Teniamo d’occhio la vicepresidente USA Kamala Harris!

Loren Coleman colpisce ancora!

Un’altra “profezia” dei Simpson sta facendo discutere sul web: si sta infatti parlando delle similitudini tra l’abbigliamento della nuova vicepresidente Kamala Harris e quello di Lisa Simpson nel diciassettesimo episodio dell’undicesima stagione “Bart va nel futuro”, che uscì nel maggio 2000.

“Come sapete, abbiamo ereditato una forte crisi di bilancio dalla precedente amministrazione Trump”, così veniva testualmente detto a una Linda Simpson (dentro l’ufficio ovale della Casa Bianca) vestita come Kamala Harris oggi nel 2021, in una puntata dell’anno 2000.
Di quell’episodio dei Simpson uscito nell’anno 2000 parlammo già in questo post https://civiltascomparse.wordpress.com/2016/11/28/liper-normalizzazione-e-i-memi-dai-ranocchi-di-estrema-destra-alle-pizze-pedo-sataniste/ ma in quell’occasione Lisa Simpson alla Casa Bianca la si associammo a colei che sarebbe potuta diventare il primo presidente donna degli USA, ovvero a Hillary Clinton.

Ma c’è di più: il 16 ottobre 2018 Loren Coleman postò il seguente post sul suo blog: 

 
Dentro la Casa Bianca è entrato il “linguaggio del crepuscolo”, e non sono sicuro se il presidente Donald Trump se ne sia reso conto.

Sabato 14 ottobre 2018 il presidente Trump ha toccato una vasta gamma di argomenti durante la sua intervista nel programma 60 Minutes tenuto dal reporter della CBS Lesley Stahl. Tra i vari discorsi, ciò che ha catturato una certa attenzione è stato un quadro appeso a una parete di una stanza della Casa Bianca in cui si è svolta l’intervista.

Donald Trump, infatti, ha fatto appendere un quadro di Andy Thomas rappresentante i presidenti repubblicani del passato a un tavolo assieme a Donald Trump. Quadro intitolato “The republican club.”
Il quadro di Andy Thomas “The republican club.”

Altri due quadri di Andy Thomas raffiguranti presidenti USA repubblicani:

“Grand ol’ gang”
“Callin’ the blue”

I seguenti quadri raffigurano invece presidenti USA democratici:

“True blues”
“Callin’ the red”

Poi c’è un certo quadro di Andy Thomas raffigurante presidenti USA democratici chiamato “The democratic club”…

In cui, se stiamo attenti, possiamo osservare una figura sullo sfondo che sembra volerli raggiungere…

La stessa identica figura che possiamo vedere anche sullo sfondo del quadro “The republican club”!

Di chi si può trattare?!

https://it.wikipedia.org/wiki/Kamala_Harris

kamalaharris

Forse Kamala Harris, appunto.

L’attuale vicepresidente, donna e “di colore” la quale, associata a un presidente quale Joe Biden, quasi ottantenne e non, diciamo, “in perfetta forma” è alquanto probabile possa diventare PRESIDENTE, magari anche prima del 2024, l’anno dell’eclisse solare totale dell’8 aprile che chiuderà la ZONA X aperta con l’eclisse solare totale del 21 agosto 2017.

Vedere a questo proposito: https://civiltascomparse.wordpress.com/2020/12/14/14-dicembre-2020-siamo-a-meta-della-zona-x/

Qualche mese fa, il mio collega di blog Teoscrive, ha cominciato a aprire le danze puntando i riflettori sulla Harris, utilizzando anche ovviamente gli studi sulla timewave, di cui posso dire in tutta sicurezza Teoscrive è ormai un’autorità in Italia, con tutta l’esperienza che si è fatto!

Teoscrive ha per esempio connesso Kamala Harris col primo ministro indiano Indira Gandhi, la prima donna a capo dell’India, la Harris ha origini indiane e secondo questo articolo (https://miningawareness.wordpress.com/2020/09/27/kamala-harris-channels-indira-gandhis-state-of-emergency/) suo nonno fu al servizio del regime politico della Gandhi e prima ancora di quello del padre Nehru. Nello stesso articolo viene detto che il primo ministro donna indiano negli anni ’70 dichiarò uno “stato di emergenza” e nel 1984 venne assassinata dalle sue guardie del corpo sikh per vendicare la repressione di un movimento rivoluzionario del loro gruppo. Teoscrive ha trovato, studiando la timewave, delle connessioni sincroniche tra sia Indira Ghandi sia Benazir Bhutto, il primo primo ministro donna del Pakistan (ovvero, in un certo senso, dell’ “India a prevalenza musulmana”), anche lei assassinata (nel 2007, benché non durante uno dei suoi due incarichi come premier pakistano.) Se associamo questi due ricorsi a quelli dei presidenti USA assassinati, 4, e tutti eletti in un anno con lo zero) e ai presidenti – molto più numerosi – di cui è stato tentato l’assassinio (diversi tra questi, come Reagan, eletti in un anno con lo zero, da qui la “maledizione”), possiamo dire che, nel caso Kamala Harris diventasse per davvero la prima presidentessa degli USA, sulla sua testa penderebbe una ‘spada di Damocle’ che, secondo gli studi di Teoscrive, i cicli storici e le connessioni sincroniche della timewave indicherebbero con chiarezza.

I PRESIDENTI NEL MIRINO – la Repubblica.it

Joe Biden e Kamala Harris furono oltretutto previsti nel 2016 da Teoscrive quali possibili candidati presidenziali del 2020 in questo post https://civiltascomparse.wordpress.com/2016/11/10/confronto-fra-elezioni-e-previsioni-elezione-usa-2020/ e messi in quella lista come rispettivamente penultimo e ultima!

Di più forse, dopo l’ Emmanuel Macron del 2017 (vedere https://civiltascomparse.wordpress.com/2017/05/07/emmanuel-macron-luomo-dei-ricorsi-concentrati/) e in seguito allo stranissimo duello Donald Trump-Joe Biden, da cui è uscito come (anomalo) presidente USA un Joe Biden che sembra proprio una specie di George W. Bush “turbo” (il quale, in uno dei suoi numerosi lapsus e gaffes, Biden ha anche citato! erroneamente ovviamente) la Kamala Harris presidentessa USA, in quanto forse ennesima riproposizione concentrata sotto nuove vesti di eventi politico-simbolico-mediatici già accaduti nel passato,  potrebbe trattarsi di un ulteriore avvicinamento a quel “punto zero” della civiltà occidentale di cui parlammo nell’articolo testé linkato e di cui comunque ne stiamo parlando da anni:

Noi di questo blog abbiamo ripetuto più volte come, a nostro parere, la linea spaziotemporale della storia incentrata sull’Occidente non è una linea dritta, continua e uniforme, indefinitamente dal passato al futuro, ma una specie di spirale di Fibonacci, e a un certo punto di quello che per noi è il futuro, si arriverà a una specie di “anomalia spazio temporale” della storia occidentale, un punto di fine-origine della spirale.

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Il processo di progressiva accelerazione verso questo punto di fine-origine è dato dal ripetersi ricorsivo di avvenimenti già accaduti in passato che ricorrono e si ripropongono sotto altre vesti, contemporaneamente vecchie e nuove.

Venti – venti, 30 anni e fare i conti con la mediocrità

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La mia età è la più difficile, sia astrologicamente sia perché si nuota in una palude di REALTA’ , troppa realtà … fra i 28 e i 30 anni si esplora una prospettiva saturnina sulla vita …

Da un po’ di settimane a questa parte mi sono fermato con il blog …diciamoci la verità, mi sto un po’ perdendo alla deriva

Diciamo che devo gestire un “segreto” che da parte mia è come un regalo che non si ha voglia di aprire e far uscire completamente dal pacchetto … il “destino della mediocrità” che da un bel po’ di tempo è diventato il mio spettro nel ripostiglio.

E questo segreto è che ho il sentore di essere destinato ad una “vita mediocre” e di “osservazione del mondo”, reazione, analisi, recensione, piuttosto che creazione.

Stephen King dice che “la vita non è fornita di trama” … io posso solo farmi quattro risate, abbastanza amare in realtà, perché a dirla tutta è abbastanza fastidioso scoprire che molta gente che ha avuto la generosità della fortuna dalla propria parte si diletta con pensieri come “la vita è un lancio di monetina”, come se il fatto che sono diventati dei grandi sia dovuto ad un incidente. Cavolo, a dir la verità un po’ ci si dovrebbe arrabbiare, che diamine, con che coraggio non ti ritieni ancora “selezionato” dalla Grande Trama, quando hai realizzato tutto quello che volevi? Gli scrittori, proprio loro, che ancora si dilettano con le loro idee sugli incidenti di percorso sono proprio paradossali, è proprio vero che coloro che sono più vicini alla sorgente della verità sono anche quelli più lontani dalla comprensione di essa …   

Io, cari lettori del blog, ho da sempre, non solo dai tempi di Mckenna, ma da molto prima, il sentore che la vita abbia una trama molto precisa, così ben delineata che non si può uscire dal copione. E ciò che è stato riservato per me dalla “matrice creatrice” di questo misterioso mondo nel quale probabilmente siamo “personaggi” e non proprio “persone” … potrebbe non essere proprio granchè. Ho questa sensazione che, pur avendo molto da offrire, soprattutto a livello intellettuale più che pratico, perché la praticità non è mai passata dalle mie parti neanche per un breve saluto … certo, il mio collega si sorprende sempre della mia minuziosità e gestione dei particolari, ma le cose sono un po’ diverse … sono qui per osservare “i moti del mondo” con la mia prospettiva particolare, minuziosa, sincro – cosciente e mostrare cosa ci potrebbe essere dietro, in modi che magari nessuno ha mai pensato, ma ci sarà poco da fare al riguardo, la mia è una posizione di nicchia, e così sarà sempre. (? manca poco, ma possiamo ancora riservarci il potere di metterci quel punto interrogativo, fra parentesi, però, per non esagerare con la presunzione …)

Sono situato alla periferia del “mondo degli eventi” e posso guardarlo da una prospettiva interessante, ma non posso farne parte.

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Ora vi racconterò un po’ di quel che si cela dietro alla mia eccentrica figura di “cacciatore di sincronicità” … Su questo blog ho preso in mano argomenti complessi, intricati e sconvolgenti, a volte, dalle implicazioni enormi, ma il cosiddetto “mondo reale” là fuori vede tutto ancora secondo i canoni del “consenso comune” …

Dunque questo lato analizzatore di me non è per niente condivisibile, vivo in mezzo a gente che non potrebbe mai capire, ma cosa vuoi farci, gli vuoi bene lo stesso, sono “innocenti” da un certo punto di vista, la ragione è molto semplice, “non è il loro scopo” essere consapevoli di determinate prospettive sulla vita. E visto che viviamo in un mondo dove a tutti è stato assegnato il proprio compito, bisogna accettare anche questo.

La mia mente sarà anche capace di mettere a fuoco concetti straordinari, ma la vita là fuori è difficile, un esame continuo, perché a dir la verità, la gente ha una “intelligenza sociale” che mi è quasi del tutto estranea, sono socialmente svegli a tal punto che ormai ogni tanto mi riduco a chiedermi se in realtà non ci sia qualcosa che non va – in me – piuttosto che in loro. Può darsi che io presenti tutte le caratteristiche tipiche di una “personalità asperger”, e in effetti dai due test ufficiali che ho fatto, è risultato che sono “fifty – fifty”, metà aspy e metà neurotipico. Ma non sono mai stato diagnosticato ufficialmente, quindi potrebbe essere tutta fuffa.

Mi sento ancora come un giovane ragazzino affascinato dal mondo, ma ormai da un po’ di tempo mi sento anche molto vecchio, la vita sta diventando faticosa, monotona e – accidenti, sai – perbacco, se va veloce! Da qualche mese a questa parte, dopo un melmoso 2018, mi sono reso conto che ora come ora il mio tragitto sembra un treno in corsa, le giornate iniziano che son già finite, e rimane tempo appena per un po’ di eventi, che già bisogna pensare alla prossima … brutto segno? Può darsi, ma pare che io avrò un sacco di tempo per mettere il mio marchio di nicchia e di scarsa influenza sul mio modo di vedere il mondo, perché secondo una teoria astrologica poco conosciuta avrò modo di vivere 105 anni … vedremo!

