Il bombardamento atomico di Genova

1995

Correva l’anno 1995, esattamente dopo il conseguimento del mio esame di maturità, e tutto non sarebbe più stato come prima.

Immediatamente dopo il superamento della prova orale, lessi un articolo sulla rivista “Oggi” riguardante l’epidemia del virus Ebola in Africa, ed ero rimasto così impressionato dalle descrizioni horror dei sintomi e degli effetti sanguinosi della malattia, che mi sembrava quasi di sentirmela addosso.

Poi, andai in vacanza al mare in Calabria, furoreggiava la guerra dall’altra parte dell’Adriatico, in Bosnia e, forse per via del fatto che mi trovavo in un luogo diverso dal solito e, seguendo un po’ ciò che c’era scritto sulle riviste e i giornali riguardante questo conflitto, avevo cominciato a essere angustiato da immaginazioni sul possibile trascinamento dell’Italia in questo conflitto, con le battaglie che avrebbero insanguinato anche il nostro paese, cose a cui non c’eravamo abituati assolutamente, dopo tanti anni in cui si era stati abituati alla pace, e questo m’inquietava e non mi faceva stare tranquillo.

Inoltre, in quel luglio di diciannove anni fa, era esploso anche un ordigno in Europa, sulla metropolitana di Parigi, che aveva fatto morti e feriti, e vi erano, anche in questo caso, descrizioni impressionanti sui giornali (amputazioni di arti, ecc); di solito queste cose accadevano in Medio Oriente, in Israele, non in Europa; per un certo periodo, mi veniva da pensare a possibili esplosioni di quel tipo quando andavo sugli autobus, di ritorno dalla vacanza e, quando avevo udito uno strano ticchettare sotto l’automobile della mia famiglia, avevo subito immaginato alla possibilità di una bomba a orologeria.

Poi venne la GRANDE PARANOIA, quella delle armi nucleari. Infatti, in quell’estate 95, si commemoravano i 50 anni dalle esplosioni nucleari in Giappone e vi era tutta una diffusione di articoli al riguardo, che parlavano anche degli effetti di quelle armi e del loro rischio presente, compreso di analisi degli esperti e con tanto di mappe e cartine. E si parlava, ricordo un’intervista a Carlo Rubbia su “L’espresso” o “Panorama”, di come i rischi presenti, venuta meno la guerra fredda USA URSS, provenissero da paesi come l’Iran.

Precedentemente, non avevo mai riflettuto molto su questo argomento, non mi aveva nemmeno mai preoccupato più di tanto, forse perché non ci pensavo; quando vi erano state le grandi paure nucleari USA URSS degli anni ottanta, ero troppo piccolo e non potevo seguire questi argomenti, e la mia adolescenza l’avevo trascorsa in un mondo postmoderno, post guerra fredda, quei primi anni novanta dove la storia (e con essa anche il terrore dell’olocausto nucleare) sembrava essere finita, con la vittoria della globalizzazione a guida anglosassone, dove i terrori della guerra più distruttiva non sembravano più avere spazio.

Però, in quella seconda metà del 1995, in me sembrava essersi acceso un interruttore. In quello stesso periodo, oltretutto, i francesi, con la nuova presidenza Chirac, avevano ricominciato i loro esperimenti atomici nelle profondità del Pacifico, presso l’atollo di Mururoa. Una sera, sul Tg1, avevo anche visto un servizio dedicato a come gli USA avessero ricominciato a pensare allo “scudo spaziale”, un progetto risalente ai tempi di Reagan negli anni 80, e come, così diceva lo speaker, sembrava  fossero ricominciati di nuovo discorsi da guerra fredda. Questo “scudo spaziale”, nell’estate ’95, sarebbe stato destinato a difendere l’Occidente dalle “minacce terroristiche”, in particolare quelle inerenti il fondamentalismo islamico.

Sulla spiaggia, guardando le onde del mare sotto l’ombrellone, ripensavo a certe cose che avevo letto, un po’ di tempo prima, su un libro delle profezie di Nostradamus, riguardanti l’Apocalisse, la Terza Guerra Mondiale, che avrebbe preso fuoco dal Medioriente, coinvolgendo poi l’Occidente, la Russia e la Cina in quella fine secolo, e fine millennio, che si stava profilando all’orizzonte, il famoso 1999 (comparso anche in una quartina di Nostradamus dedicata al “Gran re di terrore” proveniente dall’Oriente.)

Eppure, come ho detto, in confronto a ciò che poi si sarebbe manifestato nei vent’anni successivi, le immense tensioni internazionali con Serbia, Israele, Iraq, Siria, Cecenia, Corea del nord, Iran, Pakistan, India, Afghanistan, la Libia, la Cina e la stessa Russia, quella metà degli anni novanta, con anche uno zeitgeist piuttosto improntato all’ottimismo generalizzato (basti pensare com’erano spumeggianti e piene di novità le radio all’epoca, con le superclassifiche dance che esplodevano di ottimismo estivo), era tranquilla, anche se, però, non era proprio così: rispetto ai due, tre anni precedenti, qualcosa si stava surriscaldando, qualcosa non era più come prima. Nonostante la globalizzazione del marketing multinazionale fosse nel pieno dei suoi “anni sessanta” (il periodo 1994-1997) captavo qualcosa “dal futuro”, e lo manifestavo con quelle immaginazioni paranoiche.

