Vivere in una simulazione olografica

Abbiamo già trattato dell’argomento “realtà come videogioco olografico” a proposito dei Destini Clonati, e la cosa è stata accennata anche in un recente articoletto su “Sincronicità e illuminazione.”

Precedentemente, se n’era già trattato nella seguente pagina:

https://civiltascomparse.wordpress.com/2011/11/10/ci-troviamo-perennemente-in-televisione/

il-tredicesimo-piano

Il presente post – che contiene un articolo di Giancarlo Barbadoro sull’idea di come il nostro mondo possa essere una “realtà virtuale olografica” (ovvero qualcosa di ideato da un’intelligenza come quella umana, anche se notevolmente più avanzata) – nasce da un pensiero che ho fatto al riguardo dei cosiddetti “alieni” o “extraterrestri”: il vederli in modo molto diverso rispetto a come si è stati condizionati a pensare a loro, sia in un modo sia in un altro. Non quelle creature mostruose, o mostriciattoli, di un gran numero di film di fantascienza (“Alien”, “La guerra dei mondi”, “Indipendence day”, “Bagliori nel buio”…) ma nemmeno quella specie di esseri angelici interstellari, intergalattici, esseri superiori spirituali, sulle loro astronavi enormi e fantascientifiche, secondo una certa “new age.”

Insomma, sarebbero, invece, esseri molto simili a noi, molto più simili a noi di quanto lascerebbero a intendere le descrizioni appena fatte; ai quali, chissà, magari piacciono gli stessi film, gli stessi libri, la stessa musica che piace a noi; sarebbero come degli esseri umani “alternativi” i quali però, rispetto a noi, possiedono il valore aggiunto di divertirsi a giocare con la realtà (con ciò che noi vediamo come realtà materiale inamovibile e data una volta per tutte) così come noi ci divertiamo a giocare coi videogame. Perché questi esseri “extraterrestri” – che forse sarebbe più corretto chiamare “extradimensionali” – hanno una visione della materia molto più elastica rispetto a quella che abbiamo noi. Probabilmente, anche il compianto Gustavo Rol conobbe questi segreti, viene da pensare. Viene anche in mente quando il prof. Corrado Malanga riporta quelle storie raccolte dagli addotti (“rapiti dagli alieni”), sotto ipnosi, i quali raccontano come le creature aliene entravano nelle loro stanze per “rapirli”, uscendo dalle pareti o entrando dalle finestre chiuse, proprio come se, per queste creature, la nostra realtà materiale fosse nulla di più di una costruzione virtuale che è possibile modificare cambiando i suoi codici.

Anche se, comunque, non viene per nulla trattata nel seguente articolo, la cosiddetta “questione aliena” penso sia dunque – com’è assai probabile – strettamente e intrinsecamente legata a questi rivoluzionari modelli di comprensione della realtà.

http://www.shan-newspaper.com/web/scienze/688-vivere-in-un-ologramma.html

Vivere in un Ologramma

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21 Dicembre 2012

Le nuove concezioni della fisica moderna portano alla contraddizione della percezione sensoriale aprendo a scenari rivoluzionari. Il mistero dell’entanglement e del multiverso. L’esperienza virtuale di Second Life.

di Giancarlo Barbadoro

Il mondo secondo la moderna rivoluzione scientifica

La ricerca scientifica moderna si sta spingendo oltre il modello dell’universo così come è stato rappresentato fino ad ora. Le vecchie e consolidate concezioni cosmologiche vengono superate dalla fisica quantistica che affronta il mistero dell’esistenza attraverso sempre nuove scoperte.

Anche se ancora oggi il cosiddetto “modello standard” della fisica tende a dominare il campo della ricerca scientifica, si aprono inaspettati ambiti di studio assolutamente non convenzionali dell’universo sia da un punto di vista sensoriale che teoretico.

Uno di questi nuovi campi di ricerca cosmologica della fisica moderna riguarda la natura reale dell’architettura dell’universo, che sempre più spesso viene interpretato come un ente artificiale. Ovvero, non tanto come il risultato di un processo naturale verificatosi sulla scala cosmica dei fenomeni dell’esistenza, ma come un vero e proprio universo creato in laboratorio da una intelligenza superiore o, come sostengono alcuni ricercatori, realizzato da una civiltà evoluta che ha voluto dar vita a un esperimento di laboratorio.