Comunque, sono un tipo bizzarro, mentre spiego le implicazioni della logica della fisica quantistica, fra poco sarà passato un anno da quando ho iniziato scuola guida e sto ancora cercando di studiare la parte teorica ( diciamocelo, uscito da un liceo classico e da due tentativi universitari colati a picco, a parte quello che mi interessa in modo speciale, io e lo studio siamo diventati estranei ) … ho quasi trent’ anni e ho bisogno di appropriarmi di una macchina, ma la scuola guida è una agonia … c’è poco da fare, dovrò trovare un modo per uscire da questa situazione, farmi piacere il mondo dei motori e basta, perché se non hai una macchina, pare che tu sia un cavernicolo … Comunque, potrebbe essere un problema di procrastinazione, incostanza, e scarsa gestione del proprio tempo, e se è così posso solo annuire ed essere d’ accordo, sono fatto così di mio, sempre fuori dal tempo presente, in un modo o nell’ altro…   

Inoltre vivo a casa con i miei, che non hanno mai avuto intenzione di rendermi indipendente e autosufficiente a sufficienza… un altro “segreto” che cerco di nascondermi, (ma come si fa a nascondersi qualcosa? ) , una altra cosa che sta emergendo è che potrei ritrovarmi solo nella vita adulta più in là… a dir la verità vorrei poter andare a stare altrove, vedere come me la cavo per i fatti miei, ma anche se ogni tot mese diventa un’ idea fissa, sembra ancora un miraggio, un’ idea un po’ balzana …anche se a dir la verità potrebbe essere una delle poche cose che potrebbero anche succedere …in fondo, io ne vedo i segnali premonitori nei miei cicli vitali, nelle mie sincro personali, e quindi annoto il messaggio dall’ universo, e ne tengo conto …

E vabbè, farò di tutto per non finire davvero da solo, anche se il mio studio delle sincronicità e dei cicli, che riguarda anche la vita individuale, ancora a dispetto di chi crede nel “caos della quotidianità”, cosa che ce ne sono ben poche di così stupide a cui pensare … mi sta facendo sospettare che ci potrebbe essere qualche “sorpresa improvvisa” ( dal punto di vista esterno, perché a me non la si fa ) … ma potrebbe non essere così “speciale” come avrei voluto … però forse è così che dovranno essere le cose …

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Sono un po’ depresso, fiacco, scoraggiato, influenzato da tutto quel “mal di vivere” che si legge in giro, sulla rete, ormai tutti sembrano avere lo stesso atteggiamento, cinico, iper – realistico, iper – razionale … temo di non potermi più farmi bastare e farmi affascinare come un tempo dalle “piccole curiosità” della vita, quelle che una volta sembravano tanto grandi dentro di me …

Ecco, insomma, mi sento un po’ “psichicamente malaticcio”, aaaah, accidenti, come le persone si prendono la febbre, io mi sono ammalato di “razionalità”! che è la migliore amica di “ma a cosa serve vivere?” che è figlia della autodistruzione e auto – consumazione che governa questo nostro mondo … che è sempre più pervaso da un nichilismo masochista …   Anche se diciamocelo, io sono molto influenzabile dal  sentito dire, dalla percezione collettiva, è un virus del pensiero che viene dall’ ambiente esterno, dentro di me abita qualcosa di diverso … per questo è così sconcertante per me osservare questa tendenza, questo lato patologico della razionalità, perché la razionalità se manipolata in modo scorretto diventa la fonte di tante patologie …

Ho paura di dovermi accontentare di quel che arriva, e di cose ne arrivano, di situazioni ne arrivano, però ho anche paura di dovermi educare a non desiderare, non bramare, le cose che non arriveranno. E’ la mia filosofia, “tutto arriva da me” quando è arrivato il suo tempo, è inutile andare a cercare e forzare … però si rischia di accomodarsi e vivere in un modo un po’ passivo … trovo che sia davvero molto difficile smettere di desiderare quel che ancora non arriva, trovo che non sia davvero possibile.

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C’è anche una altra questione con la quale prima o poi dovrò confrontarmi pienamente … un altro dei miei “quasi – forse – segreti interiori”, un po’ come un tarlo dispettoso e impertinente che mi sussurra che forse, forse, forse … non sono fatto per essere lo scrittore che vorrei diventare. Forse evidentemente non ne ho la stoffa. Le trame, i personaggi, non sono un problema, creare non è un problema, è la organizzazione della scrittura che è il vero problema … sono un racconta – trame, sono un “quasi – scrittore”, una fucina di idee senza la capacità di svilupparle appieno … forse il mio ruolo centra con la scrittura e la lettura, ma forse non rientra nell’ ambito della “scrittura d’ autore” o “scrittura narrativa”, forse sono un saggista, un blogger, un articolista, qualcosa del genere …

Ogni tot mese credo di essere riemerso dalle nebbie, e ancora mi ci ritrovo avvolto … non ho ancora trovato la Grande Idea, che sia anche abbastanza realizzabile … è così, ho paura di dover rinunciare persino a quello … persino alla scrittura …

Forse sono il padre di, il generatore di un futuro scrittore di successo … un po’ mi sconcerta pensare che il padre di Stephen King era uno scrittore mancato, uno di quelli che ci hanno provato ai loro tempi, ma che non ci hanno ricavato niente, solo un passatempo, e poi guarda chi esce fuori da te … uno come Stephen King … E’ questo il mio destino? Allevare il prossimo genio della letteratura “popolare”?

Magari neanche quello, perché comincio seriamente a dubitare che costui possa mai arrivare …

Comunque, finchè crederò ancora che ne valga la pena, ci proverò ancora, e ancora, lottando quotidianamente contro la mia assoluta carenza di costanza, sempre preso da un “multi – multi – tasking” intellettuale, un iperattivismo psicologico che è un po’ il mio tormento …

Ma, ehi, prima o poi dovrò fermarmi, se non va, e cercare alternative …

Che cosa posso dirvi, forse sono semplicemente un consumatore di imprese altrui, piuttosto che uno sviluppatore di esse … non è una cattiva cosa …

Del resto sono dieci lunghi anni che continuo ad avere incredibilmente fiducia nella teoria della storia frattale della Timewave … è quella speranza che non muore mai, quella speranza di poter assistere a qualcosa di veramente unico e diverso da tutto …

Quella speranza di sbarazzarsi di tutto il “vecchiume” di questo nostro modo di vivere …

E si spera ancora, eh, contro ogni dispettoso dubbio, perché è ancora affascinante ragionare secondo quella prospettiva, secondo l’ osservazione di risonanze storiche … è un modello di pensiero che se lo assimili così tanto a lungo come me, non riesci più a pensare diversamente …

Ma forse dopo il 2022 sarà più difficile …

E insomma, la vita va avanti, ma la fatica e la frustrazione sono sempre pesanti …

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Diciamo che sono in un periodo un po’ ridondante, un po’ spento, ho fornito una quantità di materiale di riflessione per il 2019, ma non mi sono ancora messo a nuovo per il 2020 …

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In giro leggo di persone che hanno la sensazione di passare la vita ad attendere qualcosa di straordinario … hanno la percezione che la vita sia la fase di attesa di qualcosa di ancora impercettibile … e così mi sento anche io.

Ho la sensazione che qui dentro non ci sia niente di “realistico”, che abbiamo riempito la nostra realtà di “spiegazioni razionali” dove ancora regna il mistero assoluto del – perché siamo qui, come ci siamo arrivati, da dove, cosa stiamo facendo, perché esiste la vita, e tante altre bazzecole che pensiamo di aver già messo da parte …

E’ la mia sensazione, che questa realtà non è reale, che siamo in una dimensione isolante, da cosa non è molto chiaro …  

Eppure, la “realtà” chiama, teoscrive a rapporto, e mi chiede l’ immersione in quel mondo dove io non me la passo granchè bene, quel mondo dove bisogna sopravvivere … mettere da parte il pensare e afferrare l’ azione … agire.

Sono un po’ stanco di giocare a fare lo “straordinario incompreso” … sono una persona qualunque che farà tutte quelle cose normali, anzi, qualcuna può darsi che mancherà all’ appello, e nel frattempo manipolerà con l’ intelletto tutte quelle cose complicate e inarrivabili, e per qualche bizzarro inconcepibile mistero, troverà un sacco di difficoltà nelle cose semplici e quotidiane.

Ora, non è che la mia vita non sia interessante, lo è, lo è ancora, fortunatamente, a questo punto della mia vita, ma temo che non sarà mai abbastanza per uno come me.

Forse, a livello collettivo, mi è stato fatto qualcosa, sembra che qualcosa si sia spento in me, forse sono i miei timori che sono troppo insormontabili …

La grande paura che almeno per quanto riguarda la mia vita individuale e il mio percorso … è tutto qui … c’è poco materiale da elaborare, non è abbastanza, il copione è troppo scarno.

Mi sentivo così anche nel 2013, a dire il vero, poi sono arrivati due anni rivoluzionari …

Però è davvero scoraggiante, anti – ambizioso pensare che possa essere “tutto qui”, che la realtà è questa così come la vediamo, e niente di più.

Io devo avere un motivo per avere una ambizione. Altrimenti semplicemente, non ce l’ ho.

Sono arenato …  

L’incendio Maria e la sequenza assenzio

E’ dall’estate passata che Teoscrive illustra con dovizia di particolari le possibili prove di una precognizione collettiva (attiva da anni ormai) riguardante qualcosa di tremendo che coinvolgerà il mondo di Walt Disney nel prossimo futuro: Teoscrive è giunto alla conclusione che la premonizione collettiva (consistente in una grande pluralità di immagini in cui si associano Topolino & co al nucleare e ai disastri) tratta di un attacco terroristico con bomba atomica “sporca” (oppure rubata) il quale attacco potrebbe avvenire o negli USA a Disneyland/Disneyworld o – secondo lui molto più probabilmente – ad Eurodisney vicino Parigi, e in quest’ultima città l’unico obiettivo non sarebbe solo Eurodisney, seguendo anche le tracce di ciò che da tempo espone l’utente Cieux nel forum di Nibiru 2012.

https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/08/13/paragone-fra-9-11-predictive-programming-e-attacco-nucleare-a-disneyland-predictive-programming/

https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/08/16/il-bizzarro-mistero-dello-zeitgeist-nucleare-della-disney-e-l-imminenza-di-un-11-settembre-nucleare-radiologico/

https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/10/06/un-ingombrante-complesso-precognitivo-influenza-gli-artisti-da-decenni-la-disney-avra-il-suo-11-settembre/

https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/10/11/i-cicli-storici-parlano-chiaro-tutte-le-strade-portano-a-parigi/

Solo un esempio fra i tanti delle decine e decine di immagini Disney “nucleari” trovate da Teoscrive realizzate dai più disparati grafici e artisti: sono la testimonianza di una precognizione collettiva di un attentato terroristico nucleare o comunque qualcosa di molto brutto che avverrà coinvolgendo il mondo Disney forse modificandone per sempre lo zeitgeist?

Mi inquieta un po’ vedere come Goro Adachi di Super Torch Ritual sta percorrendo dei pattern in cui certe affinità con quelli di Teoscrive e Cieux sono evidenti.

Wormwood Sequence Update

Numerosi incendi continuano a bruciare in California. Questo è particolarmente intrigante …

https://www.fanpage.it/esteri/california-allarme-rosso-estremo-per-gli-incendi-non-era-mai-successo-diversi-vip-evacuati/

http://www.dailyviewsonline.com/economia/Maria-nuova-di-Fuoco-esplode-in-California-La-fine-non-e-ancora-in-vista-h24630.html

California – Video dell’inizio dell’incendio “Maria”

… un incendio chiamato Maria Fire che brucia a nord-ovest di Los Angeles

… innescato nelle ore serali di giovedì 31 ottobre 2019, ha già consumato ben oltre 4.000 acri (16 chilometri quadrati) nelle sue prime ore di combustione. Nonostante i primi pompieri abbiano agito in modo lesto, l’incendio è esploso rapidamente a causa di un forte vento che si stava verificando nell’area di Santa Ana durante la sua accensione.

L’incendio “Maria Fire” è iniziato ad Halloween vicino alla città degli angeli (caduti) con l’aiuto dei “devil winds” (= Santa Ana), che il 2 novembre ancora infuriano mentre la nostra “November Sequence” è sottotraccia con il terzo e ultimo allineamento di Lucifero del 2019, che raggiunge il picco intorno a questo week end…

Allineamento di Lucifero

Ricordate che “Maria/Mary” può riferirsi ad “assenzio” (così come “Maria/Mary” può significare “mare di amarezza” corrispondente esattamente alla descrizione di “assenzio” che si trova nel libro della rivelazione); “assenzio” a sua volta può implicare “Chernobyl” significando “(comune) assenzio”. E “Chernobyl” è sinonimo di “disastro nucleare”…

Qual è il costo delle bugie?
Fotogramma tratto da “Chernobyl”: notevole il Topolino color assenzio.

…un motivo che ritroviamo anche nell’inchiesta di impeachment in corso nei confronti di Trump riguardante in primis le sue relazioni improprie con l’ Ucraina – lo stato in cui Chernobyl accadde.

In tal senso l’incendio “Maria Fire” non è connesso solo al “Devil/Lucifer Fire” ma anche al… “Nuclear Fire“. Un importante “segnale” che risuona pesantemente con l’articolo criptato “Nuclear Fire, Galactic Blackout” pubblicato ~17 ore prima  dell’inizio del “Maria Fire”.

In altre parole, la sequenza è tuttora in corso, abbastanza chiaro dalla nostra prospettiva di coerenza multicontestuale.

L’intero motivo dell’ “assenzio” fu prefigurato in febbraio al Super Bowl di Atlanta. In quei giorni  un sacco di gente prova a “decodificare” i “rituali” del Super Bowl. Tuttavia, come al solito,  Super Torch Ritual fu il solo che poteva decodificare in modo appropriato. Iniziando con la nostra anticipazione del tema “Deep impact”…

Il colore dell’assenzio.

…che è stata quindi seguita dalla nostra analisi/sintesi post evento, focalizzata su “Wormwood”/”Mary” (“Assenzio/Maria”) – così come in particolare su Leonardo Da Vinci.

La sequenza “Wormwood Deep Impact” in questione comincia con le trombe (trumps) che vengono suonate (video)…

8 Il settimo sigillo: i sette angeli. – 1 Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz’ora. 2 Vidi che ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe. […] 5 Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto.
Le prime quattro trombe. – 6 I sette angeli che avevano le sette trombe si accinsero a suonarle.
10 Il terzo angelo suonò la tromba e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia, e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque. 11 La stella si chiama Assenzio; un terzo delle acque si mutò in assenzio e molti uomini morirono per quelle acque, perché erano divenute amare.

