Il “237” di Shining in Sh! The Octopus del 1937 e la “stanza 27”

21 01 2020

Attenzione: alla fine di questa fine versione italiana dell’articolo di Loren Coleman su un ulteriore esempio del numero 237 della stanza di Shining in film precedenti Shining, ho scritto una sincro allerta.

In “Cripto-kubrickologia (#cryptokubrology): il numero 237 dopo di Shining ci siamo chiesti se ce ne fossero altri di film con dentro il 237 prima dell’uscita di Shining nel 1980, oltre ai film già menzionati qui.

Uno di questi “237” si vede apparire in un film commedia, una oscura “monster comedy” americana del 1937 intitolata Sh! The Octopus. Compare come numero di stanza dell’ospedale in cui si trova l’attrice Marcia Ralston.

Nonostante gli attori Hugh Herbert e Allen Jenkins fossero già comparsi in uno stesso film, questo è il primo che li vede uniti in un vero e proprio team. La bizzarria del film ne ha fatto un “cult movie”.

Herbert and Jenkins interpretano due detective imbronciati, i quali, alla ricerca di un maestro del crimine dal nome “The Octopus”, finiscono per ritrovarsi dentro un faro marittimo infestato pieno di personaggi sospetti, tra cui il personaggio principale, il quale sembra essere un autentico polpo.

Diverse recensioni di questo film lo presentano come “terribile” e tra l’altro veramente difficile da reperire. Tuttavia, in “Trailers from Hell,” Michael Schlesinger tratta di Sh! The Octopus dicendo che raggiunse quasi la perfezione nel suo genere. (Vedere qui il trailer originale.) Viene anche detto che ci fu un gruppo rock il cui nome fu ispirato al film.
 

Sul sito “1000 Misspent HoursSh! The Octopus viene visto come “uno dei pochi conosciuti esemplari di un genere apparentemente impossibile, la parodia di una parodia. A ben vedere, infatti, il film è stato interpretato come una parodia di The Gorilla, il quale fu egli stesso una parodia di film sulle case misteriose quali The Bat e The Cat and the Canary. Infine, Sh! The Octopus è abbastanza semplicemente uno dei più strani e illogici film della sua – e di ogni altra – era.”

 
Nello stesso sito inoltre viene osservato che “Captain Hook (George Rosener, già in Doctor X e House of Secrets), in custode senza una mano, è un uomo squilibrato pericoloso, e ha l’abitudine di piombare in una rabbia omicida ogni volta che sente il ticchettio di un orologio.”
 
Ci viene poi detto da Scott Ashlin, il recensore del sito: “Una cosa sola mi ha fermato dal definire Sh! The Octopus il più stupido film horror/mistery degli anni trenta: la sconcertante possibilità che i suoi autori si rendevano perfettamente conto di che stavano combinando e l’avessero dunque fatto apposta.”

Per quanto riguarda la stanza 237, può avere una funzione speciale in questo film. Dopo che il faro marittimo esplode e gli spettatori pensano che il film sia finito, in realtà non lo è.

Invece della fine c’è una dissolvenza su una scena in un ospedale dove uno dei personaggi principali “è su un letto, si agita e viene assistito. Si scopre che è svenuto a causa di tutte quelle pillole che stava prendendo in auto all’inizio del film.” Marcia Ralston e un’altra attrice “sono infermiere dell’ospedale, e uno lo sottolinea in una maniera straordinariamente simile a come si vedrà nella scena finale di “Il mago di Oz” due anni dopo. E quindi tutte quelle cose appena successe? Mai accadute,” scrive il 15 aprile 2008 Stacia, l’autore della recensione (qui).

Tanti anni fa Marcia Ralston fu sposata con Phil Harris.

Il film uscì l’11 dicembre 1937. Schlesinger ne parla come uno dei film usciti per il Natale 1937. Una specie di strambo “cinepanettone americano” ante litteram?!

L’ “Octopus” (altrimenti detto “La piovra”) in anni recenti ha preso un sinistro significato cripto-politico, con il libro The Octopus: Secret Government and the Death of Danny Casolaro di Kenn Thomas e Jim Keith.

