Crediamo di vivere in un’epoca prodigiosamente innovativa, ma i gadget sfornati dalla Silicon Valley non stanno aumentando la produttività umana ai ritmi che erano tipici degli anni Sessanta. […]
Questo è davvero l’enigma economico del nostro tempo: la produttività è quasi immobile o progredisce a passo di lumaca. Problema serio, perché nel lungo termine è dal progresso della nostra produttività che può derivare un maggiore benessere collettivo.
Noi ci siamo convinti che stiamo vivendo in un’epoca di prodigiosa innovazione ma non ve n’è traccia nella nostra produttività. Anzi.
L’ex presidente della Federal Reserve, Alan Blinder, fornisce questo quadro inquietante: “Su un arco di 143 anni l’aumento medio della produttività è stato del 2,3 per cento annuo. Questo ci ha consentito di moltiplicare 25 volte il nostro tenore di vita. L’età dell’oro per l’aumento della produttività è il quarto di secolo che segue la fine della seconda guerra mondiale, quando l’aumento medio annuo salì fino al 2,8 per cento annuo. Poi ci fu una caduta, sorprendente e misteriosa, dal 1973 al 1995, quando scese all’1,4, il dato peggiore della storia recente.
Per fortuna si riprese dal 1995 e nel quindicennio successivo. Ma dall’inizio dell’ultimo decennio è crollata: +0,7 per cento all’anno dal 2010 a oggi, cioè la metà della performance peggiore nella storia precedente”.
E’ la conferma autorevole di quanto denunciando da tempo i teorici della stagnazione secolare: siamo circondati di nuovi gadget, di app, di social media, ma in questo vortice di innovazioni o pseudoinnovazioni la nostra produttività rimane immobile. Perché?
Martin Feldstein, che fu consigliere economico di Ronald Reagan, guida il partito degli ottimisti. La sua risposta è semplice: le statistiche sono sbagliate, siamo prigionieri di un’illusione ottica, viviamo nel migliore dei mondi possibili. “Le straordinarie innovazioni, dalle cure sanitarie ai servizi on line, al videostreaming, hanno reso la nostra vita migliore e non vengono misurate dai dati che indicano un impoverimento della famiglia media del 10 per cento dal 2000 a oggi” sostiene Feldstein.
Ma per credergli ci vuole un atto di fede. In che cosa esattamente il videostreaming (cioè la possibilità di scaricare film da internet) ha “migliorato le nostre vite” rispetto all’epoca in cui affittavamo le videocassette da Blockbuster?
Una delle invenzioni che definiscono il nostro tempo, se devo giudicare dallo spettacolo quotidiano che vedo attorno a me, è il costume di massa dei selfie. Ha migliorato la qualità della nostra esistenza? Ci ha reso più creativi, quest’orgia di vanità che si traduce nell’ossessione compulsiva di fotografare noi stessi e inviare all’istante l’immagine a tutti i nostri conoscenti?
Che cosa resterà di questi triliardi di immagini banali e fugaci, accumulate nei nostri gadget digitali, quando il nostro tempo sarà finito? Che ricchezza durevole avremo creato? A parte, s’intende, i miliardi pagati da Facebook per comprarsi Whatsapp e intascati dai suoi fondatori.
Il vero progresso tecnologico, quello è misurabile, eccome. Riduce la fatica degli esseri umani. Aumenta il frutto del nostro lavoro. Migliora la nostra salute. Affina le nostre intelligenze. Così fecero l’invenzione della stampa, della macchina a vapore e della ferrovia, dell’elettricità e del telefono, del microscopio e degli antibiotici. Grandi invenzioni, in questo senso, lo furono certamente il personal computer e Internet.
Non a caso gli anni Novanta videro un rimbalzo di produttività proprio mentre il personal computer invadeva le nostre scrivanie. Ma da alcuni anni assistiamo a un proliferare di invenzioni minori, francamente futili se misurate con il metro della storia.
“Twitter e Snapchat rendono davvero più produttivo il nostro lavoro?” si chiede Blinder. “Alcuni di questi servizi online molto popolari, al contrario, possono ridurre la nostra produttività, perché una parte delle nostre ore di lavoro le riempiamo con attività che sono di ozio e distrazione, in effetti è tempo sprecato.”
