Non ci resta che divinare, di Giorgio Galli

Recentemente, come mi capita, ho voluto provare la sensazione dell’attualità letta molto tempo dopo rispetto a quando è avvenuta, e così ho preso il libro “Diario politico 1994” del politologo Giorgio Galli; personaggio davvero degno di nota per gente come noi che teniamo un blog come questo, poiché si tratta di uno studioso di politica italiana (e tra i più celebri), con un’inclinazione all’esoterismo, interessato anche alle coincidenze significative, alle sincronicità e allo studio sulle analogie, i ritorni e le ripetizioni nella Storia.

In precedenza, avevo già letto delle cose di Giorgio Galli, come “Hitler e il nazismo magico” e “Le coincidenze significative”, e penso proprio che non mi fermerò qui con lui!

In questo “Diario politico 1994”, viene analizzato, cronologicamente lungo la successione dell’anno, il periodo della politica italiana coincidente con le elezioni politiche 1994 che videro la vittoria del centro-destra capeggiato da Silvio Berlusconi, e il varo del primissimo governo con lui come presidente del consiglio. Tale vittoria viene vista da Galli come un imbroglio voluto anche dall’allora centro-sinistra e, non a caso, quel governo ebbe vita molto travagliata e breve (col culmine durante la sconfitta ai rigori della Nazionale in finale ai Mondiali), concludendosi alla fine di quell’anno

“Diario politico 1994” è una lettura piacevolissima, scorrono i nomi di politici dimenticati di quel lontano periodo di ventidue anni fa: Mino Martinazzoli, Mariotto Segni, Achille Occhetto, Rocco Buttiglione, Gianfranco Fini all’apice del successo, Giulio Tremonti e Fabrizio Cicchitto non ancora berlusconiani, Bossi e la Lega in una delle loro fasi più assurde; alle pagine 98 e 107 compare persino Mario Monti, previsto da alcuni come il migliore successore di Berlusconi alla presidenza del consiglio dopo le dimissioni del cavaliere!

Alla fine del libro vi è un’appendice contenente diversi articoli dello stesso Giorgio Galli risalenti a quel 1994, e proprio l’ultimo articolo – che chiude il libro – è  un’illustrazione del metodo analogico delle coincidenze significative applicato alla previsioni per l’anno successivo, il 1995.

In questa occasione voglio riportare integralmente il contenuto dell’articolo.

 

 

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Non ci resta che divinare

Quale sarà lo scenario politico italiano nel 1995? Per ipotizzarlo è necessaria una premessa. La politologia è in una fase di riflessione. Come tutte le scienze sociali, ha adottato il modello delle scienze esatte, delle scienze della natura. E su di esso ha basato le sue previsioni. Soprattutto negli Stati Uniti, ha avuto a disposizione grandi mezzi, istituti prestigiosi, studiosi autorevoli. Nonostante tutti questi sforzi, tuttavia, non si è riusciti a prevedere il crollo del sistema imperiale sovietico.

Henry Kissinger, ex segretario di stato degli Usa con la presidenza Nixon e autorevole osservatore di politica internazionale, ha così sintetizzato la situazione: avevamo previsto, per l’Urss, un declino inarrestabile, ma graduale, sino a una crisi all’inizio del Duemila. Vi fu invece un crollo repentino, con una decina di anni d’anticipo.

La politologia ha conseguito buoni risultati analitici, anche nello studio del sistema politico italiano. Ma ciò non può mettere in ombra il fatto che il suo approccio non è stato sufficiente per valutare con sufficiente precisione l’evento cruciale di questo scorcio di secolo.

Mi sono perciò chiesto, all’inizio del 1992, in un saggio scritto con Rudy Stauder e del quale “Panorama” ha parlato, se in questa fase di riflessione la politologia non potesse integrare il suo approccio analitico con altre suggestioni, e con le analogie e le coincidenze significative teorizzate da Carl Gustav Jung. Le prendo in considerazione da molto tempo, avevano suscitato a suo tempo il grande interesse di geni della fisica, come il premio Nobel Wolfgang Pauli.

