vedere che tutti i partiti quarantennali non c’erano più (a parte certi loro cloni malriusciti) e un po’ nel vedere che il tipo di comunicazione politica elettorale ai quali si accompagnava era praticamente saltato per aria e si avvicendavano figure che apparivano come showman e nuove strutture politiche che apparivano come qualcosa a metà tra degli show o delle squadre di calcio.

Abbiamo detto che le due colonne portanti DC e PCI e le restanti colonne laterali (PSI, PLI, PRI, PSDI, MSI) della Prima Repubblica uscirono fuori dagli appuntamenti elettorali 1946-1948.

In quegli anni era già presente il formalismo elettorale isituzionale che avremmo visto nei quarant’anni successivi fino al 1988?

NO.

Questa è una cosa su cui ho riflettuto recentemente ed è riuscita un po’ a stupirmi.

Così come all’inizio della Seconda Repubblica, anche all’inizio della Prima Repubblica vediamo una specie di pazzia invadere l’arena elettorale.

Questo si sarebbe esplicitato soprattutto in occasione delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 ma già le elezioni del 2 giugno 1946, quelle per la legislatura dell’assemblea costituente, mostrarono anomalie che ricordavano più lo spettacolo umoristico piuttosto che la politica seria.

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Infatti una forza politica nata da una rivista satirica chiamata “L’uomo qualunque”, aprofittando della mancanza di prospettive elettorali per molti fascisti nostalgici, che non sapevano cosa votare visto che l’MSI non era ancora nato, era riuscita a raggiungere percentuali di voto tali da poter mandare una trentina di eletti alla camera dei deputati e quattro o cinque al senato della neonata Repubblica.

Se nella campagna elettorale di fine maggio 1946, DC e PCI non erano ancora troppo nemici poiché entrambi loro esponenti dovevano organizzare l’assemblea costituente, in quella dell’aprile 1948 lo scontro appariva come uno scontro tra il bene e il male, una questione di vita o di morte. O, almeno, veniva mediaticamente mostrato come tale. Anche perché i veri leviatani, i veri “deus ex machina” che manovravano le leve dei principali partiti ferocemente avversari, giganteggiavano oltreconfine, a ovest e a est, in tutta la loro titanicità e quelle elezioni erano scosse di assestamento di un ordine mondiale in formazione che poi sarebbe durato per quarant’anni esatti.

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Stabile, formale, istituzionale, ingessato e sempre uguale a se stesso per quarant’anni, anche dopo il passaggio dal bianco e nero al colore, anche coi primi personal computer e le prime cifre rosse al led.

La Prima Repubblica si inaugurò con la vittoria della DC a quelle elezioni del 1948 mentre dall’altra parte, quelli che furono poi i perdenti, PCI e PSI, si unirono in un’alleanza che quarantacinque anni dopo si sarebbe definita un “polo”: il Fronte Democratico Popolare.

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Il Fronte Democratico Popolare aveva come leaders il comunista Palmiro Togliatti e il socialista Pietro Nenni ma il vero leader di questo “polo” elettorale era nientemeno che GIUSEPPE GARIBALDI in persona.

Infatti, a quelle elezioni, il proverbiale simbolo della falce e martello (nel 1948 simbolo sia dei comunisti che dei socialisti) praticamente non c’era affatto sui manifesti, sui volantini, sui libretti e su tutta la propaganda varia.

La falce e martello era demonizzata dall’altro blocco contrapposto e avversario, dall’altro “polo”, quello dello “scudo crociato”, quello del liberalismo e del cristianismo contro il social-comunismo…quindi la falce e martello era sparita dal “polo” social-comunista ed era stata mimetizzata dietro una grande stella sormontata dal volto quasi fumettistico del leggendario “eroe dei due mondi” il quale, cosa strana, nonostante fosse una specie di guerrigliero rivoluzionario, comunque non si definì mai ne’ socialista, ne’ comunista e mi sa nemmeno “di sinistra” (anche perché ha sempre obbedito a uomini di stato tutt’altro che “di sinistra”).