Book of Revelation – chapter 8:

1 And when he had opened the seventh seal, there was silence in heaven about the space of half an hour.
2 And I saw the seven angels which stood before God; and to them were given seven trumpets. […]
5 And the angel took the censer, and filled it with fire of the altar, and cast [it] into the earth: and there were voices, and thunderings, and lightnings, and an earthquake.
6 And the seven angels which had the seven trumpets prepared themselves to sound. […]
10 And the third angel sounded, and there fell a great star from heaven, burning as it were a lamp, and it fell upon the third part of the rivers, and upon the fountains of waters;
11 And the name of the star is called Wormwood: and the third part of the waters became wormwood; and many men died of the waters, because they were made bitter.

…e poi una roccia proveniente dallo spazio colpì lo stadio del Super Bowl con una grande “VM” – “Virgin Mary” = “assenzio”.

Abbiamo anche anticipato una “shockwave” proveniente proprio dal 15 aprile che ha preso la forma di “Virgin Mary” (= Notre Dame) producendo fiamme in mezzo a Parigi.
 

https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/04/10/la-misteriosa-morte-di-kurt-kobain-venticinque-anni-fa-e-sequenza-di-accensione-di-aprile/

L’Elisabeth Fraser, l’ ex cantante del gruppo musicale dreamwave “The Cocteau twins”, che tanto sincro-ossessiona Christopher Knowles di The Secret Sun, è spesso da lui nominata “Our Lady”.

https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/05/16/sincronismi-su-nerone-le-sibille-costellazioni-apocalissi/

In passato sul blog ci siamo occupati di Virginia Raggi, attuale sindaco di Roma, in relazione all’Apocalisse.

La foto da me fatta col cellulare il 10 giugno spinto da un impulso.

L’incendio di Notre Dame fu in effetti un “Maria Fire”. In più, il 15 aprile è stato non solo il cinquecentesimo compleanno di Leonardo Da Vinci ma anche il “Patriots’ Day” negli USA echeggiato dai New England Patriots vincitori del Super Bowl.

E così via.

Il punto è che noi non chiacchieriamo, noi dimostriamo. E che in novembre – e allo stesso modo in dicembre se non ancora di più –guarderemo molto da vicino la nostra “Wormwood sequence”, la “sequenza dell’assenzio”.

Vedere inoltre: https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/06/28/stay-tuned-20-luglio-2019/

Giornata della lettura 4° appuntamento – PSYCHOSIS capitoli 7 e 8

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GLI APPUNTAMENTI PRECEDENTI:

https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/03/02/inaugurazione-della-domenica-della-lettura-un-nuovo-progetto-del-blog-psychosis-cap-1-e-2/

https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/03/11/domenica-della-lettura-2-appuntamento-in-ritardo-psychosis-cap-3-e-4/

https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/03/17/domenica-della-lettura-3-appuntamento-psychosis-capitoli-5-e-6/

Questi articoli saranno sempre scritti da me, Matteo, e usciranno quando possibile. Ho deciso di sfruttare la visibilità del blog per mostrare i miei scritti, a scopo di intrattenimento, e anche a scopo promozionale. Verranno postati due capitoli alla volta dei miei racconti e dei romanzi in via di svolgimento.

Mi raccomando, condividete gli articoli, ma rispettate l’ autore e non copiate questi scritti su nessun altro sito web, perché sono protetti da Copyright Tutti i Diritti Riservati.

Alcuni progetti sono completati, altri sono in fase di svolgimento. Per esempio, del romanzo che inizio a pubblicare oggi ho realizzato dodici capitoli sui ventinove dei quali sarà costituito, finora. Se conoscete qualche casa editrice o qualche persona ” inserita nel giro ” che vuole seguire questa, chiamiamola così, rubrica del blog, fate in modo che venga/ vengano a conoscenza di questo progetto. Io cercherò di impegnarmi a completare i miei scritti.

Oggi cominciamo con PSYCHOSIS, un romanzo che ho iniziato nel 2018, ambientato in una versione romanzata della mia città, e moderatamente ispirato a IT di Stephen King.

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Questo racconto è protetto dal Copyright Tutti i diritti riservati e non si acconsente alla copiatura del testo su altri siti web e nemmeno all’ utilizzo del testo per altri scopi. E’ quindi un testo di sola lettura. Il plagio è un reato.  

CAPITOLO 7 – Scambio di storie

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2018

Priamo si teneva un fazzoletto stretto al naso, per la prima volta da anni, alle prese con un episodio di emofilia. Si chiedeva come fosse possibile che un pensiero intenso potesse generare abbastanza energia da causare quell’ effetto psicosomatico. Sì, perchè ormai era guarito. Solo che il trauma dei turbolenti ricordi della giovinezza a Ferrofiume avevano generato un fantasma di quella sindrome. Il sangue che usciva a fiotti, però, quello era concreto.

Stava procedendo con una mano sola stretta al volante traballante della sua vecchia automobile che non aveva voluto cambiare, nonostante potesse farlo quando lo voleva, perchè vi era affezionato. Grandi esperienze d’ amore nei sedili posteriori. Tutto lì. Non c’ era altro da dire. Non poteva farla schiacciare da una pressa.

Era rallentato dal traffico di una città di medie dimensioni, alla disperata ricerca di un ospedale dove dare spettacolo con la sua maglia bianca tutta sporca di rosso.

Perchè la gente non prende i mezzi pubblici? Tanto lo sanno che va a finire così, perdono solo del tempo, e ostacolano la gente disperata come me, che sta per svenire e deve salvare gente che non sa nemmeno chi è, o giovani atleti che non sapranno mai quanto sono stati vicini all’ ammirato professionista che si era appena auto – pensionato.

Sentiva di dover liberare la mente. Il nervosismo e la fretta non lo aiutavano affatto. Sperava che il flusso si fermasse. Così come era cominciato. Ma come si fa a non pensare a nulla? E’ già tanto se ogni tanto il suo io interiore rimaneva in contemplazione, in silenzio. Correva incontro a una probabile morte, e non poteva fare a meno di costringere il suo sangue a farsi una passeggiata nel mondo esterno.

Secondo la mappa che si era portato dietro mancavano ancora una sessantina di chilometri per entrare fra i confini del Piemonte. Un brivido freddo gli attraversò il corpo. Ormai ogni cosa sembrava intrisa dai ricordi di quanto era successo venticinque anni prima.

Magari sto morendo, che ne so, un’ emorragia interna, e non potrò raggiungere i miei amici. Quanto sono fortunato. Se solo il pensiero di recarmi laggiù mi scatena l’ emofilia, figuriamoci cosa potrebbe succedere se varco la strada che porta a Ferrofiume. Mi scoppierà la testa!

Andava bene. Tutto alla grande. Il suo corpo aveva paura, e aveva pensato a un escamotage per fermarlo e costringerlo a ripensarci. Gli dispiaceva dovergli dire che non se ne faceva nulla. La sua mente aveva deciso. Ci sarebbe tornato. Certo, prima doveva risolvere quell’ antipatico inconveniente, ma era poi davvero così grave? Forse è un semplice caso di sangue dal naso. Adesso si fermerà e ti basterà sciacquarti la faccia.

La paura è positiva. Vuol dire che sono ancora abbastanza sano di mente. Buono a sapersi.

Una volta erano stati una cosa sola, una entità potente e si erano guardati dentro l’ uno con l’ altro. Ma come era accaduto? Non riusciva a ricordare. Però non era un’ esperienza umanamente possibile. Quello lo rammentava. Era un trucco, una piccola grande magia.

Un tizio che guidava sulla corsia affianco alla sua si sporse a scrutarlo mentre si stringeva il naso. Gli rivolse un’ occhiataccia, infastidito.

«Dico, che cosa c’è di tanto sconvolgente da guardare? Sta cambiando la temperatura, viaggio con il finestrino abbassato, e mi è uscito il sangue dal naso. Incredibile, vero? Scherzi a parte, sa dove posso trovare un’ ospedale? »

L’ uomo si riscosse dalla sua ipnosi e gli fornì le indicazioni necessarie. Priamo lo ringraziò e tirò su il finestrino.

Le città con tutto il loro caos ti offuscano la mente, ti fanno girare la testa, pensò.

Sforzati di stare bene. Inganna il tuo corpo. Ehilà, bella! Va tutto alla grande. Ti vuoi segnare il mio numero? Magari non funziona fra noi due, ma perlomeno avrai trovato un ottimo personal trainer! Perchè non mi provi?

Si mise a ridere per la sua battuta ridicola. Chi diamine parlava in quel modo?

Torniamo giovani, fratello interiore. Puoi chiamarmi Primm. Diventa mio amico di nuovo. Supportami nella mia folle avventura.

Per convincersi di essere tornato giovane come un tempo doveva mostrare al suo corpo un ricordo dell’ epoca. Nello zainetto sul sedile affianco conservava delle monete che nel presente non circolavano più: delle Lire, sette, per ognuno di loro, per i suoi amici, per rammentare anche a loro quale incredibile archivio di esperienze conservavano. Rovistò nel taschino, contandole.

Ma come? Ne ho portate solo cinque. Quando mi sono distratto? Solo cinque. E’ un segnale premonitore?

Ne afferrò una e se la portò davanti agli occhi. Come era bella. Avanti, fermati, sangue. Non c’è più paura, solo nostalgia. Fallo per me. Niente più pronto soccorso.

Avvertì una strana sensazione in fondo al naso. Sorrise. La storia si ripete. Non è così che dicono? Lo abbiamo già affrontato una volta, tutti assieme, e siamo cresciuti abbastanza da mandare la paura in vacanza con tutti i suoi traumi di accompagnamento. Possiamo farcela ancora. Adulti, siamo più forti. In fondo non si tratta che di un uomo. Non è così? Un semplice essere umano.

C’ era una gerarchia nel suo gruppo: Enea era il fratello maggiore, Stefano era una figura paterna, Priamo era lo zio simpatico, Perseo il piccoletto, Beatrice era come una nonna, però con le palle. Mafalda faceva la madrina, e il convertito era un cugino lontano in visita per un periodo determinato. In cuor suo Priamo sentiva che la gerarchia sarebbe cambiata. Sperava che il carattere dei suoi amici si fosse rafforzato, con l’ età. Ne avrebbero avuto bisogno. Perseo …cosa aveva fatto con la sua vita? Con noi stava bene, lo trattavamo come un ragazzo normale, non era il finocchio o l’ effeminato. Enea va ancora in motocicletta? Si sarà unito a un gruppo di centauri? Scoppiò a ridere, pensando a questo. Ridicolo, non era da lui.

Sono forte. Sono determinato. E ti conviene darmi ascolto, signor psicosomatico. Si fa come dico io. Sono un campione.

Ci avevano disfatto la baracca, i ragazzacci balordi. Benissimo. Ne abbiamo piazzata un’ altra. Sì, nei pressi della strada che portava alla diga di Ferrofiume.

Priamo si diede un’ occhiata al fazzoletto. Il sangue cominciava ad asciugarsi. Si era fermato. Poteva procedere. Il suo corpo si era sintonizzato.

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1993

 «Possiamo sistemarci qui, a metà strada fra la pista di atletica e la Diga. »

Stavano guardando un cumulo di casse di legno, incorniciato da quattro sedie a sdraio di medie dimensioni. Priamo si trovava assieme a Enea e Beatrice. Enea appariva deluso da quella prospettiva. Avevano portato delle tavolette di legno prese dal magazzino della cascina di Beatrice, e l’ idea era quella di fissarle al terreno e realizzare una staccionata. Non mancavano di martello e vanga.

« Un rifugio a cielo aperto? In teoria ci servirebbe un riparo dalla pioggia » disse Priamo, Primm per gli amici.

« Spartano, ma almeno non ci sono pareti da buttare giù. Mettiamo su la staccionata, poi vi dico che cosa ho in mente per evitare problemi » disse Beatrice, Trice per gli amici.

« Avanti, facciamo questo tentativo » disse Enea.

Enea li informò che più tardi sarebbero arrivati Stefano, Perseo e una nuova amica di Perseo.

Trice alzò lo sguardo:  « Urrà, non sarò più da sola! »

Primm commentò: « Magari non durerà molto. Alle ragazze, di solito, piace stare fra di loro. »

Enea disse: « Perseo dice che è una nuova iscritta, e si chiama Mafalda. Ha detto che abita nei pressi del salone La Tartufara. »

Priamo avvertiva una strana sensazione osservando Enea. Sembrava più chiuso, assorto nei suoi pensieri, comunicava con distacco, come se stesse spiegando l’ argomento del mese a una professoressa.

Enea fissò la prima tavoletta, si sfregò le mani, e si girò a guardare la strada, osservando un punto indefinito all’ orizzonte. Si mise le mani ai fianchi e sospirò. Sentiva di dover cominciare a parlare di una certa cosa importante.

« Sono contento che tu ti sia ristabilito, Primm » disse. L’ amico lo ringraziò ancora per avergli dato il passaggio.

« Ti hanno fatto domande su come è successo? » chiese Beatrice. Priamo spiegò che aveva spiegato che lui ed Enea giocavano alla lotta, e aveva finto di ammettere che vista la sua condizione, era stata un’ idea stupida. Enea sorrise, e gli lanciò un pugno leggero sulla spalla. Priamo rispose fingendo di schiaffeggiarlo. Enea sorrise per mascherare l’ angoscia che gli gorgogliava nello stomaco.

« Che ne dite se andiamo avanti? Non ho tutto il pomeriggio a disposizione, lo sapete » propose Beatrice.