Non è quindi per un’improvvisazione che accolgo la proposta del direttore di “Panorama” di trasformare questo approccio in una trattazione particolare dei temi politici, che unisca alla politologia classica l’utilizzazione di analogie e coincidenze. In un periodo nel quale il quadro politico muta repentinamente quasi di giorno in giorno, è una approccio di respiro.

Veniamo, dunque, al 1995: mezzo secolo dalla fine della seconda guerra mondiale. La constatazione più sorprendente, impensabile nel 1945, è che i due grandi sconfitti di quel conflitto, cioè la Germania e il Giappone, sono oggi potenze economiche mondiali. Tra i vincitori, solo gli Stati Uniti grandeggiano. L’impero britannico e quello sovietico sono praticamente scomparsi (anche se il secondo ha ancora una possibile base territoriale).

E l’Italia? Ha condiviso, per tutti gli anni Cinquanta, il “miracolo dei vinti”. Si è avvicinata all’Europa, in termini di reddito e di cultura, come mai prima nella sua storia. E’singolare che, all’inizio della svolta, troviamo un politico che tiene conto degli oroscopi, Fernando Tambroni, presidente del Consiglio nella primavera del 1960.

Tambroni consulta abitualmente un’astrologa, Maria Gardini. Sembra che ne abbia avuto buoni consigli, sino alla crisi del giugno 1960, quando il suo governo, un monocolore della Democrazia Cristiana sostenuto dal solo Movimento sociale, fu rovesciato da dimostrazioni di piazza e dalle contese all’interno del suo partito. Non so se la signora Gardini vorrà dire qualcosa su quelle giornate.

La coincidenza è questa: il “miracolo dei vinti” sembra esaurirsi quando torna per un momento protagonista il vinto per antonomasia, il fascismo della Repubblica sociale, del quale il Msi era l’erede. La rinuncia a quella eredità, la trasformazione del Msi in Alleanza nazionale, il suo rapporto col governo (sostegno nel 1960, partecipazione nel 1994) sarà uno dei temi politici importanti del 1995.

Probabilmente, però, non il tema cruciale. Le analogie possibili con il 1945 mi sembrano altre due: una coalizione con un peso inizialmente importante della sinistra e l’emergere, verso la fine dell’anno, di un ruolo determinante svolto dal partito di ispirazione cattolica.
Tra la primavera e l’estate del 1945, l’Italia riunificata del 25 aprile è rappresentata da un governo di coalizione tra la Dc di Alcide De Gasperi e le sinistre di Palmiro Togliatti e Pietro Nenni. Sarebbe una coincidenza sorprendente se, a cinquant’anni di distanza, capovolgendo la situazione creatasi nel 1994, si formasse una coalizione nella quale la sinistra (o parte di essa) e il Ppi, erede della Dc, avessero un ruolo di rilievo.

Alla fine di quell’anno, l’importante partecipazione della Democrazia cristiana si trasformò in un ruolo di preminenza (primo governo De Gasperi). E’ una prospettiva che potrebbe ripetersi, verso la fine del 1995 e nell’ipotesi di un 1996 anni elettorale, dopo un riassetto istituzionale. Il Pds di oggi avrebbe comunque più carte da giocare rispetto al Pci del 1945, condizionato dalla situazione internazionale e dalla subordinazione a Stalin.

La distanza storica ha ingigantito le figure di De Gasperi e di Togliatti. Penso che Rocco Buttiglione e Massimo D’Alema non oserebbero paragonarvisi.

Ipotizzo, comunque, che il loro ruolo nel 1995 sarà più importante che nel 1994.
Questo eventuale processo evolutivo della coalizione di governo non dovrebbe nuocere ad Alleanza nazionale. E’più probabile che il disegno di lungo periodo di Gianfranco Fini possa realizzarsi meglio fuori del governo, se il suo partito ne dovesse essere escluso. La sua leadership di una forte destra di tipo europeo è comunque condizionata da quanto accadrà in Forza Italia, dalla variabile giudiziaria, che conserverà un ruolo decisivo nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.