Riprendendo in mano libri e fumetti che parlavano di guerre mondiali prossime venture, bombardamenti atomici (tra cui un dossier sugli effetti di quelli a Hiroshima e Nagasaki cinquant’anni prima), ora ci facevo caso quando invece, precedentemente, non me ne interessavo. Ripeto, era come se mi si fosse acceso un interruttore nella testa.

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Mi immaginavo aerei che arrivavano a lanciare il loro carico nucleare nei cieli sopra la mia città, Genova, pensando agli effetti distruttivi oltre ogni immaginazione; infatti, in quel periodo, di notte su Raitre, avevo visto anche un film di Alain Resnais di fine anni cinquanta, “Hiroshima mon amour”, film particolarmente angosciante dove, all’inizio, vi è una carrellata spaventosa delle conseguenze del bombardamento del 1945 e, uno dei protagonisti, un giapponese superstite della tragedia, ai discorsi che fa la protagonista femminile, riguardanti il fatto che lei si è documentata bene e sa cos’è successo quel giorno, lui le risponde “Tu n’as rien vu à Hiroshima”, “Tu non hai visto niente a Hiroshima.”

Pensavo alla possibilità di un’esplosione atomica terroristica, magari dentro uno dei container nel porto, provenienti da chissà dove, spesso, quando vedevo un aereo, o il suono di uno di essi nei cieli, la mia preoccupazione aumentava. Mi dicevo che Genova poteva essere benissimo un target di un’azione di quel tipo, visto che era un po’ il corrispettivo occidentale di una città come Hiroshima, una città occidentale abbastanza famosa ma molto meno conosciuta nel mondo rispetto ad altre città italiane ed europee, e quindi PIU’ SACRIFICABILE.

Ricordo che, quando all’inizio di novembre di quel 95, vi fu l’edizione straordinaria dei telegiornali sulla assassinio del premier israeliano Yitzack Rabin, quindi un’azione gravissima, la quale poteva portare a un’escalation dal Medio Oriente, corsi quasi istintivamente alla finestra, guardando verso il cielo, come se avessi potuto vedere gli aerei che stavano sopraggiungendo, con il loro carico di morte da lanciare.

Ero abbastanza cotto. Provavo un clima interiore che sarebbe stato ben riassunto da libri di un paio di anni dopo, come “Codice Genesi”, già citato in questo blog, dove, nell’introduzione, veniva detto come, nonostante il mondo degli anni novanta sembrasse tranquillissimo e senza rischi e minacce, rispetto ai tempi della Guerra Fredda, vi era ancora eccome il rischio dello scatenamento di una Guerra Mondiale che, suggeriva quel libro con le sue “prove profetiche” dentro la Torah in ebraico, sarebbe cominciata con un’esplosione nucleare, però non certo a Genova ma in Medio Oriente, in Israele. Così come la Seconda era FINITA con l’esplosione atomica, la Terza sarebbe COMINCIATA così.

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Come se non bastasse, l’anno dopo, nel 1996, un anno tartassato da esplosioni kamikaze in Israele e da una tensione internazionale sotteranea che sembrava non esplicitarsi mai (forse per mantenere il clima da “anni novanta”), un mio insegnante di filosofia, parlando di questioni storiche e dei rischi di guerra per l’immediato futuro, s’era lasciato sfuggire una frase che non potei credere di aver udito dalla sua bocca:

“Certo, non intendo dire che dovremo attenderci un BOMBARDAMENTO ATOMICO DI GENOVA ma…”

Negli anni successivi, a più riprese, soprattutto quando tendevo a fidarmi ancora quasi totalmente dei media mainstream, mi preoccupai ancora per i rischi di guerra, i quali avrebbero potuto deteriorare la situazione internazionale fino alla Guerra Mondiale con armi termonucleari, ma non pensai più all’idea del bombardamento atomico di Genova, la città dove sono nato, dove vivo e, se non me ne fossi fuggito in tempo, sarei stato vittima.

L’anno scorso, però, intorno al 20 luglio, mi capitò di passare qualche giorno a dormire all’aperto, in una valle isolata, fuori dalla civiltà, ma sempre all’interno del territorio comunale, e, per qualche tempo, favoleggiai, dopo tanti anni, sull’INFAUSTO EVENTO riguardante la mia città. Mi dissi: “Pensa un po’ se ora io, assieme agli altri, siamo qui in campeggio, a venti chilometri dal centro, esplode la Bomba sopra un punto della città sufficientemente distante da noi per salvarci ed essere immuni dalle conseguenze (perlomeno quelle immediate), e noi siamo costretti a rimanere qui in questa valle isolata…”

Mi veniva anche in mente che, nei giorni intorno al 20 luglio 2001, vi furono gli avvenimenti del G8, e questa sarebbe potuta essere una combinazione significativa, esattamente dopo dodici anni. Un ritorno di un avvenimento simile a maggiore intensità e magnitudo, con Genova di nuovo alla ribalta internazionale, non certo per qualcosa di lieto, ma per qualcosa di fortissimo impatto psicologico globale. Come sarebbe, appunto, un’esplosione atomica.