In merito a questa tendenza di visione cosmologica, possiamo citare il caso della “Calling Card of God”, il “biglietto da visita del Creatore”, che riguarda la ricerca attuata da esperti del MIT americano, il Massachusetts Institute of Technology , e altri ricercatori internazionali su un presunto testo in codice binario osservato nella fluttuazione termica della radiazione fossile del Big Bang, testo che è stato considerato come un messaggio lasciato dai “costruttori” dell’universo per le civiltà più evolute che fossero pervenute a poterlo rilevare.

Oppure potremmo citare gli studi del team di ricercatori dell’Università di Bonn, guidato dal professor Silas Beane, che sta tentando di capire se viviamo effettivamente in un universo artificiale e ha messo a punto uno specifico test che cerca di verificare se il mondo che ci circonda sia o meno una simulazione artificiale creata da un’intelligenza superiore. Un test che avrebbe rivelato, già dalle sue prime applicazioni, la manifestazione a livello subatomico del cosiddetto “Effetto GZK” che indicherebbe un preciso vincolo fisico imputabile alla natura artificiale dell’universo.

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La teoria dell’ “universo olografico”

Che il nostro universo possa essere il frutto di un esperimento di laboratorio lo si potrebbe anche evincere dalla moderna teoria cosmologica conosciuta con il termine di “universo olografico”.

Nel 2003 lo scienziato Jacob David Bekenstein, ricercatore in fisica teoretica dell’Università Ebraica di Gerusalemme, è giunto a formulare l’ipotesi che l’universo non sia realmente concreto come ci appare ma sia solamente una rappresentazione olografica.

Questa tesi cosmologica risulterebbe supportata da altri ricercatori, come David Bohm, fisico dell’Università di Londra mancato nel 1992, secondo il quale la realtà percepita dai sensi non esiste. Anche per questo fisico inglese, l’universo, nonostante la sua apparente solidità, sarebbe in realtà un “fantasma” della mente, un gigantesco ologramma meravigliosamente dettagliato in tutti i suoi fenomeni. Umanità compresa.

La teoria cosmologica dell’universo olografico prende origine dallo studio sul comportamento fisico dei buchi neri, che ha messo in evidenza incongruenze strutturali dell’universo così come lo conosciamo e immaginiamo.

Un buco nero è un oggetto celeste previsto dalla relatività ristretta, che si forma quando una stella implode su se stessa accrescendo la propria massa in uno spazio limitato. L’oggetto celeste a questo punto inizia ad attrarre la materia circostante inglobando tutto nella sua singolarità. Neppure un fascio di luce, nonostante la sua peculiarità fenomenica, sarebbe in grado di uscire dal limite dell’orizzonte degli eventi che rappresenta la superficie del buco nero.

In seguito, la scienza moderna ha dato origine a un’altra grandezza fisica, identificata nel concetto di Informazione relativa ai bit informatici. In tal modo si è giunti a constatare che il limite di informazione che può essere contenuta da un oggetto non è determinato dal suo volume, ma è legato alla sua superficie.

Constatazione che è stata utilizzata per definire meglio il concetto di entropia applicato ai buchi neri. Applicando questo principio alle caratteristiche del comportamento dei buchi neri si è visto che questi corpi celesti non avrebbero potuto contenere tutta la materia che in apparenza potrebbero divorare. Ovvero che in un buco nero non può entrare materia all’infinito, più di quanta possa contenerne la superficie dell’orizzonte degli eventi.

In definitiva, l’architettura funzionale dei buchi neri non sembra funzionare come in apparenza dovrebbe secondo le precedenti teorie astrofisiche, rivelando il fenomeno di una realtà che, all’analisi dei fatti, non corrisponde ai modelli fisici che possono essere ideati seguendo il luogo comune dell’osservazione scientifica fino ad ora seguita.

Per comprendere quanto ha rivelato la funzione strutturale effettiva dei buchi neri e quindi la scoperta di una possibile illusione sensoriale che abbiamo dell’universo, possiamo rivolgerci alla tecnologia della proiezione olografica e delle caratteristiche degli ologrammi.

L’oggetto olografico ordinario che viene mostrato in una qualsiasi proiezione olografica non è un oggetto reale, né tridimensionale come appare, ma è solamente un “fantasma” prodotto dalla proiezione di un fascio di luce laser. Un oggetto che appare di natura tridimensionale, ma che nasce dall’immagine bidimensionale che è impressa sul supporto piatto della pellicola olografica.