“Panorama”, 2 dicembre 1994.

 

Il bombardamento atomico di Genova

1995

Correva l’anno 1995, esattamente dopo il conseguimento del mio esame di maturità, e tutto non sarebbe più stato come prima.

Immediatamente dopo il superamento della prova orale, lessi un articolo sulla rivista “Oggi” riguardante l’epidemia del virus Ebola in Africa, ed ero rimasto così impressionato dalle descrizioni horror dei sintomi e degli effetti sanguinosi della malattia, che mi sembrava quasi di sentirmela addosso.

Poi, andai in vacanza al mare in Calabria, furoreggiava la guerra dall’altra parte dell’Adriatico, in Bosnia e, forse per via del fatto che mi trovavo in un luogo diverso dal solito e, seguendo un po’ ciò che c’era scritto sulle riviste e i giornali riguardante questo conflitto, avevo cominciato a essere angustiato da immaginazioni sul possibile trascinamento dell’Italia in questo conflitto, con le battaglie che avrebbero insanguinato anche il nostro paese, cose a cui non c’eravamo abituati assolutamente, dopo tanti anni in cui si era stati abituati alla pace, e questo m’inquietava e non mi faceva stare tranquillo.

Inoltre, in quel luglio di diciannove anni fa, era esploso anche un ordigno in Europa, sulla metropolitana di Parigi, che aveva fatto morti e feriti, e vi erano, anche in questo caso, descrizioni impressionanti sui giornali (amputazioni di arti, ecc); di solito queste cose accadevano in Medio Oriente, in Israele, non in Europa; per un certo periodo, mi veniva da pensare a possibili esplosioni di quel tipo quando andavo sugli autobus, di ritorno dalla vacanza e, quando avevo udito uno strano ticchettare sotto l’automobile della mia famiglia, avevo subito immaginato alla possibilità di una bomba a orologeria.

Poi venne la GRANDE PARANOIA, quella delle armi nucleari. Infatti, in quell’estate 95, si commemoravano i 50 anni dalle esplosioni nucleari in Giappone e vi era tutta una diffusione di articoli al riguardo, che parlavano anche degli effetti di quelle armi e del loro rischio presente, compreso di analisi degli esperti e con tanto di mappe e cartine. E si parlava, ricordo un’intervista a Carlo Rubbia su “L’espresso” o “Panorama”, di come i rischi presenti, venuta meno la guerra fredda USA URSS, provenissero da paesi come l’Iran.

Precedentemente, non avevo mai riflettuto molto su questo argomento, non mi aveva nemmeno mai preoccupato più di tanto, forse perché non ci pensavo; quando vi erano state le grandi paure nucleari USA URSS degli anni ottanta, ero troppo piccolo e non potevo seguire questi argomenti, e la mia adolescenza l’avevo trascorsa in un mondo postmoderno, post guerra fredda, quei primi anni novanta dove la storia (e con essa anche il terrore dell’olocausto nucleare) sembrava essere finita, con la vittoria della globalizzazione a guida anglosassone, dove i terrori della guerra più distruttiva non sembravano più avere spazio.

Però, in quella seconda metà del 1995, in me sembrava essersi acceso un interruttore. In quello stesso periodo, oltretutto, i francesi, con la nuova presidenza Chirac, avevano ricominciato i loro esperimenti atomici nelle profondità del Pacifico, presso l’atollo di Mururoa. Una sera, sul Tg1, avevo anche visto un servizio dedicato a come gli USA avessero ricominciato a pensare allo “scudo spaziale”, un progetto risalente ai tempi di Reagan negli anni 80, e come, così diceva lo speaker, sembrava  fossero ricominciati di nuovo discorsi da guerra fredda. Questo “scudo spaziale”, nell’estate ’95, sarebbe stato destinato a difendere l’Occidente dalle “minacce terroristiche”, in particolare quelle inerenti il fondamentalismo islamico.