Periodicamente, la città che venne definita con vari soprannomi, “Superba”, “Dominante”, sembra teatro di forti anomalie, le quali scuotono lo status quo, in particolare dell’Italia, ma non solo. Dalla “partenza dei Mille” nel 1860 al bombardamento navale inglese del 1941 (il quale sembrò un “ricorso storico” del bombardamento navale francese del 1684) ai disordini del 1960 e quelli, già citati, del 2001, e le periodiche, disastrose, alluvioni, dal quella del 1970, a quella del 1992, alla recente del 2011.

E poi l’anno scorso, quando una nave colpì un edificio del porto a forma di torre, provocando vittime.

Inaspettatamente, un’episodio di pochi giorni fa, mi ha fatto rispuntare la paranoia del 1995, come se si fosse aperto un “varco spaziotemporale” tra la mia mente di allora e quella di adesso.

Una sera, dopo il tramonto, ho notato una nube particolarmente illuminata dal sole, in un cielo azzurro-rosa, e l’ho fotografata. Il cielo e quella nube dovevano essere belli carichi di elettricità statica.

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Infatti, successivamente, quando si è fatto buio, in quella stessa zona del cielo, sopra un certo monte (zona che ho notato essere particolarmente interessata alle anomalie climatiche), hanno cominciato a sprigionarsi lampi. Sembrava la sequenza di un’esplosione atomica vista al contrario: PRIMA il fungo e POI il lampo.

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Ho immaginato che il famoso EVENTO si sarebbe manifestato nel prossimo agosto (il mese in cui il mio compare Matteo vede come propizio per lo scatenamento di grandi cose), quando sarò via da Genova per dieci giorni. Mi sarei trovato a non poter più tornarci per lungo, lungo tempo e, quando, magari dopo anni, ci sarei ritornato, non avrei più trovato nulla di ciò che era stato e delle persone che ci vivevano.

Mi domando, però, la ragione simbolica di questa paranoia – che s’è ripresentata, sebbene con intensità molto minore, dopo diciannove anni – cosa vuole davvero dirmi il mio inconscio, rendendomi sensibile e ricettivo a immaginazioni di questo tipo, e ho pensato a ciò che ha scritto recentemente il mio compare Mediter su un suo articolo, il millenario scontro Oriente-Occidente, lo scontro tra il sorgere e il calare del Sole, tra un mondo vecchio che non vuole morire e un mondo nuovo che non riesce a nascere.

Come ligure, io questo lo avverto in modo particolare, visto che, il posto dove vivo si trova A META’ tra Occidente e Oriente, infatti Genova si trova in mezzo alla Liguria, tra la Riviera di Ponente (Occidente) e la Riviera di Levante (Oriente) e io, tra l’altro, sono anche di un segno, la Bilancia, che richiama alquanto questa dialettica Est-Ovest.

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Questo essere bilanciata tra una direzione e l’altra, lo si vede anche nell’etimologia del nome della città, che, secondo la leggenda deriva da JANUS, il Dio GIANO, il Dio bifronte, come l’aquila bicipite, che guarda ad Est e a Ovest, stando nel mezzo.

La leggenda vuole invece che derivi dal nome del dio romano Giano, perché, proprio come il Giano bifronte, Genova ha due facce: una rivolta verso il mare, l’altra oltre i monti che la circondano. La tradizionale fedeltà della popolazione Genuate a Roma, risalente alle guerre puniche, ha reso inevitabile che successivamente, in epoca medievale, la tesi romana venisse presa in maggiore considerazione e che la città assumesse il nome latino di Ianua, derivandolo direttamente da Janus, ovvero Giano.

Gli antichi romani consideravano Giano come l’iniziatore dell’uso della moneta nella società ed il protettore di tutti i passaggi: della porta di casa, delle Porte di accesso alle città, dei porti e dei valichi (denominati appunto anche porte). Ciò trova un solido riscontro tutt’oggi nel fatto che Genova sia considerata e spesso chiamata “la porta d’Europa sul Mediterraneo”.

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Tra le nazioni importanti, la Turchia e, soprattutto, la Russia, sono nazioni particolarmente “GIANICHE”, con una faccia verso Occidente e una verso Oriente, ed è questo che le fa essere estremamente importanti per l’evoluzione dei cambiamenti geopolitici.

Dal momento che l’esplosione atomica è stata sempre vista come un secondo Sole che sorge sulla Terra, la si può anche vedere come una specie di ALBA.

Un’alba che sorge a Occidente. O forse – meglio dire – ne’ a Occidente ne’ a Oriente, ma NEL MEZZO. La Sintesi tra Tesi e Antitesi.

L’esplosione atomica di Genova, lungi (come ovviamente spero) dal profetizzare ciò che accadrà veramente, nasconde questa allegoria?!