Lo scatenamento della materia

Presentiamo oggi un testo che pensiamo abbia diversi agganci con questioni di cui ci siamo interessati più volte nel blog.

Il testo guarda da vicino proprio quel “big bang” storico che fu Il XVIII secolo dal 1760-1780 in avanti i cui suoi prodromi possono risalire andando all’indietro fino ai tempi rinascimentali: quel cambiamento mentale collettivo che condusse alla rivoluzione scientifica nel XVII secolo e poi nel secolo dopo all’Illuminismo, e poi alle rivoluzioni industriale, americana, francese e tecnologica, per proseguire poi sempre più veloce.

Non siamo interamente d’accordo con le posizioni di Philippe Grasset di Dedefensa, trovandole un po’ troppo combattive e manichee (d’altra parte Grasset è un anti-moderno tradizionalista), ma il suo è un bell’ esempio di lettura metastorica degli avvenimenti storici.

La metastoria è una visione della storia così globale e complessiva da trascendere la sua visione comunemente accettata.

http://www.dedefensa.org/article/glossairedde-le-dechainement-de-la-matiere

Con l’espressione “scatenamento della materia” intendiamo un avvenimento concettuale, simbolico e anche metafisico, fondamentale nella nostra visione metastorica, il quale fornisce un certo punto di visione sulla storia dal XVIII secolo in poi.

Si tratta di un avvenimento metastorico datato precisamente : “1776-1825”… L’anno 1776, lo si comprende facilmente, è quello in cui Jefferson scrisse la dichiarazione d’indipendenza delle colonie americane dalla madrepatria inglese, marcando così formalmente il processo che portò alla formazione degli Stati Uniti. La data del 1825 è più enigmatica e deve essere spiegata: 1825, è l’anno in cui il letterato Stendhal scopre con orrore che il “partito liberale” o “partito del progresso” è in realtà il “partito dell’industria” e se ne va via immediatamente da esso. Nel suo Stendhal et l’Amérique (Fallois, 2008), Michel Crouzet espone rapidamente la genesi di qualcosa divenuto presto un simbolo e il fattore principale dello sviluppo di quel sistema non della tecnologia ma del tecnologismo.

Stendhal immaginò che il suo pamphlet che ridicolizzava l’ideologia industrialista avrebbe trovato un largo consenso. Fu un grave errore perché, così pensando, Stendhal si oppose al credo fondamentale dell’epoca. Saint Simon per primo ebbe l’intuizione di vedere che l’industria, considerata da un punto di vista storicistico, era la concretizzazione materiale degli ideali dell’Illuminismo, “il punto in cui il pensiero metafisico si reifica e si abolisce nel pensiero della tecnica che occupa e chiude tutto l’orizzonte”: così come disse H. Gouhier, “l’epoca dei Lumi è ormai l’industria”.

Tra i due avvenimenti che presenteremo più precisamente i quali daranno il via allo “scatenamento della materia”, si trova la rivoluzione francese e anche questa sarà letta attraverso la stessa prospettiva.

Sono queste “tre rivoluzioni”, quindi, che formano l’avvenimento fondamentale del nostro “scatenamento della materia” : La rivoluzione “americanista” (più che “americana”, certo), la rivoluzione francese, la rivoluzione della scelta della termodinamica (ciò che noi simbolizziamo col titolo del libro di Alain Gras, Le choix du feu, “La scelta del fuoco”) : nel 1776 comincia la rivoluzione americanista, nel 1825 la rivoluzione della scelta della termodinamica è integrata nello sviluppo concettuale e ideologico con il battesimo del partito liberale e progressista in “partito del’industria”. Lo “scatenamento della materia” è avviato.

Hédi Doukhar in un suo testo considera lo stesso Occidente in quanto “scatenamento della materia”.

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Verdun e la “contro-civilizzazione”

Per Philippe Grasset, l’idea dello “scatenamento della materia” è nata e s’è formata a Verdun, durante la sua prima visita sul campo di battaglia nel novembre 2006, seguita da altre visite che portarono all’elaborazione di un libro con testi insieme a foto dei campi di battaglia, intitolato Les Âmes de Verdun “Le anime di Verdun”.  Grasset s’è trovato in condizione di avere una cosiddetta “intuizione alta” che l’ha portato a interpretare la battaglia di Verdun come una manifestazione dello “scatenamento della materia”.

https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Verdun

Siamo in grado di esplicitare la coerenza della struttura storica nata da questa percezione intuitiva. Diremmo che, per le sue condizioni strategiche e tecnologiche, ma anche e soprattutto per la sua potenza psicologica e il suo monumentale aspetto simbolico, Grasset vede la battaglia di Verdun  come combattimento tra “la materia scatenata” (la potenza schiacciante del fuoco e l’acciaio dell’artiglieria) e la resistenza umana all’interno di un campo chiuso. 

Diceva infatti nel 1931 il letterato Paul Valéry:

«Mais Verdun, c’est bien plutôt une guerre toute entière, insérée dans la grande guerre, qu’une bataille au sens ordinaire du mot. Verdun fut autre chose encore. Verdun, ce fut aussi une manière de duel devant l’univers, une lutte singulière, et presque symbolique, en champ clos…»)

Quindi per la sua estrema singolarità che fa uscire questa battaglia dalla trama tattica e strategica della Grande Guerra, Verdun ne costituisce un riassunto violento, una sorta di archetipo simbolico e potente, sia della tesi dello “scatenamento della materia” sia come possibilmente sconfitto perché  “vittorioso alla Pirro”. In entrambi i casi lo “scatenamento della materia” fa parte della cosiddetta “metastoria”.  E’ paradossalmente grazie a Verdun, battaglia che da sola forma una guerra, che si può parlare della Prima Guerra Mondiale appunto come di una singolarità.

Vedere anche: https://civiltascomparse.wordpress.com/2019/02/02/the-wwi-enigma/

A partire da tutte queste intuizioni, Grasset ha potuto elaborare una nuova concezione della nostra storia recente (a partire dal Rinascimento). La storia convenzionale della “scienza storica” di carattere accademico e facente parte di un determinato Sistema diventa metastoria ; la continuità della nostra “civilizzazione” nel suo cammino verso la modernità (con annesso il Progresso) diviene una discontinuità brutale, metastorica, a partire dal 1776-1825.

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Le “tre rivoluzioni”

A partire dall’ “intuizione di Verdun”, abbiamo re-interpretato gli avvenimenti fondamentali già menzionati, per ricondurli in un solo avvenimento che esprime storicamente questo fenomeno metastorico dello “scatenamento della materia”.

Vediamo soprattutto queste “tre rivoluzioni” come il tutto che è qualcosa di più dei suoi componenti, e la differenza tra il tutto e i suoi componenti è una differenza di natura, più quantitativa che qualitativa. Si vedrà di prendere per acquisito che il risultato delle “tre rivoluzioni”, è un avvenimento differente in natura rispetto ai tre avvenimenti di cui è somma, un avvenimento che non è contenuto da nessuno dei tre e in nessun modo può essere ridotto a nessuno dei tre e neanche semplicemente all’addizione dei tre. E questo avvenimento è proprio lo “scatenamento della materia”.

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• La “rivoluzione americanista”

Diciamo proprio “rivoluzione americanista”, e non “rivoluzione americana”. Ciò che s’è creato nel 1776-1788, è il nucleo di una potenza, di una creatura vivente a dimensione continentale di cui il primo obiettivo, dal punto di vista metastorico, è quello di assicurare la perennità delle sue oligarchie (fondatrici) di proprietari privati, grazie a un sistema economico (capitalismo) protetto dalle esigenze del bene pubblico e volto al profitto.

Accanto a questo, si mettono in moto delle dinamiche straordinarie per contenere la sicurezza e lo sviluppo di questa nuova potenza. Due obiettivi che costituiscono – involontariamente in relazione all’uso che ne farà lo scatenamento della materia, la matrice dei sistemi di comunicazione (controllo della sicurezza) e della tecnologia (controllo dello sviluppo). Si tratta qui, dal punto di vista metastorico, dell’obiettivo strutturale della fondazione degli USA.