La tridimensionalità dell’oggetto olografico che viene proiettato è solamente una illusione percepita dagli spettatori che si convincono di trovarsi di fronte a un oggetto solido e reale.

Se, per ipotesi, ci si dovesse mettere a contare i pixel contenuti dall’immagine tridimensionale di un cubo, valutando tutte le facce che si evidenziano, ci si troverebbe di fronte al paradosso di ottenere un inevitabile risultato inferiore al previsto. I pixel sarebbero sempre inevitabilmente quelli contenuti nell’immagine piatta di sorgente che viene proiettata.

Ovvero, l’informazione dei bit rilevabili su un ologramma sarà sempre dipendente dal limite posto dal supporto olografico bidimensionale sul quale c’è l’immagine a due dimensioni che determina la percezione tridimensionale.

La realizzazione di una proiezione olografica è complessa. Per effettuarla occorre registrare la forma dell’oggetto e la distanza delle varie parti dell’oggetto dal supporto in modo che, durante la fase di riproduzione, si possa ricreare l’immagine apparentemente tridimensionale dell’oggetto stesso.

Nella realizzazione di un ologramma è necessario avere un laser come sorgente di luce. Il laser ha la caratteristica di emettere un fascio di luce in cui tutte le singole parti del fascio vibrano in sincrono e quindi mantengono una determinata coordinazione nella lunghezza d’onda. Quando diverse parti del fascio di luce, che si muovono in sincrono, incontrano un oggetto tridimensionale, vengono riflesse in momenti diversi, in questo modo recano anche informazioni sulla distanza oltre che sul colore e sulla forma.

Il risultato di questo complesso procedimento è che partendo da una immagine bidimensionale impressa sul supporto piatto della pellicola olografica viene realizzata la proiezione di una immagine che risulta per gli spettatori totalmente tridimensionale.

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La proiezione dell’ologramma del principe Carlo d’Inghilterra che gli ha permesso di partecipare, rimanendo nel suo studio di Londra, al “World Future Energy Summit” tenuto nel 2008 a Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti

L’illusione olografica dell’universo

Un buco nero, secondo i modelli cosmologici precedenti, sarebbe stato in grado di divorare all’infinito tutto quanto lo circonda, ma in realtà è stato constatato che non è così. Non può incamerare e contenere bit di informazione più di quanti ne possa racchiudere la sua intera superficie.

La quantità di informazione trattenuta in un buco nero risulta essere infatti quella della sua superficie e non del suo volume come risulterebbe dalla nostra esperienza cognitiva ordinaria.

Proprio come si evince riferendoci all’immagine olografica di un cubo. Si potrebbe dire che il numero di pixel che lo costituiscono è rapportabile al suo volume, ma in realtà la conta mostrerebbe i soli pixel che formano la sua immagine bidimensionale che è disegnata sul piatto supporto olografico.

La stessa cosa che accade nella moderna osservazione del comportamento fenomenico dei buchi neri, che porta a considerare che questi corpi celesti non possono contenere i bit di Informazione in una dimensione volumetrica, ma solamente secondo la loro superficie. Ovvero che i buchi neri sono l’effetto di una possibile proiezione olografica.

Questo significa che, come per i buchi neri, anche il resto dell’universo, percepito attraverso il luogo comune determinato dai sensi, non è reale, ma rappresenta una raffigurazione olografica che ha origine da una immagine bidimensionale posta su un qualche supporto piatto che si trova da qualche parte e che viene proiettata dall’equivalente di un fascio laser.

Secondo la tesi di Bekenstein l’universo sarebbe quindi una rappresentazione olografica con una architettura ben diversa dal mondo conosciuto attraverso i sensi e l’osservazione concettuale. L’universo, come un qualsiasi ologramma, sarebbe quindi il riflesso olografico di una matrice posta lontana nello spazio che riflette leggi ed esperienze che sono in origine bidimensionali.

Se la tesi di Bekenstein risultasse effettiva, in questo caso non esisterebbe lo spazio tridimensionale in cui siamo abituati a vivere, ma saremmo in realtà delle entità bidimensionali assolutamente piatte che si muovono su una superficie altrettanto piatta, illusi dalle proprietà funzionali del nostro cervello che crea dentro di sé la virtualità di un mondo apparentemente tridimensionale.