E’ dello stesso parere il Nobel Krugman, anche lui molto severo verso le pseudoinnovazioni sterili. Si diverte a dileggiare l’ultimo gadget di Apple, l’orologio da polso Apple Watch, con tutte le sue app ideate in particolare per aiutarci a stare in forma. “Vi ricordate” scrive Krugman in una column sul “New York Times” e “La Repubblica” “il romanzo del 1979 di Douglas Adams Guida galattica per autostoppisti? Liquidava la terra come un pianeta le cui forme di vita sono così primitive da credere ancora che gli orologi da polso digitali sono un’ottima invenzione.”
Nel 1979, ancora non usavamo quasi i personal computer…Trentasei anni dopo, ironizza Krugman, “la grande idea tecnologica del 2015 è un orologio digitale. Questo, però, ci avvisa quando dobbiamo alzarci in piedi, se siamo rimasti seduti troppo a lungo!”.
Poi ricorda che perfino il fondatore di PayPal, Peter Thiel, pur essendo organico alla cultura della Silicon Valley, si chiede come ci siamo ridimensionati dal sogno delle auto volanti ai 140 caratteri di Twitter.
“La tecnologia informatica che entusiasma le classi twittanti potrebbe non essere di così gran beneficio per l’economia.” Ironia a parte, Krugman denuncia: “Parlare a rotta di collo di come la tecnologia cambi tutto potrebbe sembrare innocuo. Invece funge da elemento di distrazione da questioni più basilari, e dà pretesto per gestirle male”.
Federico Rampini, “L’età del caos”, pagine 89-90.
Articolo interessante, anche se la parola produttività non mi piace proprio.
Per il resto se è assolutamente vero che la stragrande maggioranza dei nuovi costrutti tecnologici sono semplici gadget assolutamente inutili, è anche vero che Rampini ha una visione un pò ottocentesca-novecentesca di progresso, perchè è vero che da un punto di vista tecnologico siamo ad un impasse, ma è anche vero che le varie innovazioni dei due precedenti secoli sono assolutamente anacronistiche e dannose nel mondo attuale.
Utili per un mondo che cercava di raggiungere un benessere materiale generale, dannose oggi.
Basti pensare che sono tecnologie (motore a scoppio, elettricità ecc.) che inevitabilmente portano ad un forte controllo gerarchico e centralizzatore, tale da portarci alla dipendenza energetica e al controllo e che paradossalmente ( e non parlo certo di facebook, l’apple watch o twitter), l’avvento della società dell’informazione, con tutti i miglioramenti teconologici, se non ha portato ad un vero salto tecnologico, sta ribaltando il controllo e il propagarsi dell’informazione che nei precedenti secoli ha avuto sempre un percorso che partiva dall’alto verso il basso.
La società dell’informazione la vedo come un prologo utile a liberarci dall’antiquariato tecnologico e soprattutto idealogico novecentesco ed ottocentesco, quindi un salto di conoscenza e comprensione, più che tecnologico e tutto sommato meglio avere una sana informazione che una macchina volante, perchè la tecnologia senza consapevolezza, anche la più avveniristica, si trasforma in distopia, altro che produttività.
Ti dirò, anche a me il termine “produttività” mi mette l’orticaria ma questo punto del libro lo trovavo affine a un certo mio modo di vedere il “progresso” di questi ultimi anni e lo volevo riportare completamente. Sul fatto che il vero progresso è tale perché migliora sostanzialmente la vita rispetto a prima, sarei anche d’accordo ma mi domanderei anche verso quale direzione la migliora. Le automobili a motore c’è stato un periodo in cui erano viste come segno indubitabile di progresso perché, in effetti, avevano migliorato sostanzialmente la vita rispetto a prima (per ciò che riguarda i trasporti), però la loro produzione e diffusione sregolata, con gli anni, ha mostrato anche la faccia negativa di ciò che prima era visto solo come positivo: che progresso è farsi due ore di traffico e metterci come se si fosse andati a piedi?
Il problema lo dici tu bene alla fine del commento: la tecnologia per la tecnologia, vista solo in termini materialistici e senza alcuna visione spirituale dietro porta alla distopia.