Privi infatti di una struttura storico-tradizionale, gli USA costituiscono il centro di una potenza destrutturante corrispondente alla dinamica dello scatenamento della materia. Gli USA iniziano a essere percepiti collettivamente dal loro flusso costante di comunicazione che producono, col tempo divengono produttori di narrative adeguate. La principale di queste narrative è l’American Dream, che dà origine a narrative secondarie come l’idea della felicità, l’idea della democrazia, e così di seguito.

L’obiettivo dell’ American dream è la costruzione della percezione collettiva, ovvero di una “realtà virtuale”. Questo sviluppo necessario di un potentissimo sistema di comunicazione sfocia, passando dalla interpretazione virtuale alla creazione virtuale, nel sistema della comunicazione che è uno dei due processi operativi del sistema Occidente.

Poi abbiamo il processo tecnologico, che gli USA sviluppano in parallelo. Ciò implica lo scartare tutta la dimensione storica tradizionale in favore della manifattura utilitaristica dello sviluppo economico, facendo tabula rasa installando il sistema usando tutta la materia possibile del mondo, in modo da porre nuove condizioni di sfruttamento.

La tecnologia è lo sviluppo della potenza meccanica sola, fuori da tutte le considerazioni per le esigenze della natura del mondo, avendo per obiettivo automatico la potenza assoluta della materia, da non poter raggiungere che nella sua negatività, nella sua capacità distruttiva (il massimo è l’arma nucleare).

L’essere così completamente integrata al sistema Occidente da parte della “Grande Repubblica” (gli USA) s’è così concretizzato da non poter far pensare ad altro che agli USA come parte integrante dello stesso sistema, come “figli del sistema” fuori dal controllo delle singole azioni umane. Il vedere infatti umani di buona volontà e in buona fede, continuare a fare elogi agli USA, (sia dentro che fuori dagli USA) non è che la testimonianza della perversione a cui le psicologie sono sottomesse, d’altronde rese estremamente fragili dalle condizioni che hanno portato allo “scatenamento della materia”.

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• La rivoluzione francese

Abbiamo simbolicamente definito la rivoluzione francese usando un’espressione impiegata il 21 agosto 1792 che caratterizzò la decisione di far rimanere in piedi l’artefatto più simbolico dell’avvenimento : «la ghigliottina permanente».  Farla rimanere in “place de la Révolution”, l’attuale piazza della Concordia, dove ebbe luogo il maggior numero di esecuzioni [1.119 persone in 11 mesi]  Ma prima e dopo altre piazze accolsero come un monumento questo strumento di morte simbolo della rivoluzione.

In effetti, nelle nostre proposte di definizione dello “scatenamento della materia”, la rivoluzione francese è qui per tranciare. Rompere il nodo gordiano che lega la stessa rivoluzione alla storia del mondo, – a tutto ciò che l’ha preceduta, a tutto ciò che fa memoria, dunque a tutto ciò che fa si che – metastoricamente – la storia sia storia.

Dal punto di vista della Materia, la rivoluzione ha il compito fondamentale d’imporre con la più estrema brutalità una tabula rasa alla Tradizione. In questo senso è complementare alla “rivoluzione americanista”: infatti distrugge le “verità di prima” per permettere alla “nuova verità” del “nuovo mondo” di spandersi con facilità. Il suo obiettivo principale è la psicologia di massa, e si può dire che assieme al collo, ciò che la ghigliottina trancia è appunto la psicologia collettiva.

Dal punto di vista della psicologia collettiva, la rivoluzione francese assassina la storia del mondo di prima, cioè la memoria e i legami con la Tradizione, tanto quanto «la ghigliottina permanente» trancia le teste, in particolare la testa di Luigi XVI. 

Si comprende allora quanto il ruolo della rivoluzione sia centrale nell’episodio dello “scatenamento della materia”, preparandone il terreno, rovesciandolo, facendone il caos di una terra storica annaffiata del sangue della memoria e della psicologia assassinata, seminandone poi su questo campo purificato i semi della “nuova civiltà”.

La rivoluzione è uno choc, un colpo terribile portato alla bussola della storia, per permetterne un completo rovesciamento ; portando al massimo grado l’ambiguità di quella “Grande Nazione” che è la Francia, capace del peggio e del meglio i quali tutti e due si affrontano dentro la sua anima.  Poiché la stessa Francia che ha fatto la rivoluzione resiste nel 1916 a Verdun a quello “scatenamento della materia” di cui è stata una delle origini.

• La “rivoluzione della scelta della termodinamica”

Impiegando l’espressione “rivoluzione della scelta della termodinamica”, non designiamo un avvenimento storico preciso ma una dinamica, una successione di scelte congiunturali, fatte essenzialmente in Inghilterra, che hanno portato alla rottura col “mondo di prima” dovuta alla rivoluzione industriale e manifatturiera basata sulla “scelta della termodinamica”.

In Inghilterra vengono prodotti progressi decisivi nel periodo di tempo influenzato direttamente dalle Rivoluzioni, – all’incirca tra il 1780 e il 1820, progressi nello sviluppo della tecnica e delle macchine. In questo periodo viene forgiata la matrice della tecnica industriale moderna; e si sceglie la termodinamica per produrre energia e sviluppare quelle macchine che saranno fondamento della nostra era tecnologica. A proposito della ‘scelta del fuoco’, Alain Gras mostra quanto questa scelta non sia stata ineluttabile, quanto sia stata dettata da causalità, nonostante conseguenze che hanno condotto effettivamente a una devastazione dell’ambiente a partire dal processo di combustione. Gras inoltre ci fa vedere che la scelta avrebbe potuto essere anche quella dell’idrodinamica come produttore principale di energia, in condizioni radicalmente differenti per la salvaguardia ambientale e per il modello di riferimento dello sviluppo del progresso tecnologico industriale.

Aggiungeremo che le concezioni economiche e finanziarie sviluppate in Inghilterra a partire dalla Rivoluzione (inglese), giungono fino a noi, fino alla nostra “globalizzazione”, nello spirito e nella dinamica destrutturante così simile a quella dell’altra Rivoluzione (francese).

A questo punto è necessario introdurre un’ipotesi di un’importanza fondamentale. […] Questa “scelta del fuoco” da parte dell’Inghilterra, che in fondo viene fatta senza la precisa intenzione di nuocere, diventa una scelta universalmente sconvolgente. Questa scelta apre la nuova era geologica dell’antropocene, proposta negli anni 90 del XX secolo come nuova tappa di evoluzione geologica.

Questa classificazione geologica è rivoluzionaria perché si stacca dalla geologia normale che fa riferimento all’evoluzione naturale, per prendere invece come quasi esclusivo referente l’attività umana; quella attività che, con l’utilizzo della combustione – a partire dalla “scelta del fuoco” – di diverse materie organiche fossili, per i suoi effetti sull’ambiente, l’equilibrio naturale, la composizione e le le variazioni dell’atmosfera e del clima, provoca mutamenti di tale portata da pensarla appunto come generatrice di una nuova era geologica.

Per noi la proposta di una nuova era geologica, l’ “antropocene” viene vista come singolarmente attraente proprio per il nostro proposito di una visione metastorica della storia. Una visione trascendentale, in rapporto con la “scelta del fuoco” che rivoluziona l’ambiente storico. Nel contesto generale della nostra ipotesi metastorica, il carattere potente dei fenomeni del mondo nel momento storico in cui le azioni umane pretendono di usurpare il corso della natura giustifica e rende credibile l’idea dell’era geologica chiamata antropocene.