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Il complesso procedimento di realizzazione di un ologramma

L’esperienza di Second Life

Se la teoria dell’universo olografico si dimostrasse esatta, l’universo si rivelerebbe una struttura artificiale ideata da qualche entità evoluta che ha creato una sorta di videogioco, realizzato con l’impiego di minori mezzi possibili ma funzionali allo scopo, in cui sperimentare la vita intelligente, oppure per dare modo che essa potesse comparire come se, in questo caso, l’universo fosse un grande utero artificiale.

Come ipotizza Bekenstein, nell’universo olografico ci troveremmo a vivere una realtà bidimensionale che il nostro cervello interpreterebbe come una dimensione apparentemente tridimensionale.

Saremmo né più e né meno come degli omini di un videogioco che vivono la dimensionalità offerta dallo schermo piatto del monitor ma condizionati, da un preciso software che agisce sul loro sistema cerebrale, a vivere come se si trattasse di un mondo effettivo e tridimensionale in cui muoversi e interpretare i ruoli previsti dal videogioco.

L’esperienza di una esistenza vissuta in un possibile universo olografico la possiamo verificare in maniera concreta prendendo a riferimento il mondo virtuale di Second Life, realizzato dalla Linden Lab americana, in cui viene simulata la dimensione spazio-temporale del “mondo primario” in cui viviamo.

Second Life non è un gioco, nonostante lo possa sembrare a una prima impressione, ma rappresenta un vero e proprio strumento mediatico di comunicazione globale, nuovo e rivoluzionario, che abbraccia l’intero pianeta.

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La struttura digitalizzata del mondo virtuale di Second Life ricorda l’illusione del mondo fantasma ipotizzato dalla teoria cosmologica dell’ “universo olografico”. Anche se il mondo di SL non è altro che una immagine piatta sullo schermo del computer, il nostro cervello lo percepisce tridimensionale e gestisce azioni creative di identica natura

Quella di Second Life è una dimensione virtuale che esiste attraverso un’architettura digitalizzata creata con l’impiego di numerosi server collegati tra di loro e operanti con un identico software. Un’architettura virtuale che consente agli utenti di potervi entrare da ogni parte del pianeta e muoversi dentro ad essa a loro piacere.

Quando ci si collega a questo mondo virtuale attraverso il proprio computer, lo si vede “rezzarsi”, ovvero prendere forma fino ad affacciarsi sullo schermo del monitor.

L’immagine che appare, costituita dai pixel dello schermo, è inevitabilmente piatta così come lo è lo schermo del monitor. Tuttavia le prospettive della spazialità tridimensionale che sono rese dal software della Linden Lab portano immediatamente il cervello ad adattarsi alla sensazione di affacciarsi a una finestra da cui si guarda a un vero mondo tridimensionale.

Ed è così che all’esperienza umana risulta possibile entrare a far parte della dimensione virtuale di Second Life utilizzando il proprio “avatar”, la simulazione digitalizzata dell’utente, che porta a inoltrarsi in un vero e proprio mondo alternativo costituito da pianure e montagne, muovendosi nelle vie di città e navigando su vasti mari.

Dopo un po’ l’impressione personale è proprio quella di essere in una situazione effettivamente tridimensionale, dimenticando che si sta guardando la superficie piatta dello schermo del monitor.

Non solo, ma la spazialità tridimensionale che ci offre il sistema virtuale consente agli avatar di costruire oggetti e di operare in varie altre cose, oppure di intrattenere rapporti “reali” con altri avatar. Sempre pilotando il tutto dalla tastiera e con il mouse.

Se facciamo un parallelismo tra l’esperienza sviluppabile nel mondo di Second Life e quella dell’universo olografico in cui secondo Bekenstein ci troveremmo a vivere, ci viene facile considerare come la lastra olografica della teoria cosmologica assomigli alla piattaforma di software della Linden Lab e come il computer che la raccoglie e la elabora nell’immagine piatta dello schermo non sia altro che il nostro cervello che interpreta la proiezione olografica e la trasforma nel mondo tridimensionale in cui siamo abituati a vivere.

È un parallelismo impressionante che porta ad acquisire un’esperienza diretta di quello che si può intendere per universo olografico.