Pubblicato originariamente nel 1996 per essere poi elogiato dalla critica, questo libro divenne un classico molto ricercato nella letteratura complottista underground – e oggi detiene prezzi molto elevati nel mercato dei libri da collezione. La nuova edizione tascabile [Feral House, 2004] porta le ricerche complottistiche di Casolaro nel mondo post 11 settembre, per il quale fu considerato un presagio.”

Inoltre, tornando al film, avere un personaggio come “Captain Hook” in Sh! The Octopus è un enigma.  Nel 2010 scrissi di una misteriosa serie di morti di piccoli bimbi, tutti uccisi nello stesso modo tramite grucce. Le morti sono spesso dovute a ganci appendiabiti, a volte negli armadi a volte nei bagni. Questo studio apparve il 24 gennaio 2010 in “The Peter Pan/Hook Deaths.” seguito il 27 febbraio 2014 da “New Hook Death.” Nel 2017, ho aggiornato sul fenomeno con un nuovo post.

BTW, Sh! The Octopus ha una scena con un uomo impiccato gocciolante sangue, cosa che, attraverso il “linguaggio del crepuscolo”, ci può portare a ulteriori sincro-indagini riguardanti il film in questione.

Attenzione: sincro-allerta!

Devo ammettere che per tutta la giornata di ieri non avevo molta voglia di fare la versione italiana di quell’ultimo articolo di Loren Coleman sul “237” e la cosa che oggi mi ha spinto decisamente invece a farla è stata la visione ieri di un episodio su un canale YT di ricercatori italiani del paranormale, gli “Italian paranormal research”.

Ne ho visti un po’ di episodi degli “I.P.R.” e devo dire che sono bravini e davvero alle volte sembrano riuscire a presentare nelle loro riprese qualcosa di davvero poco spiegabile con gli schemi scientifici classici con cui vediamo il mondo.

Gli ultimi episodi da loro inseriti hanno per me un particolare motivo di interesse dovuto al fatto che, per questa loro indagine, si sono recati in un enorme hotel senza nome abbandonato in un luogo sperduto (ci ricorda qualcosa?), nel quale sembra abbiano svolto dei rituali. A questa indagine i due del’ I.P.R. hanno fatto partecipare – con un piccolo inganno – una loro amica presentatrice tv, la quale non è avezza alle ricerche sul paranormale e, infatti, una volta nel luogo, mostra di avere una gran paura tale da paralizzarsi non riuscire nemmeno, a un certo punto, ad avanzare lungo un corridoio in fondo a cui si sono uditi dei rumoretti inspiegabili.

La cosa che veramente mi stupisce, anche ora che ne rifletto scrivendo, è che questo episodio, “La stanza 27, ‘brutte sensazioni’ ” mostra delle analogie con questo ultimo articolo di Loren Coleman: la stanza dell’hotel “maledetta”, con un numero che ha il 66% delle cifre del “237”. Inoltre a un certo punto, nella stanza in questione viene mostrata una gruccia, un appendiabiti (oggetto dai “comportamenti strani” già visto in un’indagine precedente lì dentro) e la stessa ragazza che s’è presa paura ha anche tirato in ballo la storia di un “marinaio” avente qualcosa a che fare con vicende oscure presumibilmente avvenute nell’hotel e in particolare dentro quella stanza.

Stranamente tutti elementi che in qualche modo compaiono anche nel film Sh! The Octopus e nell’articolo di Coleman a lui dedicato.

Gli appendiabiti nella “stanza 27” dell’episodio degli I.P.R.

Articolo che, oggi ho scoperto dopo aver visto ieri il filmato degli I.P.R., Coleman ha aggiornato proprio aggiungendo quella parte di Sh! The Octopus in cui c’è l’uomo appeso a gancio e quei riferimenti di suoi precedenti articoli su omicidi di bambini uccisi da appendiabiti.





E’ morto Michael A. Persinger, l’inventore del “casco di Dio”

16 08 2018

http://copycateffect.blogspot.com/2018/08/Persinger-obit.html

Michael A. Persinger in un’immagine giovanile.