Avevano scelto un sentiero isolato da tutto, con un panorama boschivo tutt’ attorno. In fondo alla strada ci abitava una famiglia, ma non passavano quasi mai macchine. Gli altri ragazzi non avevano motivo di avventurarsi da quelle parti : la piscina nei paraggi era chiusa, non era ancora stagione.

Beatrice non poteva fare a meno di sorridere, perchè la sua era una modalità di difesa deterrente.

Una decina di minuti dopo, Beatrice disse:  « Bene, ora vi espongo la mia idea. Toglietevi le scarpe e prendete le vostre calze. »

I due amici obbedirono perplessi, e Beatrice tirò fuori dal marsupio un paio di calze sudate di suo padre.

« L’ odore della fatica!  » ridacchiò.

« Avanti, immergete le vostre calze nel canale all’ inizio del sentiero! Nessuno riuscirà ad avvicinarsi al nostro rifugio! »

« Sei sicura di essere una ragazza? Sei terribile, Trice » commentò Priamo, con una smorfia divertita.

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Era una giornata primaverile che sarebbe rimasta impressa nella mente dei tre giovani ragazzi. Si stava bene in mezzo al verde, senza il fastidio delle zanzare e dei moscerini. Il cielo era sereno e la temperatura era stabile.

Beatrice era una ragazza che non aveva paura di sporcarsi le mani di terriccio, e aveva preso le redini della situazione. Enea aveva abbandonato la sua titubanza e il suo rimuginare interiore e si era lasciato andare un po’ alla leggerezza.

Priamo aveva proposto di posizionare dei grossi sassi uno sopra l’ altro per creare mini piattaforme dove quelli che non trovavano posto sulle casse e sulle sedie a sdraio avrebbero potuto appoggiarvisi sopra.

Poi Beatrice ebbe un’ illuminazione:  « Ma certo! Perchè non ci ho pensato prima? Domani mettiamo un pezzo del telo della mia vecchia tenda da campeggio e ne ricaviamo una specie di tetto! »

Poi disse:  « E ora picnic! »

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Testarono la stabilità delle sedie a sdraio mentre mangiavano i loro panini, parlando del più e del meno e godendosi la tranquillità idilliaca del paesaggio circostante.

Durò per poco, perchè qualche minuto dopo giunsero gli altri due amici Stefano e Perseo, con la nuova ragazza.

« Ma guarda, hanno messo su un accampamento per barboni lungo la strada » commentò Stefano.

Mafalda abbassò lo sguardo, curiosa ma intimidita allo stesso tempo. Quando Perseo le appoggiò una mano sulla spalla, arrossì.

Priamo si avvicinò a lei e disse:  « Ciao, io sono Priamo, gioco a basket nella squadra locale. Questa sarà la nostra nuova base. Visto che ti unisci a noi, che ne diresti di raccontarci qualcosa di te? »

Mafalda rispose:  « Per gli amici sono Mafy. Potete chiamarmi così. »

Dopo un po’ di tempo passato a contemplare la base e ad accomodarsi sulle sedie o sui sassi, Stefano commentò:  « Sapete che anche a Mafy piace leggere libri? Dovreste cominciare anche voi questa nuova esperienza! »

Gli altri lo guardarono divertiti, mentre Beatrice alzò la mano:  « Io leggo Jane Eyre. E’ proprio scritto bene. »

I membri del gruppo decisero di fare un giro per cercare altro materiale per arricchire il rifugio, mentre Beatrice rimase a sistemare alcune delle tavolette che non erano state fissate per bene. Gli altri trovarono un copertone, una bici arrugginita, e una scatola di cartone abbandonata.

Mafalda osservò le loro interazioni, e notò che Enea era come un leader sottinteso, Priamo era espansivo, e a volte anche un po’ dispettoso, ma in modo simpatico, Stefano era silenzioso, Beatrice era bassina ma sicura di sè, mentre Perseo era vivace e gentile. Mafalda aveva raccontato loro che abitava vicino alla pista di atletica con i genitori, e pareva che gli altri non avessero notato i suoi vestiti usati e un po’ all’ antica. Con loro poteva essere sè stessa. Mano a mano che passava il tempo si trovava sempre più attratta da Perseo, che con gli amici si scatenava, iperattivo e ingenuamente esuberante come un bambino. Nei momenti giusti, il suo nuovo caro amico, parlava sempre bene di lei.

Anche mentre si godeva le attenzioni di Perseo, Mafalda notò con un certo nervosismo che Enea stava cercando di dire qualcosa di importante. Apriva la bocca e li guardava con intensità e concentrazione e poi si tirava indietro, chiudeva la bocca di scatto e deglutiva.

Quando comprese che ci sarebbe stato un momento di silenzio, lo interruppe e cominciò col chiedere:   « Posso raccontarvi una cosa? »

Lo guardarono tutti.

« E’ una cosa incredibile, ma non voglio prendervi in giro. L’ ho scoperto per davvero. »

« Scoperto che cosa? » chiese Perseo.

Enea raccontò di aver sbirciato il quaderno dei disegni di suo fratello maggiore, che era mimetizzato accuratamente fra i quaderni di scuola, e di aver scoperto i disegni segreti, e cercò di descrivere quanto fossero macabri. E di come lo guardava suo fratello dopo cena, come se si sentisse pienamente a suo agio, tranquillo e sereno. Invece si era ritratto con la faccia della Morte e gli occhi rossi. Lo raccontò camminando in circolo, agitato, strusciandosi la mano sui capelli, mettendoli tutti in disordine. Stefano, Priamo e Beatrice avevano un’ espressione seria e preoccupata. Mafalda era perplessa, Perseo si era bloccato in un’ espressione di sorpresa, a bocca aperta, e occhi grossi. Stefano realizzò per primo che cosa sospettava Enea.

Ma non voleva sputare il rospo con la sua consueta brutalità. Non ancora.

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Un lunedì, Enea era uscito a fare un giro in motocicletta in solitaria, e si era fermato alla stazione a guardare i treni.

La domenica precedente era passato davanti alla scuola Leoni e aveva svoltato a destra, fermandosi a riflettere un pochettino alla Piazzetta, un quadrato verde con tre panchine e una fontana, e aveva udito le voci di tanti ragazzini e bambini provenire dal cortile dell’ oratorio dell’ Addolorata, che all’ epoca richiamava al suo interno i giovani di tutto il quartiere. Da una finestra si potevano sentire le lezioni di allenamento dei coristi della Messa. Enea non riusciva a capire l’ atmosfera di quell’ ambiente perchè il padre rifiutava ogni parte della società e riteneva che la religione fosse una cosa stupida e un’ influenza negativa. E le sue opinioni avevano effetto su quelle di Enea.

Gli piaceva vedere la gente che saliva e scendeva dai treni, per esempio c’ erano quelli che si recavano a Vercelli per seguire le lezioni universitarie. A scuola gli avevano insegnato che una volta per le strade di Ferrofiume passava un tram, che veniva chiamato tramvai. Gli sarebbe piaciuto farci un giro e ammirare la città da un’ altra prospettiva, ma ormai quei tempi appartenevano al passato.

Ad un certo punto, una donna lo riconobbe e gli disse che ammirava suo padre, che si dava tanto da fare per fornire un servizio unico alla comunità, e gli aveva chiesto se poteva informare suo padre che aveva finito il suo barattolino di pastiglie, quelle speciali, ma Enea trovò il modo di annuire e comprendere quell’ informazione che lo aveva sbalordito e reso alquanto perplesso. Non aveva idea di che cosa stesse blaterando quella signora. Con il padre non ne aveva parlato.

La signora qualche giorno dopo si era ripresentata, suonando al citofono dei Cercovici e suo padre era sceso per parlare in privato con lei, in cortile. Enea era riuscito a non farsi vedere, sbirciando dall’ angolo fra la portafinestra e il balconcino, ma non aveva carpito niente di comprensibile.

Quel lunedì si era messo a gironzolare nella piazzetta con la grande fontana al centro, dove c’ erano i parcheggi per gli autobus e una rotonda per il transito delle macchine, e ad un tratto un tizio si era fermato, aveva abbassato il finestrino e gli aveva chiesto se voleva salire a farsi un giro con lui. Per tutta risposta, Enea aveva alzato il dito medio e aveva tentato di sputargli addosso, ma quello aveva capito l’ antifona ed era partito a tutta birra, allontanandosi dalla zona. Avrebbe sentito parlare di lui da altri ragazzini della città, quando non sapevano che cos’ altro raccontarsi.

Un altro argomento che era sulla bocca di molti era la storia del palazzone abbandonato della zona di Quarto Autunno, da molti soprannominato la Casa dei Timori, dove si diceva potevano trovarsi barboni e malintenzionati vari. Enea ci passava davanti con la moto, e rimaneva affascinato dal mistero che emanava quel palazzo, e dalle finestre senza vetri.

Quel giorno non riuscì più a resistere oltre, e sentì il bisogno di fermarsi a fare una pausa e avvicinarsi all’ ingresso del palazzo.

I vagabondi si potevano rifugiare là dentro con più probabilità durante l’ inverno o in occasione dei rave party, che attiravano squinternati che poi non sapevano più come tornare a casa.

Qualcuno c’ era di certo: c’ erano bottigliette di birra vuote, pezzi di vetro, stracci e panni sporchi e un gatto morto riverso sul pavimento, circondato dalle mosche.

Una volta giunto all’ interno, in uno dei corridoi poteva trovare bottiglie di liquori, pagine di giornale, cartoni.

Enea se li immaginava, barboni e venditori ambulanti, prendere l’ autobus senza biglietto, camminare instancabilmente dal mattino alla sera, possibilmente malaticci.

Poi ad un tratto vide spuntare dal fondo del corridoio una figura inquietante. Quasi tutto il viso era nascosto da un fazzoletto, e portava un grande cappello strano, e un cappotto rosso che gli era molto famigliare, per qualche motivo. Gli occhi erano coperti da occhiali da sole.

Il tizio gli venne incontro a tutta velocità, ed Enea indietreggiò, intimorito. Il silenzio della figura tutta imbardata era ancora più sconfortante. Enea si lanciò verso il cortile interno, e venne accolto dalla luce del sole. Vide il tizio che lo osservava da una finestra.

Poi sembrava essere sparito. Enea si chiese se non fosse stata tutta un’ allucinazione. Un divertente aneddoto da raccontare al fratello maggiore, che in ogni caso avrebbe riso ma non lo avrebbe mai preso in giro e ridicolizzato per questo. Poi due grosse mani si aggrapparono alle sue spalle. Enea sussultò e impallidì.

La figura si mise un dito davanti alla bocca, intimandogli di fare silenzio, e poi lo spinse via. Enea non gli diede tempo per ripensarci, e si incamminò, intontito e perplesso, verso la sua moto. Nel tragitto verso casa, vedere i ragazzini che giocavano a pallone al parco lo fece tornare alla realtà, anche se sotto sotto gli sembrava di aver vissuto un’ esperienza reale e non una semplice illusione.

Quella notte, suo fratello doveva aver creduto che dormisse, mentre stava solo lì a rimuginare, a occhi chiusi, dando le spalle alla porta, quando Sabele gli passò una mano fra i capelli e si avvicinò alla sua faccia. Enea aveva finto di mugugnare nel sonno ed era riuscito a mandarlo via.

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Enea aveva raccontato l’ intera vicenda agli amici, riuniti alla Strada alla Diga. Perseo, innervosito, aveva chiesto agli amici se qualcuno aveva da dargli qualcosa da mangiare, Stefano gli chiese se era  sicuro sicuro  che ogni passo della storia fosse accaduto proprio in quel modo.

Enea si coprì gli occhi con le mani, e rimase un po’ in quella posizione, poi si strusciò le dita bagnate di pianto sui pantaloni. Stefano si sollevò e gli circondò le spalle con un braccio. Beatrice lo invitò ad abbracciarlo, ed Enea si lasciò andare addosso a lei, stringendo con forza e strizzando gli occhi.

« Anche io ho visto un tizio simile a quello » mormorò Mafalda.

Perseo annuì, con gli occhi da cerbiatto, ed esclamò:   « Io l’ ho visto una sera al museo, mentre mio padre chiudeva tutto »

« E se era tutta una messinscena per una candid camera? » domandò Priamo

« Non credo proprio. Chi lo sapeva che Enea sarebbe andato al palazzone abbandonato e che Perseo sarebbe stato al museo? » ribattè Stefano.

Lo sconforto di Enea era troppo intenso per non credere alla sua storia. In cuor loro, i membri del gruppo erano nervosi, perchè se il loro leader sottinteso cedeva, se avesse perso la testa, allora come potevano evitare di seguirlo a ruota?

CAPITOLO 8 – Tutta una messinscena?

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2018

Beatrice spegneva la radio che trasmetteva una canzone di quella che per lei era l’ imitazione della Regina degli anni ’80. La musica nel corso degli anni aveva perso il fascino di una volta. Aveva accostato qualche chilometro più indietro perchè aveva avuto noie al motore, ma niente che una tuttofare come lei non potesse sistemare con le sue mani, in completa autonomia.

In quel momento si trovava a osservare il cartello che si aspettava di avvistare a quel punto, e si sentiva tremare le dita che tamburellavano sul volante. Beatrice era tornata nella sua città natale dopo vent’ anni di assenza, un allontanamento che era diventato una costante dopo i venticinque anni.