L’incontro tra le tre Rivoluzioni ha il suo ruolo proprio nel debutto dell’antropocene. (Grasset vi vede un segno inatteso e quasi fulminante, come un potente lampo che illumina l’oscurità , il fatto che il qualificativo corrispondente ad “antropocene” sia “antropico”, omonimo di ’“entropico”, di cui si conosce il senso ; questo qualificativo sembra caratterizzare questa “era geologica” che vede l’intrusione dell’impostura su grande scala, per imporre effettivamente un disegno antropico-entropico.)

Integrazione delle “tre rivoluzioni”

Le “tre rivoluzioni” potrebbero, volendo, rappresentare gli attori dell’antico gioco della “morra cinese” (Sasso-carta-forbici), ma senza alcuna rivalità tra loro, al contrario con uno spirito di complementarietà.

La “rivoluzione americanista”, con la sua attivazione degli strumenti sofisticati per lo “scatenamento della materia”, è rappresentata dalla carta che circonda, soffoca, strangola, inganna e convince; la “rivoluzione francese” rappresenta le forbici che tranciano, procurando a forza lo choc col metallo che trancia portando la dinamica rivoluzionaria nel teatro del mondo; la “rivoluzione della scelta della termodinamica” infine è rappresentata dal sasso contundente, simbolo dei materiali fondamentali della scienza applicata e della tecnologia, l’universo nel cui grembo si gioca il dramma.

I tre elementi formano un tripode che sembra avere la formula per padroneggiare il nostro mondo moderno-contemporaneo così com’è diventato. C’è una gradazione perfetta tra lo scioccare il “mondo di prima”, il dopo-choc con l’accalappiamento del “mondo di prima”  e poi un nuovo ambiente di ferro e fuoco che il “mondo di prima” non può ormai far altro che accettare.

Questo conduce il “mondo di prima” ad accettare di punto in bianco l’insieme della narrativa prodotta dallo “scatenamento della materia”, senza poter più protestare e anzi trovandovi ogni sorta di virtù, che ora le vede come luminarie di una festa (i Lumi del XVIII secolo divenuti le lampadine del “partito dell’elettricità”).

Così la somma dei tre elementi che compongono lo “scatenamento della materia” finisce per essere ben più che la somma dei tre elementi. Lo “scatenamento della materia” è ben più di una somma, è qualcosa d’interamente nuovo che sembrerebbe non avere più nulla a che fare con ciò che lo ha preceduto, compresi i suoi componenti.

La stessa integrazione dei tre elementi che compongono il tutto, cioè lo “scatenamento della materia”, è già una rottura prima di essere scatenamento, una rottura di ciascuno di essi con ciò che li ha preceduti. Una volta che il gioco è fatto, l’America entra nel mondo della narrativa e non ha più niente a che vedere con se stessa, come se non fosse mai stata se stessa, e ciò è constatare l’evidenza ; una volta portata a nudo, la rivoluzione francese si cancella e sparisce, come Robespierre e i suoi amici, affettati dalla ghigliottina, e si può allora tentare di convincervi che dopotutto, il Terrore non era poi così terribile, secondo una narrativa che ha mantenuto tutta la sua dinamica; in quanto alla “scelta della termodinamica”, chi si ci interessa veramente, soprattutto nelle sue conseguenze di distruzione del pianeta, poiché si tratta ormai della “fata Elettricità”, generata dal “partito dell’Industria” per rischiarare il nostro avvenire radioso?

Così lo “scatenamento della materia” è, nonostante la sua potenza, i suoi ritmi, i suoi nitriti industriali, esso stesso, per la sua negatività evidente,  è un immenso “niente”, qualcosa di – fate bene attenzione – virtuale.

La dimensione metastorica

La rivoluzione francese, creata distruggendo la storia, dalle condizioni in cui questa stessa storia è stata sacrificata, dà alla luce la metastoria. Processo naturalmente del tutto involontario.

Dunque intervenendo con tutta la sua potenza e tutta la sua brutalità, lo “scatenamento della materia” crea le condizioni di un cambiamento decisivo. Mette in chiaro le cose e ci dice : “Ecco a voi dunque l’Ultima Battaglia che comincia.”Fino ad allora la metafisica poteva essere separata dalla storia, perché le condizioni storiche lo permettevano ; lo “scatenamento della materia” conduce a una nuova necessità, che è quella integrare la metafisica e la storia in un modo diretto e “operativo”. Lo “scatenamento della materia” conduce a questa nuova necessità di integrare la metafisica alla storia per salvare l’una e l’altra, poiché l’evoluzione descritta ha condotto alla distruzione della metafisica, che era parte costitutiva del “mondo di prima”, e che la storia senza metafisica non è niente. (Come scrive Crouzet a proposito di Stendhal: «…il pensiero dove il pensiero metafisico si reifica e si abolisce nel pensiero della tecnica che occupa e chiude tutto l’orizzonte.»)

Il tempo storico diventa necessariamente metastorico, alzando il confronto a livelli estremi; per lottare contro l’aggressione dello “scatenamento della materia”, il livello più alto concepibile si mette in gioco e la storia diventa una metafisica (o metastoria).

Vale a dire che non possiamo concepire il concetto di “scatenamento della materia” che da un punto di vista metafisico ; la Materia, creatrice del Sistema per rendere operative le sue azioni, si scopre agire in modo totalitario.

Abbiamo dunque datato metastoricamente il periodo 1776-1825 pensandolo come generatore di una “nuova civiltà occidentale” [occidente-centrica], o “contro-civiltà”. Lo “scatenamento della materia” è una sorta di golpe. Esso apre l’ultimo periodo del tempo storico divenuto metastorico. Stiamo regolando i conti.

Considerazioni sparse sui nuovi anni venti

« E’ una dinamica che abbiamo sempre più privilegiato […] e che marca simbolicamente, dal nostro punto di vista, l’installazione di questa nuova capacità dell’osservazione umana degli avvenimenti. […] “Innanzitutto, c’è questo : nello stesso tempo in cui subiamo questo avvenimento di una forza e di una ampiezza estremi, lo osserviamo intanto che si sta compiendo e, più ancora, ci osserviamo l’un l’altro mentre osserviamo questo avvenimento. La storia si fa, all’improvviso in uno sviluppo esplosivo e brutale, noi la osserviamo farsi e ci osserviamo osservandola farsi…”). »

https://www.dedefensa.org/article/la-societe-du-spectacle-de-la-catastrophe

Esattamente dieci anni fa, all’inizio degli anni dieci, in un post (scritto in un modo che ora giudico acerbo) tirai in ballo il film considerato un po’ il sequel di “2001 odissea nello spazio”, “2010 l’anno del contatto”, entrambi tratti da due romanzi dello scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke.

Quel film, “2010”, non fu diretto da Stanley Kubrick – alla cui opera accenneremo ancora nel corso di questo post – così come “2001”, però venne dedicato, quando fu appunto realizzato nel 1984, a quello che per quel film sarebbe stato l’ “anno del contatto”. Contatto di che?

Dal momento che non mi permetto di fare spoiler di “2010” per rispetto a chi non l’ha ancora visto, parlando appunto di questo “contatto”, dieci anni fa si sapeva che l’allora nuovo decennio avrebbe contenuto quel “2012” il quale sarebbe stato l’anno il cui 21 dicembre avrebbe stabilito la fine del cosiddetto “lungo computo del calendario dei Maya”… anche se sapevo bene che secondo altri studiosi di calendari e cicli astronomici si sarebbe concluso in un giorno e anche in un anno differente: per esempio il 27 ottobre 2011 secondo lo studioso Carl Johan Calleman, comunque sempre nel decennio degli anni dieci del XXI secolo. I quali cominciarono con un immenso terremoto ad Haiti per poi proseguire con catastrofi ambientali petrolifere nel golfo del Messico, eruzioni di cenere in Islanda che bloccarono i voli di aerei, un altro super terremoto in Cile e uno spettacolare salvataggio di minatori intrappolati nelle viscere della terra sempre nel Cile.