Nei primi anni settanta, quando io e Jerry Clark scrivevamo molto insieme, spesso per “destino”, sui casi dell’Illinois, mi impegnavo in un’intensa ma breve corrispondenza con Michael A. Persinger. Era un professore interessato a rapporti fuori dall’ordinario di tutti i tipi. L’ho trovato un individuo brillante il quale aveva un certo successo tra i seguaci di Charles Fort.

In seguito, sono rimasto colpito dal fatto che il suo libro, Space-Time Transients and Unusual Events (Chicago: Nelson-Hall, 1977) conteneva delle mappe, le quali correlavano alti livelli di stranezze alla Charles Fort riguardanti il sud dell’Illinois basate sugli articoli di Clark-Coleman. Ho parlato del mio scetticismo per questi risultati nel mio libro Mysterious America (1983).
Il 15 agosto 2018, la Laurentian University ha annunciato su Twitter che il dott. Michael Persinger è deceduto martedì 14 agosto 2018 all’età di 73 anni a Sudbury nell’Ontario, in Canada.
Professore di psicologia alla Laurentian dal 1971, Persinger è forse meglio conosciuto per lo sviluppo del “God Helmet”, il “casco di Dio”, un dispositivo utilizzato per studiare la creatività, le esperienze religiose e gli effetti della stimolazione dei lobi temporali.
Il “casco di Dio” è il soprannome popolare dato ad uno strumento di laboratorio originariamente chiamato “Koren Helmet”, dopo che Stanley Koren del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Laurenziana lo costruì secondo le specifiche fornite dal Dr. Michael A. Persinger, il suo direttore.
Michael A. Persinger (nato il 26 giugno 1945 a Jacksonville, Florida) era molto noto per ipotesi che consideravano i lobi temporali del cervello come il correlato centrale per le esperienze mistiche, in cui sottili cambiamenti nell’attività geomagnetica erano mediatori di fenomeni parapsicologici, cioè i movimenti tettonici all’interno della crosta terrestre potevano essere la fonte di fenomeni luminosi attribuiti a oggetti aerei non identificati e che erano importanti in tal senso specifiche quantificazioni per l’energia (10-20 Joule), la densità del flusso di fotoni (picoWatt per metro quadrato) e piccoli spostamenti nelle intensità del campo magnetico (gamma da picoTesla a nanoTesla) per integrare l’attività cellulare e il pensiero umano a fenomeni universali.
I suoi principali temi di ricerca hanno riguardato gli effetti del campo elettromagnetico sugli organismi biologici, sull’epilessia, le funzioni del lobo temporale, le proprietà dei biofotoni, le interazioni geofisico-umane, la cosmologia fisica e l’esame quantificabile di ciò che Persinger definisce “fenomeni a bassa probabilità”, come i viaggi nel tempo, gli universi paralleli e l’universo considerato come una simulazione.
Nel novembre 2006, Persinger ha definito “draconiana” e “fascista” l’amministrazione scolastica quando si è rifiutata di permettere a una troupe televisiva di filmare una dimostrazione delle sue ricerche.

Nel febbraio 2007 gli fu chiesto di lasciare tre stanze di prova presso la struttura per la cura degli animali a causa di una carenza di spazio di ricerca nel campus.

Al momento, gli studenti di Persinger hanno intentato una causa contro l’università per averli esclusi dallo spazio di ricerca e ha presentato un reclamo con l’associazione di facoltà per porre rimedio alla situazione.

Nonostante le sue faide con l’amministrazione dell’università del San Lorenzo nel corso degli anni, Persinger ebbe anche dei riconoscimenti per il suo stile di insegnamento.
Nel 2007 vinse un concorso di TVOntario e fu nominato come miglior docente della provincia.

Persinger fece inoltre notizia nel 2016 quando fu rimosso da un corso universitario a causa di un modulo da lui fatto firmare agli studenti, avvertendoli che si sarebbero imbattuti in parole che potevano trovare offensive.