Sulla spiaggia, guardando le onde del mare sotto l’ombrellone, ripensavo a certe cose che avevo letto, un po’ di tempo prima, su un libro delle profezie di Nostradamus, riguardanti l’Apocalisse, la Terza Guerra Mondiale, che avrebbe preso fuoco dal Medioriente, coinvolgendo poi l’Occidente, la Russia e la Cina in quella fine secolo, e fine millennio, che si stava profilando all’orizzonte, il famoso 1999 (comparso anche in una quartina di Nostradamus dedicata al “Gran re di terrore” proveniente dall’Oriente.)

Eppure, come ho detto, in confronto a ciò che poi si sarebbe manifestato nei vent’anni successivi, le immense tensioni internazionali con Serbia, Israele, Iraq, Siria, Cecenia, Corea del nord, Iran, Pakistan, India, Afghanistan, la Libia, la Cina e la stessa Russia, quella metà degli anni novanta, con anche uno zeitgeist piuttosto improntato all’ottimismo generalizzato (basti pensare com’erano spumeggianti e piene di novità le radio all’epoca, con le superclassifiche dance che esplodevano di ottimismo estivo), era tranquilla, anche se, però, non era proprio così: rispetto ai due, tre anni precedenti, qualcosa si stava surriscaldando, qualcosa non era più come prima. Nonostante la globalizzazione del marketing multinazionale fosse nel pieno dei suoi “anni sessanta” (il periodo 1994-1997) captavo qualcosa “dal futuro”, e lo manifestavo con quelle immaginazioni paranoiche.

Riprendendo in mano libri e fumetti che parlavano di guerre mondiali prossime venture, bombardamenti atomici (tra cui un dossier sugli effetti di quelli a Hiroshima e Nagasaki cinquant’anni prima), ora ci facevo caso quando invece, precedentemente, non me ne interessavo. Ripeto, era come se mi si fosse acceso un interruttore nella testa.

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Mi immaginavo aerei che arrivavano a lanciare il loro carico nucleare nei cieli sopra la mia città, Genova, pensando agli effetti distruttivi oltre ogni immaginazione; infatti, in quel periodo, di notte su Raitre, avevo visto anche un film di Alain Resnais di fine anni cinquanta, “Hiroshima mon amour”, film particolarmente angosciante dove, all’inizio, vi è una carrellata spaventosa delle conseguenze del bombardamento del 1945 e, uno dei protagonisti, un giapponese superstite della tragedia, ai discorsi che fa la protagonista femminile, riguardanti il fatto che lei si è documentata bene e sa cos’è successo quel giorno, lui le risponde “Tu n’as rien vu à Hiroshima”, “Tu non hai visto niente a Hiroshima.”

Pensavo alla possibilità di un’esplosione atomica terroristica, magari dentro uno dei container nel porto, provenienti da chissà dove, spesso, quando vedevo un aereo, o il suono di uno di essi nei cieli, la mia preoccupazione aumentava. Mi dicevo che Genova poteva essere benissimo un target di un’azione di quel tipo, visto che era un po’ il corrispettivo occidentale di una città come Hiroshima, una città occidentale abbastanza famosa ma molto meno conosciuta nel mondo rispetto ad altre città italiane ed europee, e quindi PIU’ SACRIFICABILE.

Ricordo che, quando all’inizio di novembre di quel 95, vi fu l’edizione straordinaria dei telegiornali sulla assassinio del premier israeliano Yitzack Rabin, quindi un’azione gravissima, la quale poteva portare a un’escalation dal Medio Oriente, corsi quasi istintivamente alla finestra, guardando verso il cielo, come se avessi potuto vedere gli aerei che stavano sopraggiungendo, con il loro carico di morte da lanciare.