Il 2010 fu l’anno in cui la Chiesa cominciò seriamente a tremare a causa di scandali di ogni tipo che in seguito non avrebbero fatto altro che continuare a scuoterla, fu l’anno in cui l’allora papa venne colpito e fatto ruzzolare a terra (i simboli sono inevitabili quando è in ballo il potere religioso), fu l’anno in cui era uno zombie il governo dell’allora premier italiano e in cui il presidente degli USA perse catastroficamente le elezioni di “mid term” – cose importanti ma il cui ricordo viene poi seppellito dagli avvenimenti successivi  – e il 2010 fu anche l’anno in cui le due coree ebbero uno scontro militare diretto per la prima volta in quasi sessant’anni quasi contemporaneamente allo “scandalo Wikileaks” di Julian Assange, in cui Roma venne sconvolta da manifestazioni violente e, a fine anno,  ci fu l’inizio di quella catastrofe che nei primi mesi del 2011 la soprannominarono “Primavera araba”.

Il 2010 fu il preludio a quel super-ribelle 2011 il quale allora sembrò sfociare spontaneamente in un’accelerazione degli avvenimenti che avrebbe portato a quel 2012 la cui attesa di qualcosa di grosso alla fine di quell’anno secondo la “profezia Maya” era stata fatta tanto pesare dai mass media negli anni precedenti, a partire almeno dal 2006.

Lo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke come “presidente USA” contro il regista Stanley Kubrick come “presidente URSS” nella minaccia di guerra che secondo il film “2010” ci sarebbe dovuta essere in quell’anno. Finta copertina del TIME comparsa proprio in quel film, secondo cui, appunto, tra l’altro, ci sarebbe stato ancora l’URSS, quando invece sappiamo che sarebbe crollato quasi vent’anni prima.

Quando verrà l’occasione giusta penso che disquisirò più approfonditamente delle ultime date con le tre cifre tutte uguali prima del 1°gennaio 2101 cioè il 10/10/10, l’ 11/11/11 (a cui in certi ambienti alternativi si diceva gli venisse data un’importanza quasi pari al 21/12/12) e il 12/12/12 appunto. Anche a quest’ultima data – a poco più di una settimana di distanza prima di quel famoso 21/12/12 – negli ambienti alternativi internettiani già citati poco fa, ricordo che venne data una certa importanza simbolica anche se ovviamente non alla stregua del celeberrimo 21 dicembre di quello stesso 2012, data ormai adesso quasi del tutto gettata nell’oblio nonostante avesse tenuto banco per anni e anni nell’immaginario catastrofico/cambio-paradigmatico collettivo, e non solo negli ambienti “new age” più o meno internettiani.
E a proposito di “new age”, personaggi quali la nostra vecchia conoscenza David Wilcock, e soprattutto Steve Bechow, avevano fatto attendere il 2012 al loro pubblico almeno dal 2006-2008 se non prima, ovviamente spingendo sull’acceleratore alla partenza di quell’allora nuovo decennio che ora si avvia alla sua conclusione.

Quando il 21 dicembre 2012 non successe nulla di quello che ormai un mucchio di gente si attendeva da questa data tanto pubblicizzata (dalla fine del mondo all’atterraggio extraterrestre, dagli “arresti di massa” del NWO a un’ “ascensione_illuminazione” collettiva, da una “civilisation breakdown” a uno “showdown” spazio-temporale), passata la delusione quella data venne gettata nel dimenticatoio.
Infatti in alcuni ambienti, più popolati di quanto si potesse pensare, c’era un po’ l’idea che certi processi evolutivi dell’intera umanità si sarebbero velocizzati all’incirca in quella data, nella quale magari si sarebbe aperto uno “stargate” attraverso cui si sarebbe, che so, “usciti dalla matrix degli ‘illuminati’ ” raggiungendo in una sorta di “ascensione” (non si capiva bene se “di massa” o “per pochi eletti selezionati”…) via verso chissà quali dimensioni oltre quelle a cui siamo abituati.

Accanto a coloro che, sobillati da certi libri, film e programmi tv anche italiani – si attendevano ingenuamente terremoti, impatti di meteoriti ed eruzioni di supervulcani oltre a tsunami che avrebbero spazzato via tutto, in quel 2012, inoltre, su internet comparvero un bel po’ di personaggi (da “Cobra” a “Drake” ad altri ancora compreso il “sempreverde” “ex giornalista di Forbes” Benjamin Fulford) i quali si dilungavano a fare rivelazioni disquisendo di come certi processi geo-politici si sarebbero a tal punto intensificati nelle zone calde della mappa del mondo fino a raggiungere l’occidente e in particolare gli USA generando sì uno tsunami ma di ordine politico-militare-giudiziario, il quale avrebbe riguardato il cosiddetto “Nuovo Ordine Mondiale” contro cui ci sarebbero stati “arresti di massa”, esito finale di una mega operazione d’intelligence coperta super segreta, frutto di un’alleanza internazionale che datava almeno da circa il 1979 secondo certe strane oscure fonti, e che finalmente, dal più profondo underground, avrebbe raggiunto la superficie.

Oggi, si potrebbe pensare a quei “Cobra” e a quei “Drake” del 2012 come a dei “falsi profeti” internettiani ma recentemente quei discorsi sull’ “operazione d’intelligence segreta contro il NWO” sembrano essersi ripresentati, e si direbbe con maggiore ampiezza mediatica: pensiamo a Jordan Sather, a “Q” e anche ad altre figure, sempre su internet ma che somigliano di più a veri giornalisti investigativi (Joe from the Carolinas [oggi Beyond Theory], Bill Ryan, Dark Journalist, C.W. Chanter) i quali oltretutto sembrano approfondire più seriamente e senza sensazionalismi questioni come le “DUMB” (Deep Underground Military Bases) e il “SSP” (Secret Space Program).

In effetti, ripensandoci, più che il 2012 fu il 2011 che avrebbe potuto far pensare all’anno successivo come particolarmente catastrofico da questo punto di vista, anche se le cose poi non andarono così e il 2012 fu un anno invece piuttosto piatto e inconsistente (un po’ come lo fu anche l’anno 2000, altro anno in precedenza fatto tanto attendere), nonostante certi sommovimenti e terremoti (non metaforici) – anche in Italia – avessero magari in certi giorni potuto far pensare che le cose da un momento all’altro avessero potuto darsi una mossa e accelerare fino a un “punto zero”, magari “la fine del tempo” o “la fine della storia” così come la siamo sempre stati abituata a conoscere.

Uno degli studiosi molto noti da chi segue questo blog, cioè Terence McKenna, nei decenni passati aveva fatto concludere la sua “timewave” — un programma informatico che calcolerebbe i processi di flusso e riflusso di abitudine e novità nel corso della storia conosciuta — proprio nel 2012 e proprio in quel 21 dicembre profetizzato dal “lungo computo” del calendario Maya, secondo le interpretazioni più “main-stream”.

A suo dire, McKenna quando aveva calcolato il punto di fine della sua “timewave” (negli anni settanta) non era a conoscenza che anche i Maya avevano predetto il 21/12/12 come “giorno conclusivo”, fatto sta che il momento di zero abitudine e novità infinita – del calcolo informatico dei flussi e riflussi di novità e abitudine nella storia conosciuta – McKenna lo collocò proprio in quel 21 dicembre. Questa fu una cosa che fece in modo di far perdere interesse agli studi di McKenna sull’ “onda temporale”, una volta passato quel giro di boa che si era così lungamente atteso (almeno a partire dal 2006 se non prima) ma che poi, essendo sembrata la classica montagna che partorisce il topolino, lo si era, come si è detto, gettato nel dimenticatoio, e assieme a lui la faccenda mckenniana della fine dei flussi e riflussi di novità e abitudine.
Solo questo blog e nessun’altro (in Italia di sicuro ma penso anche all’estero) ha continuato nel dopo 2012 a parlare della possibilità di cicli storici ispirandosi alle intuizioni di McKenna.

https://civiltascomparse.wordpress.com/2013/12/21/211212-un-anno-dopo/

Infatti noi pensiamo che il 2012 sia stato comunque uno spartiacque. Dopo la fine di quell’anno, infatti, certi processi di degenerazione – che notavamo già nel 2009-2011 – non hanno fatto altro che intensificarsi.
La “bella stagione” iniziata in sordina negli anni cinquanta del XX secolo non poteva più dare alcun frutto, anzi. Tutto sarebbe stato sempre più marcio e freddo, attendendo un Godot che non arrivava.