Sentì lo stomaco che le gorgogliava nella pancia. Aveva mangiato male all’ autogrill dove aveva fatto sosta. Non era sua abitudine mangiare quelle schifezze, ma immersa nei pensieri, si era dimenticata di portare qualcosa da mangiare lungo il tragitto.

State entrando a Ferrofiume

Benvenuti e buon proseguimento 

Molto divertente come cartello, pensò Beatrice, con sarcasmo. Ai confini della città c’ era un fruttivendolo gestito da ( probabilmente ora c’era il figlio, pensò ) dei clienti fedeli dei suoi genitori, defunti da qualche anno. Presto sarebbe passata lungo la strada che dà su Viale Vistafiume e il corso d’ acqua del Po, e in lontananza avrebbe visto la zona di Alto Verde dove andava con i suoi vecchi amici.

Si rese conto che aveva guidato per tutto il giorno in uno stato ipnotico, con il cervello diviso fra i ricordi di una volta e la concentrazione sulla strada che aveva davanti a sè e le manovre delle altre automobili.

Ad un tratto sussultò, quando un gatto decise di attraversare la strada davanti a lei.

Poi le tornò in mente, come se le fosse caduto sulla testa, un ricordo del giorno della costruzione della base alla Strada alla Diga. Il ragazzino che era giunto fino a loro in bici e aveva detto loro che dovevano sloggiare.

Si chiese se sarebbe tornata a Ferrofiume Popolo con una bici a noleggio, per percorrere le strade della sua infanzia, tutta sola come aveva sempre fatto. La nostalgia per i genitori la colse all’ improvviso, facendola arrestare a singhiozzare sul volante per qualche minuto di puro sconforto.

Tornò a ricordare della giornata della base, e di come avevano osservato in silenzio il ragazzo estraneo, e di come lei si era alzata in piedi a braccia conserte e aveva affermato che aveva deciso lei che si sarebbero stabiliti lì e che ne avevano tutto il diritto. Tutti quanti l’ avevano supportata. Riteneva che fosse stato quello il momento in cui la nuova arrivata Mafalda aveva deciso che sarebbe stata una di loro in modo ufficiale.

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 1993

 « Da qui non ci spostiamo! » aveva detto Beatrice al ragazzo, ed Enea l’ aveva affiancata a braccia conserte, riacquistando sicurezza, e ripetè la sua frase. Aveva anche aggiunto che la ragazzina dietro di lui si era unita a loro per la prima volta, ma anche lei voleva restare, e le chiese di confermare. Mafalda fece un passo in avanti, e si mise le mani ai fianchi, annuendo. Poi si fece avanti Perseo.

« Vi vengo a beccare sotto casa se non sloggiate! » esclamò il ragazzo. Stefano si fece avanti. Priamo lo seguì a ruota. Ad ogni modo, si massaggiò il naso per essere pronto ad ogni evenienza e proteggersi il punto debole. Mafalda sorrideva, compiacendosi dell’ effetto che faceva far parte di qualcosa. Il ragazzo era rimasto a guardare a bocca aperta, sbalordito. Poi assunse un modo di fare derisorio, e disse:

« Cosa pensate, che io non abbia amici? Mi daranno una mano a darvi un paio di batoste quando vi beccheremo ancora una volta da queste parti. Basta che glielo chieda e loro ci stanno all’ istante. »

«Che cosa aspetti, allora, a chiamarli? Credi che noi non sappiamo menar le mani o piazzare un bel calcio dove fa male da morire? » provocò Priamo « Vi vedremo caracollare verso casa con le mani a proteggervi lì sotto. »

« Vuoi che ti bersagli il naso, così poi scende giù la cascata e non si ferma più? Conosco quel che ti succede se prendi un colpo in faccia, Danteschi. »

« Accidenti a te, ma che fastidio diamo, seduti qua in mezzo al nulla? » sbottò Enea.

« Tutte quelle cose ammassate nella vostra base sono della mia famiglia. Persino i sassi vengono dalla nostra proprietà. »

« Questa è una scusa. Allora perchè le sedie c’ erano già ed era tutto sparso per l’ intera zona? » chiese Priamo.

« Non importa. Tutta la strada appartiene a noi. Siamo l’ unica famiglia che vive da queste parti. Tutto quello che vedete rappresenta la nostra proprietà. »

« Non siete la Famiglia Reale. Qui, a buona distanza da casa vostra, siamo liberi, e nel pieno diritto di installare una base.  » commentò Beatrice.

« Abbiamo provato a occupare una baracca nei pressi di Alto Verde, ma i bulli amici di Pellocarmine ci hanno disfatto tutto.  » disse Enea.

« Oh … » mormorò il ragazzo.

 « Qualche mese fa proprio i suoi compari mi hanno acciaccato tutto il corpo. Vabbè, non importa. Fate quello che volete, però non fatevi vedere seduti qui quando passa il monovolume di mio padre. Altrimenti penserà che avete invaso la sua proprietà. Spesso ripeto quello che dice mio padre, ma a dir la verità, non mi dà fastidio se frequentate questa zona. Io sono Mario Colla, se vi interessa. Ma …non avete paura che il killer vi becchi da soli per questi boschi tutt’ attorno? In teoria potrebbe essere dovunque. »

Mario Colla li osservò mentre si scambiavano occhiate serie e nervose.

« Non importa. Se volete che ogni tanto vi faccio compagnia, fatemelo sapere. Tu sei Enea Cercovici, vero? » gli puntò lo sguardo addosso: « Uno di questi giorni ci facciamo un giro sulla moto, vuoi? Anche io ne ho una. Pensaci su! »

Lo salutarono, domandandosi se si sarebbe unito a loro, nel corso delle settimane successive, ma non accadde mai perchè il giorno dopo il fratello maggiore lo convinse a fuggire via con lui.

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Più tardi Enea aveva caricato Priamo sulla moto. Stefano li aveva invitati a fermarsi a cena da lui e li avrebbe ospitati nella sua soffitta, ma loro due avevano declinato. Inoltre Mafalda non aveva il permesso e il coraggio di entrare in casa di uno appena conosciuto. Ci avrebbe messo del tempo. Enea si stava dirigendo verso casa sua. Sentiva Priamo dietro di sè, ma era come se non ci fosse.

« Quando siamo arrivati a casa mia, prendi il telefono e informa i tuoi che resti da me. » disse Enea.

« Quando saremo lì, se non vediamo tuo fratello in giro, vorresti mostrarmi quel quaderno? »

« No, dai non se ne parla. Sono sicuro che lo troviamo in casa » rispose lui, dopo qualche istante di esitazione: « magari non significa niente di terribile. Non li ho visti bene i disegni, tranne l’ ultimo del ritratto. »

« Tutti i nostri amici hanno avuto incontri fugaci con quel tizio, che forse è il killer e forse non lo è, e pensa se viene fuori che è tuo fratello. Non pensi che dovremmo confermare la situazione, almeno fra di noi? »

« Ma sono rimasti vivi per raccontarlo. Perchè allora tanta gente è stata uccisa? Quando è successo a me mi ha persino spinto via, intimandomi di fare silenzio su di lui. Non ha mai parlato ma lo ha fatto con un gesto. »

« Avrebbe anche potuto ucciderti. Nessuno sospetta di tuo fratello …e se non è il killer, allora è tuo fratello che va in giro a spaventare la gente nei posti isolati. Ma come fa a sapere che siamo diretti proprio in quei posti? Una casualità? »

Adesso mi sento sempre a disagio in casa, nelle vicinanze della sua stanza, in sua compagnia. Mi sono preso proprio bene con l’ angoscia. Stare a tavola e vederlo mangiare, quando afferra la forchetta mi fa venire in mente il killer che agita le lame. Prima o poi mi prenderà da parte per chiedermi che cosa mi affligge. Come un bravo fratello. E io invece sospetto cose orribili su di lui.

« C’è un’ altra serie di indizi. Nel laboratorio privato di mio padre c’è anche una camera oscura. Lui si sta assentando da casa sempre più spesso, e io l’ ho spiato e ho scoperto quali sono le chiavi per accedervi. Ho trovato una macchina fotografica in camera di mio fratello e ho sviluppato le foto nella notte, senza farmi beccare da nessuno. Anche tutte quelle cose macabre. »

Se lo beccano in flagrante, come si sentiranno i miei genitori, ad aver cresciuto un pericolo pubblico senza rendersene conto? Che figura ci farebbe mio padre? La sua reputazione ne uscirebbe macchiata, e non riuscirebbe più a cambiare il mondo e a farsi prendere sul serio dalla gente di scienza.

Adesso che so dei disegni nascosti, ho anche la responsabilità di allertare le autorità, vero? Solo perchè si tratta di mio fratello non posso fare finta di niente, non è così?

Nel frattempo che rifletteva erano arrivati sotto casa sua, e dopo aver aperto il portone di ingresso si accingevano a parcheggiare la moto al sicuro, nel suo solito posto.

Poi Enea fece segno a Priamo di sedersi su delle sedie da giardino, in un angolo nascosto.

Priamo vide il suo amico che si copriva la faccia, e con gentilezza, cercò di persuaderlo a mostrarsi in volto.

« Non avrei mai pensato che saremmo arrivati a questo punto. A sospettare che la città sia stata gettata nel panico da mio fratello. »

« Lo so, è tremendo. Ma non sono sicuro che sia una buona idea mettersi a piangere qui. Qualcuno potrebbe sentirti. »

« Se non facciamo qualcosa al più presto, morirà altra gente. »

« Allora lascia che io veda per bene questo quaderno. Dobbiamo avere una conferma sugli indizi. »

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E così Enea portò Priamo a casa sua. La madre li salutò, e chiese loro se volevano mangiare qualcosa. Enea chiese se il suo amico poteva restare per cena. Poi chiese se Sabele era in casa, e la madre rispose di sì, e i due ragazzi si scambiarono un’ occhiata preoccupata e delusa allo stesso tempo.

Rimasero a parlottare del più e del meno con la signora Cercovici, poi Sabele arrivò e mostrò una macchina fotografica ad Enea:

« E’ tua questa? Me la sono ritrovata nella mia stanza, ma non so che cosa farmene. Vorresti riprendertela? »

Non gli disse di non entrare nella sua stanza. Non era da lui. Non gli passava neanche per l’ anticamera del cervello che suo fratello minore potesse intuire qualcosa di oscuro su di lui.

« Non è mia, ma se vuoi che la tenga io, va bene … » mormorò Enea.

Sabele salutò distrattamente Priamo, e tornò nella sua stanza.

« Cosa ci fa una macchina fotografica in giro per casa? » chiese la signora Cercovici.

« Se non ti dispiace, vorremmo darci un’ occhiata, io e Priamo. »

La donna disse che andava bene, poi chiese a Priamo che cosa volesse mangiare a cena.

Priamo esitò per un istante, poi rispose alla donna. Però rimaneva perplesso per la storia della macchina fotografica. Se Sabele l’ aveva usata per fare le sue foto macabre perchè ad un tratto l’ aveva ceduta a suo fratello come se niente fosse?

Arriverebbe a dargli la colpa? Se venisse scoperto direbbe che Enea ha collaborato?

« Io e Priamo andiamo nella mia stanza. Bussa quando è ora di cenare. »

« Aspetta. Vorrei chiedere di poter usare il telefono per avvisare mia madre che resto qui. »

« Dopo, prima che faccia troppo tardi, lo porto a casa sulla moto. »

La signora Cercovici disse che andava bene, ma che doveva essere molto prudente con un passeggero.

Enea era così assorto nei suoi pensieri che non aveva nemmeno acceso la luce mentre percorrevano il corridoio, così Priamo si sentiva come se stesse seguendo il suo compare ladro in una casa vuota.

« Credi che Sabele abbia usato ancora questa macchina fotografica? » sussurrò Priamo.

« Ho nascosto le foto che ho fatto sviluppare. Se vuoi vedere degli indizi con i tuoi occhi, possiamo cominciare da quelli. »

« Non roviniamoci subito la serata. Perchè non mi fai vedere le tue pagelle, piuttosto? O i tuoi quaderni scolastici? »

« Perchè dovrei? Cosa ti interessa trovare nei miei quaderni? » Enea lo guardò perplesso.

« Be’, tu non parli mai di scuola. Voglio solo sapere se è perchè prendi troppi brutti voti oppure perchè dentro di te si nasconde un secchione. »

« Ma dai …pensiamo alle cose serie, piuttosto.  » Enea accennò una smorfia di divertito stupore, poi cambiò subito espressione, distogliendo lo sguardo e rivolgendolo da un’ altra parte.

Enea tirò fuori dall’ ultimo cassetto del soprammobile vicino alla scrivania una busta da lettere bianca piena di foto.

« Non so se dovrei fartele vedere adesso. Potresti non aver più voglia di mangiare alcunchè. »

« Cercherò di fare del mio meglio. Non mi va di andare a dormire senza aver mangiato abbastanza. Ora voglio vedere queste benedette foto. Basta che non ci siano cadaveri umani. Perchè altrimenti me la batto senza salutare nessuno. » Priamo fece per prendere la busta, poi ritrasse la mano. Aspettò che Enea rispondesse:   « Sono solo animali » poi prese la busta e diede un’ occhiata all’ interno.