Se la teoria di Bekenstein è vera, forse ci può consolare l’idea che noi e l’universo non siamo stati proprio inventati di sana pianta. Ovvero che le entità evolute abbiano impiegato, così come ha fatto la Linden Lab, per ottenere l’aspetto dell’esistenza olografica in cui viviamo, gli elementi di riferimento di un effettivo mondo reale che comunque, da qualche altra parte oltre lo schermo interiore della nostra mente, esiste per davvero.

 

Vedere anche quest’articolo molto recente, in cui si ipotizza che l’universo visibile sia la proiezione in 3d di un universo 2d:

http://www.ilnavigatorecurioso.it/2013/12/14/il-nostro-universo-e-un-ologramma-e-la-proiezione-di-un-cosmo-piu-semplice/

I ricercatori hanno eseguito due calcoli separati, per poi compararli. Il primo calcolo è partito dall’evidenza di ciò che accade in un buco nero: tutti gli oggetti che vi cadono non potrebbero mai essere contenuti fisicamente in esso, ma ‘memorizzati’ come frammenti di dati, come avviene in un ologramma, nel quale l’intera informazione è contenuta in un solo frammento.

Hyakutake ha calcolato l’energia interna di un buco nero, la posizione del suo orizzonte degli eventi (il confine tra il ‘buco nero’ e il resto dell’Universo), l’entropia a altre proprietà basate sulle previsioni della teoria delle stringhe, nonché gli effetti delle cosiddette particelle virtuali che compaiono e scompaiono continuamente dal continuum spaziotemporale.

Il secondo calcolo, invece, è stato eseguito dai colleghi di Hyakutake per calcolare l’energia interna del ‘cosmo inferiore’ con meno dimensioni e senza gravità. Con grande stupore dei ricercatori, i due calcoli al computer corrispondevano. In un senso più ampio, la teoria suggerisce che l’intero universo può essere visto come una struttura bidimensionale proiettata su un orizzonte cosmologico tridimensionale. Cioè, il nostro universo 3D è la proiezione di un universo 2D più semplice.

 

Concludiamo con alcune considerazioni dell’amico Matteo sul fatto che vi siano delle prove di come stiamo vivendo in una realtà simulata.

  1. Coincidenze seriali di Paul Kammerer: un biologo Viennese con la passione delle coincidenze voleva dimostrare che gli eventi sono collegati da ondate di serialità: passava le sue giornate estive sulle panchine di un parco annotando le persone di passaggio, dividendole per sesso, età, abbigliamento e piccoli particolari. Se compariva uno con barba e cappello poco dopo ne passavano altri con barba e cappello, e cosi’ via per tutti i tipi di particolare. Riusciva ad anticipare e prevedere anche a che ora una di queste serie sarebbe successo. La precisione era tale che cominciò a pensare che ci fosse qualcosa che governasse tutto ciò.
  2. Vite clonate: due gemelli nell’Ohio furono adottati da subito da due famiglie diverse e si incontrarono a 39 anni. Stesso nome, stesso lavoro, stesse passioni e stessi hobby. Tutti e due avevano sposato una Linda, tutti e due hanno avuto un solo figlio. Tutti e due divorziati, entrambi sposarono una Betty. Avevano lo stesso identico cane, chiamato con lo stesso identico nome. Andavano sempre in vacanza nello stesso posto senza essersi mai incontrati prima.
  3. Albert Rivers e Betty Cheetham in vacanza in Tunisia nel 1998 furono fatti accomodare in un ristorante accanto a un’ altra coppia: Albert Cheetham e Betty Rivers! Stessa età, sposati lo stesso giorno dello stesso anno, due figli di stesse rispettive età, stesso numero di nipoti e pronipoti. Stesso lavoro le mogli. Stesso lavoro i mariti. 
  4. Joseph Figlock si vide cadere addosso un bambino da una finestra e lo salvò prendendolo in braccio. Esattamente un anno dopo Joseph si ritrovò a fare la stessa strada, e il bambino cadde di nuovo, e lui lo salvò di nuovo. Stesso giorno di un anno prima.
  5. James Gates Jr. genio scientifico, studiando le formule matematiche della teoria delle stringhe ha trovato che le equazioni delle super-simmetrie sono del tutto simili a quelle che vengono definite ” codici da computer ” di un normale computer moderno. La natura/ la realtà usa le stesse formule.