C’è un che di straniante al pensare a quella lontana battaglia elettorale di più di settant’anni fa: da essa ne derivò tutto ciò che avremmo imparato a conoscere come una (Prima) Repubblica fondata su uno status quo istituzionale molto poco amovibile e fantasioso però i manifesti di quella primavera 1948 – forse una delle armi principali con cui si combattè quella battaglia – componevano una specie di realtà virtuale allucinatoria, uno psicodramma nazionale collettivo in cui sembrava di essere capitati in uno di quei film che anni dopo avrebbero fatto parte della serie “Guerre stellari”: il Bene era da una parte e la Morte Nera (anzi no, che dico, Rossa) dall’altra; strane figure cartoonesche orripilanti le si vedevano allungare le loro mani sull’Italia, provenendo dai lontani orizzonti dell’est e dell’ovest.

Comparivano eroi armati di scudi con la croce i quali difendevano la cristianità, la democrazia, il liberalismo, contro gli assalti dell’ateismo rosso mangia-bambini il quale avrebbe voluto rinchiudere in una specie di lager dei lavori forzati un’intera nazione cattolica occidentale fomentando amore libero e anti-religiosità e facendo si che i figli non fossero più dei genitori e delle famiglie ma direttamente di proprietà dello Stato.

Dalla parte opposta, gli avversari smentivano tutto questo, non mostrando alcun simbolo che avrebbe potuto spaventare un possibile elettorato social-democratico: nessuna falce e martello, stelle rosse, riferimenti all’Unione Sovietica.

La stella non era più rossa, ora era verde e non si diceva di votare Togliatti e Nenni ma direttamente Garibaldi! Era come un simulacro, qualcosa di vagamente somigliante a certi episodi di serie tv degli ultimi anni, in cui un personaggio di fantasia che compare solo alla televisione diventa a tal punto un beniamino della gente da finire poi a capo di un movimento politico che riesce a sbaragliare tutti.

Curiosamente, all’inizio della Seconda Repubblica, non solo ritroveremo di nuovo un bipolarismo selvaggio e spettacolare come mai si vide più da quarantacinque anni a quella parte (anche se mi sa con molto meno smalto!), ma ritroveremo persino la retorica comunisti-anticomunisti!

Quando ormai non aveva più ragione di essere.

“Elettori, io non ho niente a che fare con quello lì!”
Baffino e baffone.
“Il mostro rosso vuole il vostro sangue, ricordatelo!”
Voto cristiano contro il divorzio e il libero amore.
“Capovolgi e vedrai la frode.”
Contro i lacché scudo-crociati del presidente cecchino USA Truman, VOTA GARIBALDI.
Il perfido burattinaio Truman e i suoi burattini.
Garibaldi si toglie la maschera e sotto c’è Stalin-Mangiafuoco con Togliatti e Nenni che sono il gatto e la volpe mentre l’elettore Pinocchio corre dalla fata turchina democristiana.
“Anche la tua femminilità è affidata al tuo voto”
“Statali, altro che aumenti se viene baffone”.
“In questo segno vincerai”
“Bada De Gasperi, che nessun austriaco me l’ha mai fatta!”

Al seguente indirizzo è presente una serie di articoli di Luca Missero che analizzano i manifesti della campagna elettoriale del 1948 prendendo come riferimento la psicologia analitica di Carl G. Jung: https://www.storiadigitale.it/category/strumenti/testi-ipertesti-e-bibliografie/tesi/il-1948-nei-manifesti-elettorali-luca-missero/page/2/

Non ci resta che divinare, di Giorgio Galli

Recentemente, come mi capita, ho voluto provare la sensazione dell’attualità letta molto tempo dopo rispetto a quando è avvenuta, e così ho preso il libro “Diario politico 1994” del politologo Giorgio Galli; personaggio davvero degno di nota per gente come noi che teniamo un blog come questo, poiché si tratta di uno studioso di politica italiana (e tra i più celebri), con un’inclinazione all’esoterismo, interessato anche alle coincidenze significative, alle sincronicità e allo studio sulle analogie, i ritorni e le ripetizioni nella Storia.