« Sono tante foto. Ne conto almeno una quindicina. Sono tutte così orribili come temo? »

« Credo proprio di sì. Alcune non sono così splatter come immagini, ma il fatto che le abbia scattate proprio lui, che non è una persona aggressiva, che non ha mai avuto problemi con mamma e papà, le rende tutte inquietanti allo stesso modo. »

« Ma non avrebbe dovuto svilupparle lui stesso? Tu hai detto che hai trovato quella macchina fotografica, lui dice che non sa che cosa farsene, e non sa perchè si trova nella sua stanza, insomma che cosa sta succedendo? »

« Guarda quelle foto! »

« Ci viene qualcun altro a casa vostra? Magari un amico di Sabele? E se in realtà ci fossero due killer, uno che fa i disegni e l’ altro che fa le foto? Uno se la prende con le persone, uno con gli animali? E se ci fosse qualcosa di contorto dietro? Come fai a sapere che le ha scattate tuo fratello? »

« Non so cosa pensare. Di solito chi fa male alle persone tormenta anche gli animali, se gli capitano a tiro. Che cosa ne so, io. Può essere che nei giorni in cui non riesce a trovare vittime umane, va a cercare animaletti per sfogarsi. »

Priamo cominciò a dare una veloce scorsa alle foto, allontanando istintivamente quelle più truci. Poi le scrutò con più attenzione, in un processo inevitabile.

Dopo qualche istante commentò: « Mi sa che non troveremo più conigli per anni, nella Scorciatoia, dopo che è passato questo …cacciatore …è mostruoso il modo in cui ha conciato questi animaletti.»

Qualcuno bussò alla porta. Sabele chiese di poter entrare. Enea si slanciò verso Priamo e gli premette una mano sulla bocca. Poi afferrò le foto tutte assieme, e le gettò sotto il letto, assicurandosi che non spuntasse fuori nemmeno un angolino. Poi aprì la porta a suo fratello.

Sabele chiese ai due ragazzi se poteva mostrare loro un disegno.

Priamo cercò con tutte le sue forze di apparire neutrale, mentre Enea gli diede l’ okay guardando il foglio che Sabele stringeva fra le mani. Il fratello glielo porse fra le mani, e Priamo si avvicinò a guardare.

Erano caricature del loro gruppo. Mancava Mafalda all’ appello, perchè Sabele non poteva sapere che l’ avessero fatta partecipare a uno dei loro pomeriggi. Nessuno di loro due pensò che fosse necessario farglielo sapere.

Enea lo ringraziò con un accenno di nervosismo nella voce, e gli chiese se poteva tenerlo. Sabele annuì e commentò:

« Sono contento che tu abbia sempre tanti amici con cui passare il tempo. Io non sono portato per le compagnie. Quelli della mia età, al liceo artistico, non mi vanno a genio. Perlomeno ho un bravo fratello a casa mia. »

Poi si congedò, ed Enea rimase a guardare la porta, perplesso e nervoso, per qualche istante dopo che era stata chiusa.

« Ci ha presi di mira! » sussurrò Priamo  « Ci ha inseriti nella lista nera! Non puoi più fidarti di lui. Tu sei l’ obiettivo più facile, può soffocarti con un cuscino durante la notte quando vuole! »

Enea lo guardò con occhi gonfiati dalla paura. Scosse la testa, incredulo, e lasciò cadere il disegno sul letto.

« Se non sapessi che cosa significa in realtà chiederei alla segreteria della scuola di farmi fare una fotocopia. Siamo disegnati tutti così bene … » mormorò Priamo.

Enea tirò su da sotto il letto tre delle macabre fotografie, e le osservò con occhi pieni di rabbia. Per un attimo a Priamo parve che il suo amico fosse diventato più maturo, più determinato, più adulto.

 « Conserverò ognuna di queste foto. Non so a che gioco sta giocando, ma mi sento tradito, e non farò finta di niente. » sibilò Enea.

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5

A cena, la signora Cercovici a un certo punto notò che Enea guardava nella direzione di Sabele con un accenno troppo corrucciato di serietà, capì che rimuginava, ci vide quasi una scintilla di rabbia.

« Avete litigato tu e tuo fratello, Enea? C’è stata una discussione, per caso? »

Enea si rese conto di come lo stava guardando, e scoccò un’ occhiata allarmata alla madre, abbassò lo sguardo sul suo piatto e le disse di no, che non era successo niente.

Priamo osservò che Sabele stava guardando Enea con un accenno di apprensione.

In quel momento si pentì di aver dato più che una veloce scorsa a quelle orribili foto. Avrebbe fatto molta fatica a finire il cibo nel piatto.

Ad un certo punto Enea chiese di poter andare in bagno per un momento, e arrivato lì, si chiuse dentro a chiave per cinque minuti e meditò con la faccia appoggiata sulle braccia che circondavano le ginocchia. Gli venne un impeto di violenza, e arrivò quasi a sbattere un pugno contro il muro.

Domenica della lettura 3° appuntamento – PSYCHOSIS capitoli 5 e 6

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Questi articoli saranno sempre scritti da me, Matteo, e usciranno ogni domenica. Ho deciso di sfruttare la visibilità del blog per mostrare i miei scritti, a scopo di intrattenimento domenicale, e anche a scopo promozionale. Verranno postati due capitoli alla volta dei miei racconti e dei romanzi in via di svolgimento.

Mi raccomando, condividete gli articoli, ma rispettate l’ autore e non copiate questi scritti su nessun altro sito web, perché sono protetti da Copyright Tutti i Diritti Riservati.

Alcuni progetti sono completati, altri sono in fase di svolgimento. Per esempio, del romanzo che inizio a pubblicare oggi ho realizzato dodici capitoli sui ventinove dei quali sarà costituito, finora. Se conoscete qualche casa editrice o qualche persona ” inserita nel giro ” che vuole seguire questa, chiamiamola così, rubrica del blog, fate in modo che venga/ vengano a conoscenza di questo progetto. Io cercherò di impegnarmi a completare i miei scritti.

Oggi cominciamo con PSYCHOSIS, un romanzo che ho iniziato nel 2018, ambientato in una versione romanzata della mia città, e moderatamente ispirato a IT di Stephen King.

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Questo racconto è protetto dal Copyright Tutti i diritti riservati e non si acconsente alla copiatura del testo su altri siti web e nemmeno all’ utilizzo del testo per altri scopi. E’ quindi un testo di sola lettura. Il plagio è un reato.  

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CAPITOLO 5 – Demoni emergenti

1

Era uno spettacolo inusuale, per chi ci faceva attenzione, vedere un ragazzo alla guida di una moto rombante trasportare l’ amico con i vestiti pieni zuppi di sangue. Se non fosse stato che Priamo si teneva il naso premuto con tutta la sua forza si sarebbe potuto pensare che avesse appena massacrato qualcuno. Enea sperava di non imbattersi nei vigili, perchè quelli, dissanguamento o meno, vedendo Priamo senza casco li avrebbero fermati, e il suo amico sarebbe stato accompagnato al pronto soccorso con una volante della polizia.

Si sentiva un uomo, forte e cattivo, quando accelerava in sella alla sua motocicletta. In un piccolo anfratto della sua mente, mentre sfrecciava per le vie, cercando di raggiungere il quartiere di San Valentino, si augurava di non superare i limiti di velocità. Per il resto gli sembrava di essere un personaggio di qualche anime giapponese.

Quando arrivava a delle strisce pedonali si metteva ad urlare « Via, state lontano! Il mio amico è in pericolo! »

Una donna si scansò appena in tempo, e vedendo il passeggero con un fazzoletto sulla faccia e il sangue che colava inesorabile, in cuor suo pensò Oddio, questo è il primo che sopravvive a un attacco del killer!

La signora, ironia della sorte, era la madre di Fosco Chiavelli che usciva da un negozio dove aveva fatto acquisti. Se avesse saputo che a combinare la faccia del passeggero della motocicletta in quel modo era stato il suo stesso figlio lo avrebbe obbligato a trasferirsi dal nonno, che era suo padre, che sapeva bene come risanare certi adolescenti ribelli e impulsivi.

Pensieri strani offuscavano la mente di Enea Cercovici. Andiamo a cercare quei vigliacchi e spiattelliamoli sul cemento. Così capiranno che con noi non si scherza. Stanno giocando col fuoco e non se ne rendono conto.

Enea non sapeva che cosa farsene di questi pensieri cattivi. Rimaneva ammutolito per qualche istante quando gli partivano i film mentali. La sua priorità in quel momento era portare il suo amico al sicuro.

Sto creando uno spettacolo per tutta la città. Doveva proprio accadere alla massima distanza possibile dal quartiere dell’ ospedale. Domani tutti crederanno che siamo stati assaliti dal killer. E noi non possiamo fare altro che tacere altrimenti quei balordi ci perseguiteranno ancora.

Di questi pensieri egoistici si vergognava. Voleva bene al suo amico, e non gli piaceva affatto vederlo in quello stato, a pregare di non perdere conoscenza. Il tempo stringeva. Bisognava risolvere la situazione.

Finalmente imboccò il viale di San Valentino, e sfrecciò attraverso bar e negozi, ristoranti – pizzerie e davanti alla centrale dei Carabinieri. Poi superò l’ incrocio del canale e ancora più avanti, si voltò a lanciare un’ occhiata al cancello colorato dell’ oratorio più noto della città. Sfrecciò quindi affianco al pilastro con l’ insegna del Blockbuster, ed era ancora a metà strada. Girò quindi a sinistra all’ incrocio e imboccò il viale alberato, con il mini parco giochi e il campo da calcio recintato. Fece una frenata nel parcheggio dell’ ospedale, e scese. Si tolse il casco e diede un’ occhiata all’ amico, che ormai aveva le mani appiccicose e stringeva un fazzoletto grondante.

Una piccola folla cominciò a circondarli, ed Enea spiegò che aveva ricevuto una pallonata in faccia e soffriva di emofilia, così un medico che passava di là lo portò a passi svelti dentro al pronto soccorso. Enea salutò l’ amico con una pacca sulla spalla. Priamo borbottò qualcosa per ringraziarlo del passaggio e mormorò: « Quando mi passa ti dò un colpo di telefono. »

Durante il ritorno a casa, Enea rimase imbottigliato nel traffico, così, sbuffando, si guardò intorno. Ad un tratto, la sua vista si focalizzò su una vetrina. Vi era esposta una macchina fotografica professionale. SCONTATA DEL 40 %, USATA, IN BUONE CONDIZIONI.

Qualcosa scattò, nella mente di Enea. Una specie di connessione, un flashforward, che al contrario di un flashback, ti trasportava nel futuro. Per qualche istante si immaginò a fotografare la carcassa di un coniglio con le gambe rotte e le zampe anteriori strappate via.

Ma che diamine …per Enea fu come svegliarsi da un brutto sogno. Scoccò un’ altra occhiata alla macchina fotografica. Un particolare effetto ottico ne fece brillare l’ obiettivo, come se stesse mandando un segnale diretto al giovane motociclista. Comprami. Usami per il tuo feticcio per la morte. Mi vuoi. Portami via con te.

Enea rabbrividì. Non riusciva più a capire chi era e che cosa stesse facendo. Poi si accorse che la macchina davanti a lui era avanzata, e che stava bloccando la fila. Ripartì, e non ci pensò più fino all’ indomani, quando, come in una specie di pilota automatico, prese dei risparmi dal barattolo dei soldi che teneva in camera sua, e si diresse al negozio.

 

Quel giorno, un germoglio di oscurità cominciò a prendere vita dentro la sua mente. Prima di allora non aveva mai dato segni di una benchè minima passione per la fotografia. Fu come una lampadina che si era accesa: posso farlo in questo modo.

Nessuno sapeva che gli piaceva assistere all’ agonia di morte degli animaletti. Nemmeno avrebbero potuto credere che il pensiero gli provocasse una morbosa eccitazione.

Da piccolo riempiva una bacinella d’ acqua e faceva la doccia alle formiche, sconvolgendo la loro normale routine come un Dio che giocava alle estinzioni planetarie.

Poi era passato per la fase delle lucertole, che impiccava dal lampadario di casa durante le prime volte da solo a casa. Era solito anche intrappolarle in un barattolo senza cibo nè acqua. Si immaginava l’ esserino che incontrava la faccia del suo carnefice tutta distorta da dietro il vetro.

A dodici anni, una volta, in occasione di una visita a casa della nonna, si addentrò nel giardino che in verità assomigliava molto di più a una giungla, e si sedette su una gallina, stringendole il collo e tirando.

Quando si trattava di ammazzare un ragno gli dava fuoco. Quando si trattava di eliminare le zanzare chiedeva sempre di usare lui lo spray.

Un giorno, a tredici anni, gli venne affidato il cuginetto per tre ore, durante il pomeriggio, e il bambino era una piccola peste, e lo aveva fatto correre per la casa per stargli dietro, poi gli aveva nascosto dei soldi e non voleva dirgli dove. A un certo punto, Enea si chiuse a chiave nella sua stanza congedandosi dalla sua mansione, e passata un’ ora lo trovò addormentato sul divano in salotto. Si fermò a contemplarlo. Ebbe un’ orrenda visione, nella quale lo strangolava nel sonno con una sciarpa che apparteneva a suo padre. Ne rimase marchiato, e da allora non provò più piacere a far fuori animaletti. Aveva nascosto quel feticcio sotto al tappeto dell’ inconscio e gli aveva detto addio. Poi un pomeriggio tardi, il demone si era ripresentato nella sua vita.

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2

Il giorno dell’ acquisto e del suo debutto come fotografo professionista aveva deciso di addentrarsi nella zona della Scorciatoia, che nel novantatre non portava verso nessun ipermercato, ma finiva fra la vegetazione intricata.