Ero abbastanza cotto. Provavo un clima interiore che sarebbe stato ben riassunto da libri di un paio di anni dopo, come “Codice Genesi”, già citato in questo blog, dove, nell’introduzione, veniva detto come, nonostante il mondo degli anni novanta sembrasse tranquillissimo e senza rischi e minacce, rispetto ai tempi della Guerra Fredda, vi era ancora eccome il rischio dello scatenamento di una Guerra Mondiale che, suggeriva quel libro con le sue “prove profetiche” dentro la Torah in ebraico, sarebbe cominciata con un’esplosione nucleare, però non certo a Genova ma in Medio Oriente, in Israele. Così come la Seconda era FINITA con l’esplosione atomica, la Terza sarebbe COMINCIATA così.

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Come se non bastasse, l’anno dopo, nel 1996, un anno tartassato da esplosioni kamikaze in Israele e da una tensione internazionale sotteranea che sembrava non esplicitarsi mai (forse per mantenere il clima da “anni novanta”), un mio insegnante di filosofia, parlando di questioni storiche e dei rischi di guerra per l’immediato futuro, s’era lasciato sfuggire una frase che non potei credere di aver udito dalla sua bocca:

“Certo, non intendo dire che dovremo attenderci un BOMBARDAMENTO ATOMICO DI GENOVA ma…”

Negli anni successivi, a più riprese, soprattutto quando tendevo a fidarmi ancora quasi totalmente dei media mainstream, mi preoccupai ancora per i rischi di guerra, i quali avrebbero potuto deteriorare la situazione internazionale fino alla Guerra Mondiale con armi termonucleari, ma non pensai più all’idea del bombardamento atomico di Genova, la città dove sono nato, dove vivo e, se non me ne fossi fuggito in tempo, sarei stato vittima.

L’anno scorso, però, intorno al 20 luglio, mi capitò di passare qualche giorno a dormire all’aperto, in una valle isolata, fuori dalla civiltà, ma sempre all’interno del territorio comunale, e, per qualche tempo, favoleggiai, dopo tanti anni, sull’INFAUSTO EVENTO riguardante la mia città. Mi dissi: “Pensa un po’ se ora io, assieme agli altri, siamo qui in campeggio, a venti chilometri dal centro, esplode la Bomba sopra un punto della città sufficientemente distante da noi per salvarci ed essere immuni dalle conseguenze (perlomeno quelle immediate), e noi siamo costretti a rimanere qui in questa valle isolata…”

Mi veniva anche in mente che, nei giorni intorno al 20 luglio 2001, vi furono gli avvenimenti del G8, e questa sarebbe potuta essere una combinazione significativa, esattamente dopo dodici anni. Un ritorno di un avvenimento simile a maggiore intensità e magnitudo, con Genova di nuovo alla ribalta internazionale, non certo per qualcosa di lieto, ma per qualcosa di fortissimo impatto psicologico globale. Come sarebbe, appunto, un’esplosione atomica.

Periodicamente, la città che venne definita con vari soprannomi, “Superba”, “Dominante”, sembra teatro di forti anomalie, le quali scuotono lo status quo, in particolare dell’Italia, ma non solo. Dalla “partenza dei Mille” nel 1860 al bombardamento navale inglese del 1941 (il quale sembrò un “ricorso storico” del bombardamento navale francese del 1684) ai disordini del 1960 e quelli, già citati, del 2001, e le periodiche, disastrose, alluvioni, dal quella del 1970, a quella del 1992, alla recente del 2011.

E poi l’anno scorso, quando una nave colpì un edificio del porto a forma di torre, provocando vittime.

Inaspettatamente, un’episodio di pochi giorni fa, mi ha fatto rispuntare la paranoia del 1995, come se si fosse aperto un “varco spaziotemporale” tra la mia mente di allora e quella di adesso.

Una sera, dopo il tramonto, ho notato una nube particolarmente illuminata dal sole, in un cielo azzurro-rosa, e l’ho fotografata. Il cielo e quella nube dovevano essere belli carichi di elettricità statica.