Fu dunque avviata una petizione online per reintrodurre Persinger, la quale raccolse centinaia di firme e commenti positivi da parte di studenti che ritenevano fosse stato trattato ingiustamente.

Michael Persinger, teoria dei movimenti tettonici, geopsiche e il “casco di Dio”. Materialista riduzionista ma con qualche idea interessante. è […] membro della fondazione per la sindrome della falsa memoria. Pubblicazioni su onde ELF e VLF e gli effetti del campo elettromagnetico terrestre, sul paranormale, sugli eventi inusuali inerenti lo spazio-tempo, sulla matrix climatica e i suoi effetti sul comportamento umano, sulle manie collettive, sulle basi neuropsicologiche dello credere in Dio e sul rapporto tra clima, edifici e comportamento umano.

L’80% dei soggetti degli esperimenti del Dr. Michael Persinger riportano che un campo magnetico artificiale focalizzato sui [lobi temporali sinistri] del cervello può fornire la sensazione di “non essere soli”, che alcuni soggetti dell’esperimento definiscono come sensazione religiosa.





Vi sono veramente due mondi?

2 04 2015

Presentiamo un’esposizione del chimico Roberto Cavanna di Roma, tratta dall’antologia “Aspetti scientifici della parapsicologia”, edita nel 1973. Pensiamo sia davvero condivisibile.

Vi sono veramente due mondi?

Di Roberto Cavanna

L’intervento di Roberto Cavanna mira a superare nell’ambito di un possibile discorso neurofisiologico la distinzione tra esperienze “interiori” ed esperienze “oggettive”, che in gran parte delle impostazioni scientifiche recenti ancora viene mantenuta nei termini inconciliabili del dualismo filosofico di origine greca.

Un cambiamento radicale di impostazione metodologica potrebbe consentire, secondo Cavanna, una visione “trasversale” dei due mondi, nonchè dell’immaginario luogo dove essi si incontrano. Ne conseguirebbe la possibilità di considerarli come un tutto unico, nel quale sarebbe superfluo, oltre che vano, ogni tentativo di procedere “longitudinalmente” dall’uno all’altro mondo attraversando un diaframma ipotizzato solo in determinati contesti storico-culturali.

Iris

“C’è un’apertura tra i due mondi, il mondo degli stregoni
e quello degli uomini viventi. C’è un luogo dove i due mondi
s’incontrano: l’apertura è lì. Si apre e si chiude come
una porta al vento.”

In un seminario di specialisti uno psicoanalista portò la discussione sul significato del sogno di un suo giovane paziente: “In una radura improvvisamente mi trovavo davanti un leone. Cominciai a correre a perdifiato, inseguito dalla belva, finché riuscii a salvarmi gettandomi in un lago.”

Furono date varie interpretazioni a diversi livelli, riguardanti le immagini parentali introiettate dal giovane e le loro implicazioni nel contesto della sua situazione esistenziale, sia secondo la sua elaborazione soggettiva che alla luce delle risultanze oggettive (od oggettivabili, una volta analizzato il meccanismo trasferenziale) dei dati in possesso dell’analista. Tali interpretazioni apparivano tutte più o meno valide, e certamente sarebbero state di grande aiuto per il proseguimento dell’analisi di quel paziente. Senonché il nostro analista, pur accettando i punti di vista dei suoi colleghi, manteneva un atteggiamento leggermente scettico. Finalmente disse che c’era un piccolo problema: in che conto bisognava tenere il fatto che quel suo paziente era africano, e che il sogno in questione rispecchiava fedelmente un episodio realmente accaduto al giovane anni prima?

A parte tutte le possibili interpretazioni e il significato del sogno nel contesto storico-psicologico del soggetto, è indubbio che il giovane abbia vissuto due volte l’episodio in questione, una prima volta nella realtà e una seconda in sogno. In altre parole, ciò significa che in ambedue le occasioni la scena ha dato luogo nel suo cervello a una complessa sequenza di eventi neuronali. Tutte le componenti di tale sequenza che “rappresentavano” la scena, sia nei suoi connotati cognitivi che emozionali saranno assolutamente identiche nei due casi, mentre saranno diverse quelle connesse con la risposta del soggetto. Comunque nessuno scienziato in buona fede, sia egli psicologo o neurofisiologo, potrà dubitare che tutte queste componenti siano ugualmente reali e misurabili, anche se le nostre tecniche attuali non ce ne permettono l’individuazione né la valutazione.