Mentre a partire da quegli anni cinquanta era la novità a primeggiare sull’abitudine, il primeggiare dell’abitudine (sempre più manifesto a partire da quell’anno 2000 già citato) avrebbe reso il periodo post 2012 straordinariamente somigliante a un gennaio senza speranza. Non a caso so che una delle espressioni di questo decennio è stata “come se non ci fosse un domani”, non a caso. Ormai si sarebbe sempre più vissuti nel regno del disincanto.

Eppure in futuro si noterà che gli anni dieci del XXI secolo sono comunque stati un periodo sì invernale ma in cui sono stati piantati dei semi che avrebbero germogliato una volta conclusasi la “brutta stagione”, brutta poiché il sole delle novità è basso sull’orizzonte (mentre per esempio negli anni sessanta e settanta – e ancora negli ottanta – del XX secolo era bello alto sull’orizzonte).

Insomma, il periodo post 2012 è stato quello del punto più scuro della notte tra il tramonto e l’alba, un periodo perciò mai così occidentale, in cui l’essere occidentale beve fino in fondo l’amaro calice del suo essere il luogo più o meno simbolico dove il sole (dell’ “incanto”, il contrario del “disincanto”) è basso all’orizzonte fino al suo tramontare…anche se penso che ciò (la condizione del tramonto) sia avvenuta un po’ prima, intorno agli anni novanta del XX secolo, senz’altro dopo la fine degli anni ottanta.

Nel post 2012, passate le ultime illusioni (fornite dal vecchio mondo) era ormai notte fonda, gennaio pieno.

Ma nel post 2015 è iniziato qualcosa che probabilmente i cripto-storici del futuro giudicheranno determinante per tutti i decenni seguenti, penso almeno fino agli anni sessanta del XXI secolo. Ciò che dieci anni fa chiamavo “anninovantismo” (ovvero quella specie di strano dis-incanto, però paradossalmente scattante e ottimista! [anche se con la testa sempre slogata all’indietro]) ha cominciato visibilmente a perdere colpi. Solo un cieco, guardando per esempio le figure archetipiche di Donald Trump e Boris Johnson, non si renderebbe conto che qui sono all’opera dinamiche le quali trascendono la semplice consequenzialità meccanicista lineare causa-effetto con cui ancora si baloccano quelli del modo ufficiale di intendere la storia.

Avremo dunque dei “nuovi anni venti”.

Qualche anno fa, intorno al 2010-2011 mi sembra, avevo supposto che l’importanza del 2012 stava anche nel fatto che, dopo gli anni cosiddetti “zero” (un decennio senza storia rispetto ai tanto mitizzati cinquanta, sessanta, settanta, ottanta e un po’ anche novanta) e l’inizio ribelle ma claudicante degli anni dieci, con il 2012 si sarebbe stati ormai bene dentro a quel XXI secolo il quale, per esempio, nel dopo 2001 e fino al 2008/2009 non lo si riusciva ancora bene a percepire, con tutto l’eco del XX secolo ancora che non ce lo si riusciva a togliere dalle orecchie.

Se dunque il “trovarsi ormai bene dentro al XXI secolo” poteva già iniziare a esserci con il 2012, con il 2020 questa condizione ormai non voglio dire sia conclamata ma se non lo è, si tratta comunque di una condizione la quale a questo punto ci si avvicina alquanto, di certo molto più di prima.

http://www.palazzoducale.genova.it/aspettando-gli-anni-venti/

Un capodanno ruggente e sfavillante come i mitici anni venti: la mostra Anni Venti in Italia, aperta straordinariamente fino alle 2, diventa la fonte d’ispirazione per un capodanno in stile con l’accompagnamento musicale della Genova Swing Band.
E’ gradito l’abbigliamento a tema, lasciati ispirare dalle atmosfere anni venti!

Infatti, se gli “anni dieci” (del XX secolo intendo) non sono mai riusciti a farsi percepire come un decennio ricordabile a livello di memoria mito-modernista – nonostante dentro vi furono contenuti avvenimenti grossini come la Grande Guerra – gli “anni venti” del XX secolo sono sempre stati un po’ mostrati come “un decennio facilmente ricordabile simbolicamente” (gli “anni ruggenti”…), un po’ come lo sarebbero stati gli anni cinquanta, sessanta ecc fino ai “zero” esclusi…Anzi, mi viene da dire che i venti del XX secolo sono stati anche più mitizzati dei successivi trenta e dei quaranta, anche perché in questi ultimi due decenni (dopo il terribile 1929!) la “brutta stagione” stava cominciando a farsi ben sentire, soprattutto a partire dal 1940 in poi.

All’inizio degli anni venti del XXI secolo, secondo il romanzo “I figli degli uomini”, scritto nel XX secolo, in Inghilterra vige una dittatura dovuta al catastrofico calo demografico, retta da un presidente populista. Ricordo una certa impressione di “concretezza predittiva” che mi fece questa copertina quando la vidi in una libreria ormai tanti anni fa.

Il mio collega Mediter, nel suo blog, in un’occasione in cui ha parlato di come un processo di accelerazione storica lo si percepisce anche perché “si comincia a vederci doppio”, come appunto succede quando si accelera fortemente: Mediter ha appunto parlato di come il tema del DOPPIO lo si può trovare facilmente in un periodo in cui gli avvenimenti vanno così velocemente da generare una proliferazione esponenziale di cose e fatti, fino a duplicare elementi che siamo sempre stati abituati a vedere singoli e unici. In questo caso, i “doppi anni venti”, con cui ci ritroveremo a che fare e a paragonarli l’un l’altro di qui a poco (quelli del XX e quelli del XXI secolo) possono rientrare in questo discorso.

Un fulmine che colpisce la Madonnina sulla guglia del duomo di Milano.

Naturalmente, pensando al titolo della mostra in corso a Genova in questo momento, “Anni venti in Italia, l’età dell’incertezza” e pensando che con ben due “anni venti” ora tra le mani si possa tendere a paragonarli tra loro volendoci vedere anche affinità, l’ “età dell’incertezza” che si, stiamo vivendo anche ora, a mio umile parere non è però l'”età dell’incertezza” degli altri anni venti che qui da noi in Italia portò prima al fascismo, poi al regime, poi al colonialismo violento poi alle leggi razziali e infine alla guerra catastrofica a partire dal 1940 ma, semmai, la si può paragonare a un’ altra “età dell’incertezza”, quella dell’immediato secondo dopoguerra, l’ “età dell’incertezza” che dieci anni dopo però ci fece approdare all’inizio della televisione, dei supermercati, della motorizzazione di massa e dei viaggi nello spazio: tutte cose che all’epoca sembrarono già tanto, troppo (rispetto a “com’era prima”) ma che, come ben sappiamo oggi, FURONO SOLO L’INIZIO.

Gli anni venti di cento anni fa furono l’autunno che cominciava e andava verso l’inverno, gli anni venti di oggi sono l’inverno che sta per finire ed è diretto verso la primavera. Condizioni “climatiche” stranamente somiglianti anche se vanno in direzione opposta l’un l’altra.

Uroboros.