In precedenza, avevo già letto delle cose di Giorgio Galli, come “Hitler e il nazismo magico” e “Le coincidenze significative”, e penso proprio che non mi fermerò qui con lui!

In questo “Diario politico 1994”, viene analizzato, cronologicamente lungo la successione dell’anno, il periodo della politica italiana coincidente con le elezioni politiche 1994 che videro la vittoria del centro-destra capeggiato da Silvio Berlusconi, e il varo del primissimo governo con lui come presidente del consiglio. Tale vittoria viene vista da Galli come un imbroglio voluto anche dall’allora centro-sinistra e, non a caso, quel governo ebbe vita molto travagliata e breve (col culmine durante la sconfitta ai rigori della Nazionale in finale ai Mondiali), concludendosi alla fine di quell’anno

“Diario politico 1994” è una lettura piacevolissima, scorrono i nomi di politici dimenticati di quel lontano periodo di ventidue anni fa: Mino Martinazzoli, Mariotto Segni, Achille Occhetto, Rocco Buttiglione, Gianfranco Fini all’apice del successo, Giulio Tremonti e Fabrizio Cicchitto non ancora berlusconiani, Bossi e la Lega in una delle loro fasi più assurde; alle pagine 98 e 107 compare persino Mario Monti, previsto da alcuni come il migliore successore di Berlusconi alla presidenza del consiglio dopo le dimissioni del cavaliere!

Alla fine del libro vi è un’appendice contenente diversi articoli dello stesso Giorgio Galli risalenti a quel 1994, e proprio l’ultimo articolo – che chiude il libro – è  un’illustrazione del metodo analogico delle coincidenze significative applicato alla previsioni per l’anno successivo, il 1995.

In questa occasione voglio riportare integralmente il contenuto dell’articolo.

 

 

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Non ci resta che divinare

Quale sarà lo scenario politico italiano nel 1995? Per ipotizzarlo è necessaria una premessa. La politologia è in una fase di riflessione. Come tutte le scienze sociali, ha adottato il modello delle scienze esatte, delle scienze della natura. E su di esso ha basato le sue previsioni. Soprattutto negli Stati Uniti, ha avuto a disposizione grandi mezzi, istituti prestigiosi, studiosi autorevoli. Nonostante tutti questi sforzi, tuttavia, non si è riusciti a prevedere il crollo del sistema imperiale sovietico.

Henry Kissinger, ex segretario di stato degli Usa con la presidenza Nixon e autorevole osservatore di politica internazionale, ha così sintetizzato la situazione: avevamo previsto, per l’Urss, un declino inarrestabile, ma graduale, sino a una crisi all’inizio del Duemila. Vi fu invece un crollo repentino, con una decina di anni d’anticipo.

La politologia ha conseguito buoni risultati analitici, anche nello studio del sistema politico italiano. Ma ciò non può mettere in ombra il fatto che il suo approccio non è stato sufficiente per valutare con sufficiente precisione l’evento cruciale di questo scorcio di secolo.

Mi sono perciò chiesto, all’inizio del 1992, in un saggio scritto con Rudy Stauder e del quale “Panorama” ha parlato, se in questa fase di riflessione la politologia non potesse integrare il suo approccio analitico con altre suggestioni, e con le analogie e le coincidenze significative teorizzate da Carl Gustav Jung. Le prendo in considerazione da molto tempo, avevano suscitato a suo tempo il grande interesse di geni della fisica, come il premio Nobel Wolfgang Pauli.