Le differenze tra alcune sequenze di eventi neuronali sono dovute al fatto che durante la scena reale viene messo in moto un complesso meccanismo nervoso atto a garantire un’adeguata reazione dell’individuo agli stimoli esterni, con componenti percettive, discriminatorie, decisionali e motorie. Nella scena onirica invece sono operanti vari circuiti inibitori, che bloccano qualsiasi risposta motoria dell’individuo agli stimoli, questa volta interiori, riprodotti mediante l’attivazione di sequenze neuronali nei circuiti corticali della memoria.

E’ difficile, allo stato attuale delle nostre conoscenze in neurofisiologia, individuare le sottili e determinanti identità postulabili nelle sequenze, sia corticali sia subcorticali, attivate nei due casi, scena vissuta in realtà e scena onirica, e quindi analizzare il valore esistenziale di queste identità per il soggetto. Dal lato puramente psicologico, invece, ciò è relativamente più facile: si può attribuire alla ripetizione in sogno della scena vissuta un valore catartico, di palingenesi. Rivivendo con accuratezza, garantita dall’operare nei due casi degli stessi circuiti neuronali, tutta la scena e la sequenza di stati emotivi che l’accompagnarono, il soggetto riafferma il suo dominio sia sui propri mostri interiori sia sul caos che oscuramente percepisce nella realtà, rafforzando con tale semplice meccanismo la competenza funzionale del suo Io.

Risulta ovviamente meno indaginoso valutare le differenze dal lato neurofisiologico che non le identità tra la scena “reale” e quella onirica. Il comportamento del cervello nei due casi è molto simile, a differenza che nel sonno “lento”, non REM (rapid eyes mouvements, movimenti rapidi degli occhi). In questo stadio infatti tutto il metabolismo del dormiente, incluso quello del suo cervello, tocca un minimo, mentre le risposte del cervello a eventuali stimoli esterni si fanno più forti (benché il soggetto non ne serbi alcuna coscienza), come se non funzionasse più alcun sistema di selezione. Durante il sogno invece, come durante la veglia, le risposte cerebrali si articolano secondo evidenti criteri discriminatori: mentre sono necessari stimoli di notevole intensità per risvegliare una persona durante questo stato di sonno (REM), basta uno stimolo di intensità appena percettibile, purché significativo per il dormiente, per provocare nel suo cervello una reazione di allerta. Proprio come durante la veglia, sembra che durante il sonno REM siano operanti meccanismi inibitori subcorticali, per proteggere l’individuo da stimoli sensoriali irrilevanti, quasi a prevenire qualsiasi perturbazione dell’attenzione e della concentrazione. Ma su cosa è concentrata questa attenzione?

Durante la veglia l’attenzione viene regolata in modo da permettere in ogni momento il miglior funzionamento dell’organismo nel suo rapporto con l’ambiente esterno, compatibilmente con le esigenze delle sue rappresentazioni e pulsioni interiori.

Durante il sonno REM, invece, le funzioni corticali di elaborazione degli stimoli sono focalizzate su sequenze neuronali riferentisi a eventi interiori, con evidente esclusione della “realtà” esterna, e insensibilità alla stimolazione periferica. Pertanto, nel caso di una scena “reale” rivissuta in sogno, la rappresentazione cerebrale consisterà in una riattivazione molto precisa di alcuni circuiti corticali e subcorticali, riproducenti esattamente a livello centrale sia la percezione cognitiva che quella emozionale della sequenza temporale vissuta nella “realtà”. Ma se i circuiti attivati sono gli stessi, quali criteri dovremo adottare per convalidare la “realtà” e la “verità” di un’esperienza percettiva o di una interiore? Forse l’illusoria testimonianza dei nostri sensi? O la voce della nostra “coscienza”?