Nella situazione fino a qui disquisita, si sarebbe testimoni soltanto di una “ricarica ‘uroborica’ periodica del loop spazio-temporale storico occidentale”, quando tutto ciò che una “incarnazione” dell’occidente aveva da dare – in termini soprattutto simbolico-culturali ma anche economici, finanziari, sportivi, tecnologici ecc – si esaurisce definitivamente e si riparte con la successiva “reincarnazione” della stessa storia occidente-centrica, una volta spazzato tutto quel vecchio che non può più dare niente e che ora è capace di fare solo una cosa: di frenare il nuovo.

Però, per esempio, la già citata “timewave” di McKenna suggerisce un momento di discontinuità ancora più radicale, il quale potrebbe portare a un “punto zero” (dove l’abitudine raggiunge lo zero e la novità l’infinito) in cui la stessa storia occidente-centrica verrebbe come risucchiata senza possibilità di “reincarnarsi” più, facendo persino crollare il nostro modo di vedere il mondo frutto non solo di condizionamenti occidentali ma millenari: una cosa così grossa, fuori scala, da farci cancellare collettivamente, forse per sempre, l’idea che ci siamo sempre fatti del passato e della storia.
Insomma, un po’ ciò che alcuni “alternativi” si attendevano dal 21 dicembre 2012 visto come “fine del calendario Maya”.
Il mio collega Teoscrive è tuttora persuaso di questa possibilità, e attraverso le sue ricerche utilizzando il programma informatico “timewave” di McKenna e Peter Meyer, periodicamente cerca di collocare in una determinata data il “punto zero” finale del grafico computerizzato dei corsi e ricorsi storici.
Teoscrive ha visto come anche diverse date successive al 21/12/12, da lui in precedenza ipotizzate, non fossero quelle giuste; recentemente ha stabilito una nuova ipotesi, che vede in un giorno del nuovo decennio, nel 2022, la famosa “onda temporale zero”.
La quale forse potrà trattarsi di ciò che qualcuno ha definito “punto del caos”.

Ad ogni modo, comunque vadano le cose nel futuro, una possibilità che sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire è quella di non limitarsi a essere SPETTATORI degli avvenimenti ma esserne anche ATTORI, così come peraltro ci suggerisce il testo messo all’inizio di questo post del blog.

Il ritorno dello spartiacque storico del 1973 come suo rovesciamento speculare prossimo venturo

1973

Presentiamo qualche estratto da un articolo oggi pubblicato su un blog in lingua francese, Dedefensa, il quale mostra l’importanza dell’anno 1973 per la nostra storia recente, per il tipo di mondo in cui ci troviamo tuttora, un tipo di mondo, dominato da un certo modello geopolitico-economico-finanziario, tuttora attivo anche se sempre più minacciato e fuori tempo massimo. L’importanza del 1973  viene illustrata in questo articolo in lingua inglese dell’Independent, in cui viene definito il più significativo anno del XX secolo: http://www.independent.co.uk/voices/comment/1973-the-most-significant-year-of-the-20th-century-9028544.html e la timeline storica a cui dà avvìo comincia a manifestarsi compiutamente nove anni dopo, intorno al 1981-1982, come ben spiega questa pagina web del blog “Cycles of history”: http://cyclesofhistory.com/saturnpluto-1982-2020/ , con la congiunzione Plutone-Saturno che inizia appunto nel 1982 e termina nel 2020. L’articolo al riguardo del blog a noi gemellato Mondo Simbolico (http://mondo-simbolico.blogspot.it/2017/01/modelli-previsionali-per-il-2017-ed.html) mostra bene l’attuale condizione terminale dell’assetto geopolitico-economico-finanziario (e anche culturale e sottoculturale) che ha avuto il suo inizio inizio nel 1973-1974 cominciando a “girare” nel 1981-1982, che collasserà molto probabilmente negli anni Venti del XXI secolo. Anche la narrazione di HyperNormalisation, https://en.wikipedia.org/wiki/HyperNormalisation film documentario del britannico Adam Curtis, tratta precisamente la stessa timeline storica, che l’articolo di Dedefensa fa iniziare nel 1973-1974 e HyperNormalisation nell’anno 1975

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http://www.dedefensa.org/article/notes-sur-de-lurss-a-la-russie

Siamo stati colpiti dalla notizia di un accordo che sta per essere portato a termine, o è già portato a termine, tra l’Egitto e la Russia, riguardante la disposizione accordata da ciascuno dei firmatari dell’utilizzo dello spazio aereo e delle basi aeree dell’altro. […] C’è da mettere l’accento sull’enorme importanza strategica potenziale di questo avvenimento, sia per il suo aspetto simbolico sia in rapporto a quell’anno pivotale che fu il 1973:

La Russia ha ritrovato all’incirca le posizioni dell’URSS nel 1973, quando questa potenza aveva raggiunto lo zenith della sua penetrazione nel Medio Oriente […] Per la Russia, quest’accordo è chiaramente un trionfo strategico senza precedenti. La Federazione russa è già ora un importantissimo fornitore di armamenti verso l’Egitto, a spese dell’abituale clientelismo egiziano dell’industria di armamenti USA dalla fine degli anni Settanta. Ma l’accordo va molto più lontano e costituisce un reale riposizionamento dell’alleato strategico principale, visto che l’Egitto intende così passare dall’alleanza americana all’alleanza russa.

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Siamo molto sensibili agli avvenimenti contemporaneamente strategici e simbolici e l’anno 1973 (o 1973-1974) è senza alcun dubbio di questo tipo. Abbiamo spesso ripetuto che il 1973, con i suoi avvenimenti destrutturanti (Guerra di ottobre [tra Paesi arabi e Israele] o “Guerra dello Yom Kippur” e l’embargo petrolifero dei paesi OPEC) è un anno di basculamento e della fine di un’epoca, la quale porta le premesse di quella che le succede, epoca di cui ora stiamo vivendo il catastrofico termine.

Così come la si legge, la notizia sul probabile accordo russo-egiziano ci riporta, per semplice connivenza storica, all’anno 1973. [… ]

[Qualche anno fa] scrivemmo un testo in cui riprendevamo un’analisi delle grandi tendenze metastoriche dal 1973 a oggi e questa analisi ci pare mantenere tutta la sua pertinenza e ora ci sembra possa essere ancora più pertinente, se possibile.

Si poteva comprendere quanto la rottura dell’URSS con l’Egitto fosse importante in un’epoca in cui questo paese era il vero leader del mondo arabo, allorché l’Arabia era ben distante dal tenere il ruolo che lo si è visto tenere in questi ultimi anni; quella era la stessa epoca in cui, infine, l’Iran dello Scià dominava la regione per conto degli USA, restando un grosso fornitore di petrolio per l’Occidente.

[…]

1973-1974: Il TORNANTE DECISIVO?

Israël Shamir […] fa della guerra del Kippur un punto di svolta fondamentale della storia del XX secolo. Questo giudizio si trova in fondo a un suo articolo:

Postscriptum. Nel 1975, l’ambasciatore russo al Cairo [Vladimir M.] Vinogradov non poteva predire che la guerra del 1973 e gli ulteriori trattati avrebbero cambiato il mondo, che avrebbero deciso il destino della presenza e dell’influenza sovietica nel mondo arabo, sebbene le ultime vestigia sarebbero state distrutte dalla potenza americana assai più tardi: in Iraq nel 2003 e in Siria successivamente. Gli americani hanno scardinato la causa del socialismo mondiale, che iniziò nel 1973-74 la sua lunga caduta. l’URSS, lo stato più prospero nel 1972, quasi vincitore della guerra fredda, finì per perderla. Grazie alla presa del controllo americano dell’Egitto, il sistema del petrodollaro ha potuto svilupparsi e il dollaro, che nel 1971 aveva cominciato a declinare perdendo la sua convertibilità aurea, si ristabilì divenendo in tutto e per tutto una moneta di riserva mondiale. Il petrolio degli sceicchi sauditi venduto in dollari è divenuta la nuova boa di salvataggio per l’impero americano. Con l’attuale inizio della fine di questo assetto, armati delle rivelazioni di Vinogradov, possiamo affermare che il 1973-1974 marca un punto di svolta decisivo nella nostra storia.