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Infatti, successivamente, quando si è fatto buio, in quella stessa zona del cielo, sopra un certo monte (zona che ho notato essere particolarmente interessata alle anomalie climatiche), hanno cominciato a sprigionarsi lampi. Sembrava la sequenza di un’esplosione atomica vista al contrario: PRIMA il fungo e POI il lampo.

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Ho immaginato che il famoso EVENTO si sarebbe manifestato nel prossimo agosto (il mese in cui il mio compare Matteo vede come propizio per lo scatenamento di grandi cose), quando sarò via da Genova per dieci giorni. Mi sarei trovato a non poter più tornarci per lungo, lungo tempo e, quando, magari dopo anni, ci sarei ritornato, non avrei più trovato nulla di ciò che era stato e delle persone che ci vivevano.

Mi domando, però, la ragione simbolica di questa paranoia – che s’è ripresentata, sebbene con intensità molto minore, dopo diciannove anni – cosa vuole davvero dirmi il mio inconscio, rendendomi sensibile e ricettivo a immaginazioni di questo tipo, e ho pensato a ciò che ha scritto recentemente il mio compare Mediter su un suo articolo, il millenario scontro Oriente-Occidente, lo scontro tra il sorgere e il calare del Sole, tra un mondo vecchio che non vuole morire e un mondo nuovo che non riesce a nascere.

Come ligure, io questo lo avverto in modo particolare, visto che, il posto dove vivo si trova A META’ tra Occidente e Oriente, infatti Genova si trova in mezzo alla Liguria, tra la Riviera di Ponente (Occidente) e la Riviera di Levante (Oriente) e io, tra l’altro, sono anche di un segno, la Bilancia, che richiama alquanto questa dialettica Est-Ovest.

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Questo essere bilanciata tra una direzione e l’altra, lo si vede anche nell’etimologia del nome della città, che, secondo la leggenda deriva da JANUS, il Dio GIANO, il Dio bifronte, come l’aquila bicipite, che guarda ad Est e a Ovest, stando nel mezzo.

La leggenda vuole invece che derivi dal nome del dio romano Giano, perché, proprio come il Giano bifronte, Genova ha due facce: una rivolta verso il mare, l’altra oltre i monti che la circondano. La tradizionale fedeltà della popolazione Genuate a Roma, risalente alle guerre puniche, ha reso inevitabile che successivamente, in epoca medievale, la tesi romana venisse presa in maggiore considerazione e che la città assumesse il nome latino di Ianua, derivandolo direttamente da Janus, ovvero Giano.

Gli antichi romani consideravano Giano come l’iniziatore dell’uso della moneta nella società ed il protettore di tutti i passaggi: della porta di casa, delle Porte di accesso alle città, dei porti e dei valichi (denominati appunto anche porte). Ciò trova un solido riscontro tutt’oggi nel fatto che Genova sia considerata e spesso chiamata “la porta d’Europa sul Mediterraneo”.

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Tra le nazioni importanti, la Turchia e, soprattutto, la Russia, sono nazioni particolarmente “GIANICHE”, con una faccia verso Occidente e una verso Oriente, ed è questo che le fa essere estremamente importanti per l’evoluzione dei cambiamenti geopolitici.

Dal momento che l’esplosione atomica è stata sempre vista come un secondo Sole che sorge sulla Terra, la si può anche vedere come una specie di ALBA.

Un’alba che sorge a Occidente. O forse – meglio dire – ne’ a Occidente ne’ a Oriente, ma NEL MEZZO. La Sintesi tra Tesi e Antitesi.

L’esplosione atomica di Genova, lungi (come ovviamente spero) dal profetizzare ciò che accadrà veramente, nasconde questa allegoria?!

 

 

Spot TV atlante De Agostini metà anni novanta

Mi sono ricordato di questo spot, risalente al ’94-’95, ispirato a un fatto realmente accaduto, apparso, coincidenza, proprio nel periodo durante la prima guerra dei russi in Cecenia…

Interessante quando il ragazzino. alla fine dello spot, risponde: “Macché America!”

Buona visione.