A me sembra che queste osservazioni ci portino a rivedere tutto il nostro atteggiamento di fronte al problema della conoscenza. La dicotomia tra mondo psichico e mondo fisico, tra rappresentazione interiore e “realtà” esterna, introdotta dai filosofi ionici, ciascuno nel suo tentativo di strutturare la sua Weltanschauung, non faceva altro che universalizzare il gravoso problema individuale dell’eventuale dualismo tra mente e organismo corporeo. Questo problema, che oggi siamo in grado di ridimensionare, nasceva da un atteggiamento animistico primitivo, e ha contaminato con la sua invadente presenza molti filoni di pensiero. Pur non intendendo sottovalutare l’apporto della cultura greca, che è stato fondamentale per la nascita e lo sviluppo del nostro pensiero scientifico, dobbiamo ormai rivedere i nostri criteri di conoscenza alla luce degli sviluppi della moderna psicologia dinamica.

La prima osservazione che si presenta è che qualsiasi acquisizione di conoscenza risulta da un’interazione incessante tra stimoli esterni e pulsioni interiori. Si tratta di un processo intrinsecamente dinamico, di un’osmosi continua tra due meccanismi, uno di proiezione del mondo esterno, fondato sulle percezioni, e uno di proiezione del proprio mondo interiore, basato sulle emozioni. Il sistema risultante, pur potendosi considerare omeostatico a ogni istante dato, mostra di essere in continuo sviluppo, e la sua complessità sempre crescente appare irreversibilmente correlata con la variabile temporale, sia su scala individuale che collettiva. Navighiamo su di un oceano sconosciuto facendo continuamente il punto sulle costellazioni di un firmamento interiorizzato.

Da questo rapporto essenziale articolato in una triplice interazione tra individuo, che è al tempo stesso soggetto e oggetto di conoscenza, e mondo esterno che è un ulteriore oggetto di conoscenza, si sviluppano le tre istanze fondamentali dell’Io, del Me e del non-Io: le prime due da sole mi sembrano sufficienti per rendere conto dei meccanismi cosiddetti mentali, senza ricorrere a sterili spiritualismi. Ma quali criteri di convalida della “realtà” e della “verità” di un evento potremo assumere in questo nuovo sistema?

Se assumiamo come unico criterio le nostre impressioni soggettive, cadiamo facilmente in una specie di solipsismo idealistico, inutilizzabile scientificamente; se proiettiamo nel mondo esterno una rigida esigenza di conformità a leggi fisiche immutabili, ci avviamo verso un determinismo di astrazione sempre crescente. Entrambi gli atteggiamenti peccano di un’intrinseca staticità, che mal si accorderebbe con le premesse dinamiche del nostro sistema, nel quale i limiti tra mondo esterno e mondo interiore sono in continua fluttuazione.

L’unica possiblità che ci rimane è di cercare se criteri di realtà e di verità non siano già impliciti nei caratteri fondamentali del sistema in questione. Si tratta, come abbiamo visto, di un sistema aperto, in un continuo divenire irreversibile, che pertanto potrebbe portare in sé i limiti e i criteri della sua validità. I limiti della realtà sarebbero allora quelli stessi dell’immaginazione umana, mentre i criteri di convalida della verità scaturiranno a mano a mano dall’interno di quell’incessante interazione tra esseri umani e mondo esterno, che modifica continuamente la natura di entrambi.

Da queste osservazioni appare chiaro come non sia ormai più possibile limitarsi a osservare il mondo esterno secondo gli schemi statici dell’epistemologia greca, ma sia necessario immaginare nuove forme di rapporto sia con la realtà esterna che con quella interiore, codificando adeguatamente tali nuove vie di conoscenza nel corso del loro divenire, e correggendone dialetticamente i metodi secondo criteri di congruenza, di corrispondenza e soprattutto di integrabilità nel complesso della logica umana. Si tratta di arrivare quanto prima al “luogo dove i due mondi si incontrano”, per iniziare il nostro viaggio in una realtà completa e indivisibile. Molti l’hanno intravisto, ma pochissimi sanno come arrivarci: avviamoci senza preconcetti sul cammino indicato.