Non è quindi per un’improvvisazione che accolgo la proposta del direttore di “Panorama” di trasformare questo approccio in una trattazione particolare dei temi politici, che unisca alla politologia classica l’utilizzazione di analogie e coincidenze. In un periodo nel quale il quadro politico muta repentinamente quasi di giorno in giorno, è una approccio di respiro.

Veniamo, dunque, al 1995: mezzo secolo dalla fine della seconda guerra mondiale. La constatazione più sorprendente, impensabile nel 1945, è che i due grandi sconfitti di quel conflitto, cioè la Germania e il Giappone, sono oggi potenze economiche mondiali. Tra i vincitori, solo gli Stati Uniti grandeggiano. L’impero britannico e quello sovietico sono praticamente scomparsi (anche se il secondo ha ancora una possibile base territoriale).

E l’Italia? Ha condiviso, per tutti gli anni Cinquanta, il “miracolo dei vinti”. Si è avvicinata all’Europa, in termini di reddito e di cultura, come mai prima nella sua storia. E’singolare che, all’inizio della svolta, troviamo un politico che tiene conto degli oroscopi, Fernando Tambroni, presidente del Consiglio nella primavera del 1960.

Tambroni consulta abitualmente un’astrologa, Maria Gardini. Sembra che ne abbia avuto buoni consigli, sino alla crisi del giugno 1960, quando il suo governo, un monocolore della Democrazia Cristiana sostenuto dal solo Movimento sociale, fu rovesciato da dimostrazioni di piazza e dalle contese all’interno del suo partito. Non so se la signora Gardini vorrà dire qualcosa su quelle giornate.

La coincidenza è questa: il “miracolo dei vinti” sembra esaurirsi quando torna per un momento protagonista il vinto per antonomasia, il fascismo della Repubblica sociale, del quale il Msi era l’erede. La rinuncia a quella eredità, la trasformazione del Msi in Alleanza nazionale, il suo rapporto col governo (sostegno nel 1960, partecipazione nel 1994) sarà uno dei temi politici importanti del 1995.

Probabilmente, però, non il tema cruciale. Le analogie possibili con il 1945 mi sembrano altre due: una coalizione con un peso inizialmente importante della sinistra e l’emergere, verso la fine dell’anno, di un ruolo determinante svolto dal partito di ispirazione cattolica.
Tra la primavera e l’estate del 1945, l’Italia riunificata del 25 aprile è rappresentata da un governo di coalizione tra la Dc di Alcide De Gasperi e le sinistre di Palmiro Togliatti e Pietro Nenni. Sarebbe una coincidenza sorprendente se, a cinquant’anni di distanza, capovolgendo la situazione creatasi nel 1994, si formasse una coalizione nella quale la sinistra (o parte di essa) e il Ppi, erede della Dc, avessero un ruolo di rilievo.

Alla fine di quell’anno, l’importante partecipazione della Democrazia cristiana si trasformò in un ruolo di preminenza (primo governo De Gasperi). E’ una prospettiva che potrebbe ripetersi, verso la fine del 1995 e nell’ipotesi di un 1996 anni elettorale, dopo un riassetto istituzionale. Il Pds di oggi avrebbe comunque più carte da giocare rispetto al Pci del 1945, condizionato dalla situazione internazionale e dalla subordinazione a Stalin.

La distanza storica ha ingigantito le figure di De Gasperi e di Togliatti. Penso che Rocco Buttiglione e Massimo D’Alema non oserebbero paragonarvisi.

Ipotizzo, comunque, che il loro ruolo nel 1995 sarà più importante che nel 1994.
Questo eventuale processo evolutivo della coalizione di governo non dovrebbe nuocere ad Alleanza nazionale. E’più probabile che il disegno di lungo periodo di Gianfranco Fini possa realizzarsi meglio fuori del governo, se il suo partito ne dovesse essere escluso. La sua leadership di una forte destra di tipo europeo è comunque condizionata da quanto accadrà in Forza Italia, dalla variabile giudiziaria, che conserverà un ruolo decisivo nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.

“Panorama”, 2 dicembre 1994.