A momenti rischiò di rompere il suo prezioso congegno, perchè inciampò in una radice esposta e capitombolò per terra. Inaugurò la giornata allenandosi con semplici foto dell’ ambiente circostante, fotografando i misteriosi ruderi mangiucchiati dalle edere che si potevano trovare in uno dei sentieri. Scatto dopo scatto ne assunse la padronanza. Nessuno si accorse che si aggirava un ragazzino che recitava il ruolo della Morte, per gli sventurati animaletti che incrociarono il suo cammino. Enea aveva lasciato spazio libero al suo alterego, un essere morboso che si sentiva quasi come un corteggiatore quando inseguiva i coniglietti e li piantonava al terreno con una lama nel ventre. Stava maneggiando un risucchia anime con l’ obiettivo. Scattava sempre il flash quando era giunto il momento preciso del trapasso. Allora Enea si leccava le labbra e sorrideva come un bambino quando gli si regalava qualcosa. Quel che gli veniva trasmesso era una sensazione inebriante di predominio.

« Chi cazzo sei in confronto a me, Fosco Chiavelli? » sibilò a nessuno.

« Tocca ancora uno dei miei amici e il prossimo a essere sventrato sarà il tuo cane! » sghignazzò come se il bullo si trovasse davanti a lui.

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3

Enea si era così lasciato andare alla parte alienante di sè che gli era venuto un leggero mal di testa. I pensieri si accavallavano uno sopra l’ altro, una ciliegia attira l’ altra, aveva pensato. Aveva fatto diventare concreta la visione del coniglio con le gambe spezzate e le zampe anteriori strappate via con la falce. Si era chiesto se i conigli conoscessero l’ odio. Una volta fotografato il trapasso si tirò giù la zip dei pantaloni e pisciò sul suo corpo. Ora mi odi, coniglietto?

Che animali inutili, pensava. Non avranno mai il predominio su quelli più grossi. Chi non odia non sopravvive. Chi non prevale è destinato a finire k.o. per mano del grande demone umano.

Entrò in uno dei ruderi tutti disfatti e decadenti, e si ritrovò a rimirarsi allo specchio.

Si espresse in una lunga risata macabra e insana, con una voce profonda.

Con la mente offuscata dalle sensazioni intense tornò indietro con la memoria a un momento dimenticato, quando un giorno, da piccolo aveva osservato dalla finestra con la tapparella socchiusa suo padre che sferrava un calcione al cane di un vicino, che aveva spaventato Sabele.

Quanto poteva deragliare una mente malata? Una sagoma bizzarra si formò nella mente di Enea. La figura della Morte con dei capelli neri da donna e una collana di perle. La sua anima gemella. Ma no, non era esatto. La persona che più gli era affine, almeno secondo i pensieri di quella giornata, era Fosco Chiavelli. E allora si mise a pensare a lui, si immaginò mentre gli raccontava il suo segreto, e poi andavano a caccia del killer assieme. Avrebbe dovuto chiederlo, un giorno o l’ altro. Vieni, ti mostro una cosa. Perchè non sfoghi la tua rabbia come io sfogo il mio feticcio? Scateniamo il terrore nella foresta della Cittadella. Un genere di terrore che gli stupidi umani che ci circondano ogni giorno non conosceranno mai. Forse solo uno, il famigerato killer di Ferrofiume. Cosa ne dici se un giorno ci mettiamo a indagare e scopriamo la sua identità? Poi potremo ucciderlo assieme, e diremo che era autodifesa, e riceveremo una medaglia. Io quella dorata, tu d’ argento. Perchè rimarrai sempre secondo, rispetto a me. Spiacente, fratello.

Deluso, si risvegliava la parte quotidiana di sè, ma solo in maniera parziale.

Accidenti, però, c’è un problema mica da poco. Io sono uno degli emarginati e tu sei uno dei forti e temuti bulli. Che situazione bizzarra. Non te lo aspetteresti da uno come me, eh? Forse non ci possono essere due persone così affini, a dividersi il territorio. Uno di noi dovrà prevalere. Forse un giorno sarò costretto a piantarti quel tuo stupido pugnale nello stomaco.

Tu pensi di detestare il mondo, di essere visto come un ragazzo cattivo e beffardo. Ma sei patetico. Ascoltami, gran figlio di puttana. Osserva come invado e dissacro i tuoi ultimi istanti di vita mostrandoti una malignità che non conoscevi ancora.

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 4

Il giorno seguì la notte come se niente fosse successo. Appena Enea ripose la macchina fotografica nello zainetto, si dimenticò di ogni cosa. Quella sera, prima di cena, approfittando del fatto che Sabele si era ritirato in bagno, all’ improvviso ebbe un’ intuizione strana. Così si recò nella stanza di suo fratello maggiore. Con l’ incredibile sospetto che aveva in corpo quella stanza apparve sinistra. Si aspettava quasi che, se avesse aperto l’ armadio e rovistato nei cassetti, avrebbe trovato abiti sporchi di sangue, e una collezione di lame nascoste sotto il letto. E se il fratello l’ avesse beccato a far pasticci con le sue cose, avrebbe potuto reagire male. Ma Sabele gli voleva bene, non era forse così? La visione della testa di una vittima, nascosta fra le sue cose, gli fece annodare lo stomaco. Ne visualizzava gli occhi spenti bloccati in un’ espressione di terrore, con rivoli di sangue che colavano dalla bocca.

Se la madre fosse passata in corridoio e avesse spento la luce per sbaglio come succedeva spesso Enea si sarebbe lasciato prendere dal panico, ma non poteva. Doveva cercare di controllarsi, eppure tremava tutto. Sembrava uno scheletro giocattolo mosso da un bambino dispettoso.

Se non avesse trovato niente, si sarebbe messo il cuore in pace, e si sarebbe vergognato per il resto dei suoi giorni di aver sospettato del fratello.

Questa indagine istintiva e impulsiva la doveva a tutte le vittime. Cercava di farsi venire in mente qualche episodio inquietante del fratello, qualche discussione accesa. Gli chiedeva di partecipare a giochi strani?

Gli chiedeva sempre di fare quello che muore, o che viene catturato, ma significava qualcosa?

Avrebbe potuto chiedergli che cosa pensasse della vicenda del killer. Secondo lui veniva da fuori a mietere vittime, oppure era una persona del luogo? Avrebbero potuto incontrarlo e pensare a quanto era gentile quell’ uomo? Era uno che cercava di attirare le persone chiedendo informazioni su come raggiungere un determinato luogo e poi le assaliva? Non hai molta immaginazione, Enea. Quello era un predatore. Adocchiava le prede, le sceglieva con attenzione, e non si faceva notare fino al preciso istante dell’ attacco.

Quali indizi poteva cercare? E se non ci fosse niente di rilevante in camera sua? Non era certo il posto dove nascondere le armi e i vestiti con gli schizzi di sangue.

Poi realizzò che lui usciva spesso da solo per andare a disegnare. Animali e persone, ricordi? Te lo aveva detto quella volta.

Fece saettare lo sguardo e compì un giro su se stesso. Dove potrebbe essere quel quaderno?

Cercò di ricordare le volte in cui l’ aveva visto prenderlo.

Poi capì. Era mischiato con il suo materiale scolastico. Guardò l’ etichetta su tutti i quaderni. Arrivò a maneggiarne uno senza etichetta. I fogli erano giallo seppia. In prima pagina c’ era scritto DISEGNI DI UN PROFESSIONISTA: SE STAI SBIRCIANDO QUI DENTRO NON TORNERAI PIU’ INDIETRO. Ma che razza di frase di benvenuto era? Il quaderno ondeggiava per i tremolii delle mani di Enea.

Andò avanti, e cominciò a sfogliare. Sono disegni normalissimi. Ritratti di gente comune che passeggia per i parchi. Uccellini che vengono a banchettare con le briciole di pane. Ma poi Enea si rese conto che le pagine erano più spesse di come dovevano essere. Erano pinzate sia sopra che sotto. Erano attaccati due alla volta. Cercò di sbirciare dentro a una delle pagine nascoste, e vide gli orrori. Non riusciva a scrutare l’ intero disegno, ma vedeva comunque una serie di cadaveri. NON TORNERAI PIU’ INDIETRO! Una smorfia di tristezza e paura piegò le labbra di Enea. Mosse le pagine con il timore che cresceva. L’ ultimo ritratto era allo scoperto, e colorato.

Sabele aveva inserito anche sè stesso, ed era irriconoscibile. Gli occhi erano dei fari rossi, la bocca era un ghigno come quello di un teschio, ma con i denti di un tirannosauro. I capelli scuri contornavano un teschio con la pelle ancora attaccata addosso. Sta guardando me! Mi vuole afferrare per il collo e punirmi per aver aperto il suo quaderno! pensò Enea, che si sentì male. Gli occhi si socchiusero, e il ragazzino cominciò ad ansimare, sentendosi senza fiato. Si era piegato come un vecchietto col mal di schiena che si sorreggeva sul bastone.

Devo mettere tutto al suo posto! Non deve sapere nulla di quel che ho visto! SBRIGATI!

Enea si sorprese di trovare la forza d’ animo di risistemare il quaderno nella sua posizione, e si ritirò in un angolino della cantina, a sfogare un attacco di panico.

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5

A cena, Enea si era presentato con gli occhi arrossati e la mano tremolante, che cercava di acchiappare gli gnocchi con la forchetta. Si era sorpreso di riuscire a mangiare, ma temeva che i genitori …e il fratello …il killer in casa mia, quel genere di fratello, percepissero la nausea che provava. Finito di mangiare, si posizionarono tutti e quattro in salotto a guardare la televisione. Ogni tanto, Enea si lasciava scappare un’ occhiata al fratello. Quella sera era così cupo …non aveva parlato di niente. Era lì, nell’ angolo più lontano da lui, a fare da soprammobile. Ad un certo punto i loro sguardi si incrociarono, e il cuore partì per un giro sull’ ottovolante. Enea arrivò a massaggiarselo, temendo che gli aprisse il petto per andarsene per conto suo. E magari finire strizzato dalle mani del fratello.

Sabele sorrise. Non mostrava denti aguzzi. Era un sorriso da Ehi, come stai? Si sta bene in famiglia, non è così? ma quel che Enea vedette fu il teschio con la pelle nera con due semafori rossi per occhi che veniva a ghermirlo.

Enea balzò in piedi e caracollò in bagno mormorando « Mi scappa! »

Si chiuse in bagno, e si svestì, tirandosi via i vestiti con una furia in corpo. Ha capito tutto! Sa che io so cosa fa quando esce a disegnare! Mi prenderà quando meno me l’ aspetto …sarò la sua prossima vittima, e una volta tornato a casa, piangerà sulla mia tomba, chiedendosi come mai non è riuscito a difendermi e proteggermi. Sta recitando una parte.

Enea era rimasto in mutande, e saltellava sul posto con le mani fra i capelli, cercando disperatamente di fermare il flusso di emozioni che lo sconcertavano.

Chiuse gli occhi e si immaginò Sabele che lo confrontava e gli diceva NON TI AZZARDARE A PRENDERE LE MIE COSE! SE INFORMI QUALCUNO DI CIO’ CHE HAI VISTO VERRO’ NEL TUO LETTO A SPEZZARTI LE OSSA E LAVERO’ CASA NOSTRA CON IL TUO SANGUE!

Sono il fratello di un serial killer diventava una frase eccitante da ripetersi come un mantra.

CAPITOLO 6 – Attratto dalla tenacia

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1

1993

Beatrice Bronsone si era svegliata alle prime ore del mattino, scossa da incubi, che rappresentavano apparizioni e presenze. Tirò su la serranda e vide che il panorama dei campi era stato coperto da una spessa coltre di nebbia. Le sembrava quasi che la casa levitasse nel nulla. Dopo aver fatto una colazione a modo, che per lei significava salutare, nutriente e leggera, come al solito saltò sulla bicicletta col cestino davanti e si spostò dalla sua zona di residenza di Ferrofiume Popolo, prestando la massima attenzione al transito delle auto.

Giunta in città, si apprestava a compiere le sue abituali commissioni per i clienti fissi dei suoi genitori, che producevano vino e generi alimentari nella loro cascina – fattoria e nell’ orto. Portate a termine le consegne, decise di vagare senza una meta particolare per la città, sentendosi una sensazione di timore e pesantezza addosso. Il giorno precedente aveva avvistato una presenza in lontananza che le aveva fatto venire i brividi, anche se quel mattino l’ episodio appariva già come qualcosa di confuso e remoto. In ogni caso, l’ aveva spinta a fare dietrofront e rintanarsi in casa.

Qualcosa attirò la sua attenzione, mentre si era fermata per qualche istante a osservare il fiume dal Viale che portava al Molo. Un foglio da disegno giallo seppia con le iniziali del suo nome ben evidenziate. Che curiosa coincidenza, pensò lei. Chissà chi l’ aveva lasciato lì …o magari l’ avevano gettato via. Lo raccolse e se lo mise in tasca.

Si avvicinò al sentiero di ghiaia che portava al Molo, e notò una grossa macchia di sangue asciutto.

Mi fa pensare alla presenza misteriosa di ieri riflettè. Ma no, dai, sarà che un piccione è stato assalito da un gatto …però mancano le piume sparpagliate tutt’ intorno.

Non voleva trovarsi un corvaccio nero a scrutarla con quei loro occhietti intelligenti. Li temeva, anche se poteva sembrare stupido, per via del modo in cui ne parlavano, come uccelli del malaugurio.

Poi si accorse delle impronte di scarpa, che lasciavano macchie rosse lungo il sentiero.

I passi del killer di Ferrofiume pensò. Scosse quel lugubre pensiero con la testa.