Noi stessi, basandoci sulla nostra esperienza razionale così come sulla nostra memoria intuitiva, abbiamo sempre ben percepito, così come vissuto – nell’epoca stessa di quella guerra e degli avvenimenti che l’accompagnarono […]

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Quella crisi dell’ottobre 1973 […] faceva ben pensare che conducesse a una nuova epoca, e lo si percepiva immediatamente, nella nostra vita di tutti i giorni: l’embargo petrolifero dell’OPEC ebbe conseguenze immediate, quotidiane, con le “domeniche senza automobili” in Europa, con dei programmi di risparmio dell’energia, dei cambiamenti dell’ora legale. Per la prima volta, una crisi mondiale non era percepita in termini di annientamento reciproco (guerra nucleare strategica) la quale, a causa della sua prospettiva estrema, sembrava abbastanza irreale e astratta anche se il suo peso sulle psicologie era enorme. Il nostro ricordo degli avvenimenti è che si trattava di un immenso avvenimento di destabilizzazione: per la prima volta, si avvertiva che le due superpotenze e i diktat della dissuasione nucleare non erano più sufficienti a mantenere il controllo della situazione internazionale, a mantenerci dentro i confini della ragione costretta a essere rinchiusa dai formidabili e arroganti apparati del sistema della tecnologia e delle telecomunicazioni…in termini psicologici (molto più fortemente che in termini strategici), la guerra ad elevata intensità di cui il riferimento era la dimensione mondiale era ridivenuta possibile e, con essa, la destabilizzazione di una situazione fino ad allora sotto controllo per via della prospettiva catastrofica in caso di perdita di controllo. Tale prospettiva avrebbe riguardato proprio la messa in causa del nostro sistema in generale.

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EFFETTI [NEL BREVE PERIODO] DELLA GUERRA DEL KIPPUR: STABILIZZAZIONE PRO USA

[…]

  • Senza alcun dubbio, gli USA furono gli assoluti vincitori di questo episodio, prima di tutto con l’eliminazione di una parte essenziale dell’influenza sovietica nella regione: in seguito, con il riallineamento radicale della maggior parte dei paesi della zona su tale nuova situazione.
  • Israele e l’Egitto evolsero rapidamente verso una dipendenza radicale dall'”ordine americanista”, che fu concretizzato dagli accordi di Camp David. Si trattò di un accordo tripartito regolato secondo i termini di Washington, assicurandosi un’intesa Egitto-Israele. Questa situazione fu chiaramente fatta partire con l’arrivo al potere di Hosni Mubarak, in seguito all’assassinio di Sadat nel 1981.
  •  Il resto evolse in funzione di questo rovesciamento. Il presidente Assad della Siria (padre dell’attuale presidente) aveva perfettamente capito il tradimento di Sadat e aveva visto la sua armata decimata da Israele. La Siria optò per una posizione di accomodamento con gli USA, perché senza alcuna possibilità di agire altrimenti. L’Iraq di Saddam Hussein scelse una posizione mediana, stabilendo dei contatti con gli USA. L’Iran dello Scià era del tutto acquisito dagli USA, così come i paesi del Golfo e la Giordania. Fino al 1979 e la rivoluzione islamista in Iran, l’influenza USA nella regione fu al suo zenith.

 

CONSEGUENZE [DI LUNGO PERIODO] DELLA GUERRA DEL KIPPUR: DESTABILIZZAZIONE

A partire dal 1979, conseguenza indiretta e invertita del 1973-1974, la destabilizzazione iniziò, indicandoci che l'”ordine” venuto fuori dalla Guerra del Kippur costituiva un arrangiamento temporaneo. Successivamente, il rovesciamento dello Shah, l’attacco alla Grande Moschea de La Mecca da parte degli islamisti (1979), l’attacco all’Iran da parte dell’Iraq sostenuto dall’Ovest (settembre 1980) seguito da otto anni di guerra, la prima Guerra del Golfo contro l’Iraq (1990-91), le crisi israeliane successive contro i palestinesi e il libano, ecc, fino a una situazione di destabilizzazione cronica passando per l’11 settembre, l’attacco all’Iraq del 2003, la guerra Israele-Hezbollah del 2006, la crisi iraniana, la catena crisica chiamata “Primavera araba” dal dicembre 2010 in avanti fino alle crisi attuali in corso di trasmutazione in crisi centrale o “crisi alta”.

In questo vasto affresco, c’è evidentemente un nesso tra la Siria del 1973 e la Siria [degli anni 10 del XXI secolo], un nesso che si incrocia col precedente, tra l’URSS del 1973 e la Russia [degli anni 10 del XXI secolo]. Vi si trovano assommati l’inizio del periodo (1973) e il punto di confronto che può decidere della rottura del periodo [anni 10 del XXI secolo]. E’ proprio la Siria che, nella guerra dell’ottobre 1973 fu la grande perdente, questa guerra di ottobre che vide l’inizio della fine dell’URSS, Ed è proprio la crisi siriana che, oggi, è uno dei centri di rottura della situazione in Medio oriente e, senza alcun dubbio, ancora più che la crisi iraniana, il punto d’ingresso del ritorno in forze dell’ex URSS ridivenuta Russia nella regione dove era stata, durante tre decenni (1955-1975) una grande potenza influente.

 

 

La speranza nell’attesa del CAOS

Presentiamo un testo dello stesso autore che abbiamo già incontrato un mese fa:

https://civiltascomparse.wordpress.com/2015/02/16/iperdisordine-caos-e-punto-di-rottura/

dove, utilizzando un modo di scrivere a tratti davvero complesso e avvolgente (quasi poetico), sbandiera una specie di ode in prosa a un rovesciamento del presente stato di cose – basato sul disordine organizzato – che può preannunciare una specie di rinascita in seguito allo scatenamento del CAOS.

Qui la versione originale:

http://www.dedefensa.org/article-chronique_du_19_courant_chaos_19_03_2015.html

https://vimeo.com/27291601

Andrò a parlare della potenza delle parole nei confronti del significato che gli si fornisce e nei confronti del significato che hanno in loro stesse e di loro stesse, dell’attrazione che possono esercitare su di noi, talvolta in un cattivo senso che le rende ingannatrici perchè rischiano di traviare il nostro pensiero. Fino al punto in cui diventa imperativo stare attenti a ristabilirle nella loro vera influenza e nel loro giusto significato. Sta qui il significato generale del mio modo di vedere una di quelle parole che esercitano una potente fascinazione; una parola che è un esempio del caso generale qui illustrato e una necessità specifica della nostra situazione generale presente, tanto il suo impiego è oggi consueto.

Provo effettivamente questi sentimenti diversi con la parola “CAOS”, di cui si comprende agevolmente che è del tutto nello spirito del nostro tempo corrente. E’ innanzitutto per questa ragione, per la sua attualità – sebbene sia, almeno simbolicamente e secondo la tradizione, vecchia come il mondo – che questa parola è contemporaneamente ingannatrice e affascinante, cosa in verità essenziale per il giusto apprezzamento della nostra epoca di rottura, essa stessa oggetto di un dibattito semantico che cela ugualmente un giudizio di fondo sugli avvenimenti in corso e merita, per conseguenza, tutta la nostra attenzione ed esige di essere ristabilita in tutta la sua reale potenza e il suo magnifico significato. La parola “CAOS” è una di quelle parole che trasmutano un epoca, che trascendono gli avvenimenti e sconvolgono gli esseri fin nel profondo delle loro anime eroiche, che suscitano i pensieri più audaci e gli slanci più esaltanti.