Concluse che l’ atmosfera non era delle migliori, anzi, non le piaceva affatto. E se si trovasse ancora nei paraggi, pronto ad assalirla? E se si trattasse di un barbone ubriaco? Lei era una ragazza e non poteva permettersi di prendersi dei rischi.

Cominciò a pentirsi di aver inforcato la bici per andare a fare le consegne in città, persino di essersi svegliata così presto quella mattina. Sebbene provasse curiosità verso quelle orme, non poteva seguirle e vedere dove portavano. Non voleva essere una di quelle, cioè quelli che fanno i ritrovamenti macabri. Si mise a pensare al disegno che si era messa in tasca. Forse chi l’ aveva abbandonato a terra era la vittima. Era meglio tornare a casa, e continuare con i soliti lavoretti con gli animali e le piante.

Certo. E invece scese dalla bici, mise il cavalletto e cominciò a seguire le impronte.

Scesa a livello dell’ erba, sentì un cra cra. C’ era uno di quei corvacci nei paraggi. Ma non osò guardarsi attorno. Cercò di ignorare quel verso.

Vide un braccialetto con un bottone argentato che brillava, gettato a terra. Accidenti.

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2

L’ arrivo della primavera rinvigoriva sempre le energie e la voglia di muoversi di Beatrice, che si rallegrava di poter praticare jogging al mattino, una volta a settimana. Era una ragazza tenace e determinata, si era iscritta a un corso di arti marziali, karate, e trascorreva i tempi di qualità andando a caccia di fagiani con il padre. Aveva quasi sedici anni, ma stava già imparando a guidare, sebbene si mettesse al volante di un Ape, o di un furgoncino, o di un trattore, a seconda dell’ occorrenza. Il padre riteneva che sua figlia fosse più matura di un maschio alla sua età, e abbastanza dotata per accelerare i tempi.

Sua madre le aveva insegnato che le donne non devono necessariamente sottostare al volere degli uomini, e le aveva sempre suggerito di pensare con la propria testa, e di tirarsi su sempre, senza arrendersi davanti alle difficoltà quotidiane.

Sebbene temesse i corvi e affini, non si faceva problemi a prendere di mira fagiani con il fucile. Era una tradizione di famiglia, un rito di passaggio, e aveva cominciato ad andare nei boschi con il padre sin dai tredici anni.

Durante l’ anno si occupava di rimuovere le erbacce infestanti, diserbare, seminare, zappare e arare, collaborando a pieno titolo con il padre. Come mansioni alternative, se la madre glielo chiedeva, preparava conserve, varie ricette e pelava le patate. Le avevano insegnato che le multinazionali “ sporcavano “ e modificavano il cibo. Beatrice evitava di incappare in quelle trappole scegliendo marche più modeste e mangiando ciò che producevano nel loro piccolo, sempre cercando qualità e stando attenta alla salute. Quando si trattava di andare in città a portare carichi di vino, conserve e altri prodotti, le veniva data una paghetta non da poco, con tanto di bonus mancia da parte dei clienti fidati, dai piccoli negozianti, che lei considerava il suo primo mini stipendio.

Nell’ autunno precedente aveva intrapreso un corso di canoa con un team di giovani, che si radunavano al Molo di Ferrofiume per percorrere un tragitto prestabilito lungo il fiume Po. Ne era rimasta entusiasta e si aspettava di ricominciare una volta iniziato il mese di aprile.

Di recente aveva aggiunto una nuova mansione durante la quale collaborava con il padre: il tetto necessitava di essere aggiustato, dopo essere stato danneggiato da un violento temporale e quindi, anche se la madre si era preoccupata un pochino, era salita sul tetto a sostituire le tegole. Trascorreva i suoi momenti liberi, di svago, assieme a un gruppo di maschi, nei giorni in cui si fermava a cenare dalla zia, che, in quel periodo così pericoloso per la città, la portava a casa subito dopo con la macchina.

Suo padre aveva conservato un album di vecchie foto, e durante le sere invernali spesso si sedeva sulla poltrona a commentarle assieme a sua figlia; così Beatrice aveva scoperto che un tempo passava una specie di tram per le strade della città di Ferrofiume, il tramvai.

 

 

3 

In un altro giorno, Beatrice aveva preso la sua bici durante un giorno libero da impegni e si fece i consueti chilometri per raggiungere il cuore della città, diretta verso la zona industriale. Avrebbe fatto un giro di perlustrazione da quelle parti per un’ ora, poi sarebbe tornata a casa, o magari avrebbe prima fatto visita alla zia per accordarsi sul loro prossimo appuntamento serale. Le avrebbe chiesto di usare il telefono per avvertire la madre che sarebbe tornata un po’ più tardi. La donna cominciava a temere, un po’ come tutte le madri della zona, che il killer potesse colpire proprio sua figlia. Una volta le aveva elencato una serie di divieti perentori, alzando l’ indice verso l’ alto, ma Beatrice le aveva ricordato che era una ragazza intelligente e giudiziosa, e non era necessario trattarla come una bambinetta ingenua. La madre glielo aveva riconosciuto.

L’ attrazione principale della zona industriale erano le rovine di Ground Zero, la fabbrica che aveva scatenato una nube tossica durante la maratona dell’ ottantasei. Per i giovani del luogo avvicinarvisi equivaleva a entrare in uno scenario da videogioco, e si avvertivano gli echi di Chernobyl, che era accaduto solo qualche settimana prima del Ground Zero. Bisognava però che tutti quelli che si mettevano in esplorazione facessero attenzione alle polveri letali che ancora si potevano trovare negli angoli nascosti. In quella circostanza, Beatrice si sentiva tanto Lara Croft alle prese con una scoperta archeologica.

Molte fabbriche nei dintorni erano state danneggiate in modo grave; Beatrice poteva osservare mattoni, ruderi deformi e macchinari arrugginiti. Esaminava il terreno come se avesse delle lenti d’ ingrandimento al posto degli occhi: massima attenzione alle polveri.

Beatrice si mise a ipotizzare che forse il killer era stato trasformato in un mostro mietitore per le conseguenze di una fantomatica intossicazione. Forse proveniva proprio da quel luogo e nei paraggi avrebbe trovato la sua tana.

E se qualcuno di quei ragazzini scomparsi si fosse avventurato proprio qui? E io finirei per trovarne i resti. Magari se si entra a contatto con le polveri in questo luogo si muore in pochi minuti. Nessuno potrebbe recuperare il corpo.

Si rese conto che c’ era un silenzio cristallino, e le sembrava di vagare attraverso una fotografia. I suoi pensieri si concentrarono sugli operai che avevano perso la vita o se l’ erano rovinata per colpa dell’ incidente, e alle sofferenze delle loro famiglie.

L’ esplosione deve essere stata tremenda. Quei poveretti devono essere stati mutilati. Seppelliti da metri di macerie. Devono aver trovato almeno una testa intatta.

I suoi pensieri la fecero rabbrividire.

Ad un tratto si trovò davanti una figura misteriosa: un ragazzo grande che portava un grosso cappello sulla testa, e un cappotto rosso. Il viso era parzialmente coperto da un fazzoletto rosso. I capelli assomigliavano a quelli di Michael Jackson.

Trovò che somigliasse alla presenza dell’ altra volta.

Il flusso dei suoi pensieri si arrestò all’ improvviso. La figura tratteneva fra le mani un corvaccio nero. Il ragazzo era seduto e la guardava negli occhi.

Beatrice non potè fare a meno di gridare, e fece dei passi indietro, sollevando le braccia per proteggersi. Inciampò, e quasi finì a gambe all’ aria. Se avesse sbattuto la testa all’ indietro sarebbe potuta svenire.

Si allontanò, tenendo d’ occhio la figura spaventosa, che si sollevò sui piedi, e liberò il corvo. Poi tirò fuori una fionda, e colpì con un sasso l’ uccello nero, mandandolo al tappeto.

Beatrice cominciò a correre, e non si voltò più all’ indietro. Non avrebbe potuto mancare di vederlo, visto che era colorato in quel modo mentre tutto il resto era grigio e opaco.

La figura lasciò andare una risata terrificante, e cominciò a correrle dietro.

Beatrice, disperata, cercò di infilarsi attraverso una porta decadente, ma inciampò e si costrinse a voltarsi verso la figura, che si abbassò con un braccio disteso, tentando di afferrarla per una caviglia. Era intenzionato a ucciderla. Gli occhi erano quelli di un felino che non conosceva la pietà. Beatrice riuscì a spostare la gamba e a sfuggire alla sua presa.

Si mise a correre, e proprio mentre pensava di aver trovato un angolo sicuro, lui si sollevò e picchiò con tutta la sua forza contro il macchinario, facendolo traballare. Lei gridò di nuovo e vide il suo sorriso maligno mentre la indicava con un dito.

Beatrice fece appello a tutte le sue forze, ma non bastò. La figura la afferrò per un braccio. Le unghie la punsero come fossero artigli. Si sentì trascinare, e lottò per restare in equilibrio con i piedi.

« Lasciami stare! » urlò e torse il braccio. Sentì le sue dita strusciarsi sulla manica. Riprese a correre, senza badare alla testa che le girava per lo shock. Procedette per una quindicina di metri e dovette fermarsi perchè le mancava il fiato. Si infilò nell’ ingresso di un altro rudere. La figura arrivò dietro di lei e si mise a sbirciare dentro.

I loro sguardi si incrociarono, e Beatrice si abbassò di scatto, proteggendosi la testa con le mani, gemendo. Si appoggiò sulle ginocchia, e cominciò a tastare il pavimento per cercare un oggetto qualsiasi per potersi difendere. Trovò un pezzo di vetro di bottiglia, e lo afferrò, mostrandolo alla figura.

«Stammi lontano!» disse. La figura avanzò e allora lei lanciò il vetro, e poi afferrò altri piccoli cocci di mattonella come disperato tentativo di farlo desistere. La figura se li lasciava rimbalzare addosso e non reagiva affatto.

Beatrice trovò un pezzo di un qualche macchinario e lo scagliò con tutta la forza che aveva in corpo contro la figura. Riuscì a provocare un graffio sul viso coperto del ragazzo killer, facendolo ruggire di dolore.

Allora lei si diede la carica e continuò a lanciare pezzi di piastrella, riempiendosi le mani. La figura indietreggiò e tirò fuori una sacca da dentro al cappotto. Sotto gli occhi sorpresi di Beatrice, tirò fuori un quaderno e cominciò a scriverci qualcosa, o a disegnare lei, per qualche oscuro motivo che la ragazzina non riusciva a capire.

Quel gesto imprevisto fermò la sua foga e le fece venire la pelle d’ oca. Mi sta ritraendo così si ricorderà di me la prossima volta. Ce l’ ha con me e se lo legherà al dito.

Ad un tratto la figura ritirò il quaderno nella sacca e si avvicinò a lei, che si era immobilizzata per il terrore. La guardò dall’ alto al basso, e poi tracciò una X immaginaria con le dita fredde sulla sua fronte. Vuol dire che sei diventata un bersaglio. Beatrice tremava tutta, e il labbro inferiore le pendeva e le allungava il mento.

E poi la figura si allontanò, lasciandola libera di prendere la bici e scappare a tutta velocità verso la zona della Tartufara, e di Piazza Castello. Non poteva permettersi di piagnucolare. Non era da lei. Si fermò a una fontana davanti a una gelateria e si lavò le mani, ma soprattutto la fronte, sfiorata da quella mano viscida. Per tutto il tragitto verso casa di sua zia non si voltò, non si soffermò a osservare la gente che passeggiava, e non cambiò mai andatura.

Giunta in quella confortevole casa, si chiese se per caso non si era lasciata impressionare. Non poteva essere successo per davvero, non a lei, poi. Ma sapeva che era stata un’ esperienza reale.

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4

Quando trovò il braccialetto in zona Molo, si guardò per bene tutt’ intorno, e constatò che non si vedeva nessuno. Si avvicinò all’ acqua e scese i gradini. Tirò fuori il disegno con le sue iniziali e lo tenne sollevato con due dita, con il braccio disteso di fronte a lei.

Guardando in basso, le parve per un istante di vedere una pallida mano galleggiante, ma in realtà era una busta gettata da uno stupido inquinatore.

Aveva intenzione di sbarazzarsi di quel disegno, ma ad un tratto si rese conto che sarebbe stato meglio conservarlo: era una prova di quanto era avvenuto. Il killer la cercava e l’ aveva presa di mira. Pensava a lei come un bambino innamorato fantasticava sulla sua compagna di banco. Le venne la nausea al solo pensarci. Aveva voglia di strappare in mille piccoli frammenti quel foglio. Il rumore di passi che sembravano provenire da un punto indefinito in mezzo ai cespugli la fece trasalire. Si rimise il disegno in tasca e saltò al galoppo della bici, scendendo solo per attraversare la salita, senza rallentare. Non sapeva se era vero o meno, ma si sentiva uno sguardo morboso addosso. Non poteva ripetersi quella scena. Non tutto quel nascondersi e lanciare cose. Ad ogni modo, si ritrovò a percorrere di nuovo il centro città senza rallentare, e senza voltare lo sguardo. Si chiedeva che cosa potesse renderla attraente per un killer. Si chiedeva come fosse possibile che non era stato ancora catturato o colto sul fatto appena prima di assalire una persona. La macchia di sangue sulla ghiaia rimase impressa nella sua mente, ma il riprendere le sue abitudinarie mansioni rese quei ricordi agitati un turbine di immagini sfocate e disordinate.