E’ soltanto di recente che la questione a proposito del “CAOS” [ha avuto interesse per noi], nello stesso tempo in cui si afferma, naturalmente, per la nostra stessa epoca. Si ha avuto un eco di questo dibattito in un testo molto recente […] sull'”iperdisordine.” Il titolo completo suggerisce e innesca il dibattito (“iperdisordine, disordine & caos”) e il testo comincia con una messa a punto riguardante queste parole citate nel titolo; per spiegare il fatto che decidiamo ormai – e fino a una nuova situazione che la giustificherebbe – di non impiegare più la parola “CAOS” per designare la situazione presente; perchè sarebbe fare troppo onore alla situazione presente, che non merita questa parola…Ed ecco, nella logica dell’avvio del testo, ciò che è detto sulla parola “CAOS”, non lo impieghiamo per nulla a proposito della situazione presente.

CAOS, dal latino “chaos” e dal greco antico “khaos.” In teologia, il CAOS è “la confusione generale degli elementi prima della loro separazione e della loro disposizione per formare il mondo.” Nella mitologia greca, “khaos” precede tutto: “Nella mitologia greca, CAOS (in greco antico Khaos, letteralmente “faglia, spalancatura”, dal verbo kainô, “spalancare, essere spalancato”) è l’elemento promordiale della teogonia esodiaca. Esso designa una profondità spalancata…[…] Secondo la “Teogonia” di Esiodo, non soltanto precede l’origine del mondo, ma quella degli dei…Ci appoggiamo a questa potente referenza per considerare che “il CAOS”, nella nostra concezione, è assolutamente differente dal disordine. Il CAOS è uno stato superiore del disordine, un super-disordine se si vuole; mentre il disordine comprende “elementi, dati, informazioni, variabili, di cui la disposizione è improvvisamente scompigliata”, il CAOS comprende, in disordine, tutti gli elementi, tutti i dati, tutte le informazioni e tutte le variabili possibili…E’ un super-disordine, cioè, secondo il nostro proprio apprezzamento nella nostra epoca, un disordine che si stacca decisamente dall’epoca da cui è tratto perchè contiene tutti gli elementi (tutte le informazioni) per la creazione di una nuova epoca, di una nuova era, – ma no, ancora meglio, e decisamente detto meglio, – per un nuovo ciclo metastorico…(Allo stesso modo, è evidente che il CAOS è “creatore” per definizione, o “necessariamente creatore”, ma in un senso che è il nostro, senza alcun rapporto con la dialettica da bar, come a Davos, dell’ipercapitalismo e dei neocons.)

Così, facendone un esercizio di definizione più preciso […], mettendone in evidenza un senso formidabile per una parola di cui la potenza è innegabile, si ci esercita a fissare il suo pensiero in una via che gli sia fruttuosa. E’ un modo di agire d’artigiano della parola, un modo di agire che non cessa di commuovere lo stesso artigiano, di trascinarlo, di elevarlo fino ai confini dell’intuizione, di fargli scoprire ciò che chiamo la sua “anima eroica”, dove confluiscono forze d’ispirazione, d’intuizione e di convizione, riunite dal gusto della fusione nel simbolo più elevato…

In partenza, si tratta di comprendere perchè si può sentire, com’è nel mio caso, una reale fascinazione per la parola “CAOS”, che è largamente utilizzata in questi tempi incerti e folli, e in un modo, per come la vedo, talvolta troppo sconsiderato, se non degradante. Vale a dire che la fascinazione esercitata su di me da questa parola rende conto della sua natura estremamente preziosa, della necessità di vigilare al suo impiego in un modo che non la snaturi in niente. Intendo con questo esprimere l’idea, che mi viene sotto la penna al filo della riflessione, che questa fascinazione della parola “CAOS” viene, innanzitutto, dal fatto che esprime una speranza e una fede straordinarie mentre ci si trova immersi in una situazione generale che non genererebbe naturalmente – se nient’altro fosse trovato – che la disperazione più definitiva, il trascinarsi dell’anima nel nichilismo più dissolvente. La definizione più giusta e sublime della parola “CAOS”, come quella sopra proposta, rinforza il pensiero e afferma la volontà di non farne uso che per esprimere delle prospettive che siano a sua misura e dandogli tutta la sua verità, cioè con fiotti di speranze a venire ma che non siano solo vuote promesse, zampilli di un istante ma siano un istante fiammeggiante ed esaltante, al cuore della disperazione che regna, che il CAOS a venire avvolge e impasta dentro di esso per trasmutarla in un altro orizzonte.

“Secondo la Teogonia di Esiodo, il [Khaos] precede non soltanto l’origine del mondo, ma quella degli dei…”, è scritto. Questa parola “precedere” è evidentemente di una rara e sublime preziosità; essa suggerisce il debutto, l’inizio….Suggerisce che il CAOS, il quale sembrerebbe – nell’impiego abusivo che se ne fa oggi – essere il nostro presente catastrofico e l’avvenire di un tale presente catastrofico come eternalmente a sua immagine, dispenserebbe in realtà qualche illuminazione – per chi sa vederci dopo aver osato guardare – che sono decisive per descrivere la venuta alla luce di ciò che si rivelerà più tardi come il passato fondatore di un avvenire improvvisamente trasformato in una nuova alba trionfante che non possiamo ancora immaginare.

Non siamo ancora pervenuti al CAOS, la verità è a questo punto, come un fardello che bisogna ancora portare, come un calvario che resta ancora da percorrere, ma finalmente con un senso se noi accettiamo questa definizione. Ci dibattiamo in un disordine [organizzato] che ci sembra senza fine, senza il minimo significato, senza niente da offrirci che le sue proprie convulsioni esse stesse senza fine ne’ col minimo significato; “senza niente da offrirci” se non, talvolta, e anche sempre più spesso […], una fuga verso un iperdisordine (già menzionato più sopra), che sarebbe un tentativo – come l’indicherebbe una scintilla tra altre tra due pietre che si scontrano – di aprirsi verso il CAOS. Ecco dove conduce l’attenta osservazione, senza paura, ma anche l’osservazione ridotta a se stessa, senza supposizione, senza proiezione ne’ divinazione, senza previsione, senza ricostruzione proposta da una ragione che è per ora scartata, perchè troppo sospetta di sovversione di se stessa. Si deve semplicemente lasciarsi muovere dall’intuizione, e questa non può essere che “alta”, – l’intuizione alta, che brilla come una pepita d’oro puro lavata al setaccio dell’acqua chiara, come un diamante uscito dalla sua ganga per fiammeggiare dei suoi mille fuochi.

E’ estremamente difficile, se ne deve convenire, sviluppare dei tali apprezzamenti che sembrano così speculativi e così incerti, considerandoli come una parte non trascurabile  del considerare gli avvenimenti a venire. Eppure bisogna provare, ed è proprio ciò a cui la parola “CAOS” invita: essa vi offre – attraverso il suo significato profondo che rimanda tanto al mito che alla memoria – dalla potenza della sua natura cosmica, dalla sonorità grave e profonda del suo fraseggio, qualche cosa di considerabile e di formidabile che rotola su se stessa estendendo il suo impero, e pretende a lui solo essere lo sbocco irresistibile di un mondo che non somiglierà a ciò che è preceduto, come se niente fosse preceduto; vi offre, dico, la possibilità di tentare di proiettare la vostra propria convinzione armata dell’intuizione verso delle contrade sconosciute, dove non regnano da nessuna parte i diktat abusivi e le manchevolezze della natura umana quando essa è trascinata dall’hybris, in delle contrade sconosciute che sono così belle e così grandi che sono dispiegate davanti a voi al rischio dello stesso pensiero. A questo proposito, sembrerebbe assicurato – al di là delle constatazioni immediate di un tempo – da un’era che ci dispera e rianima tutte le nostre sofferenze possibili, che c’è qui un rischio dell’intelletto che invita di prendere e di correre fino in fondo a se stesso. Confrontati a un destino catastrofico, ci troviamo in una condizione dove più alcun rischio deve spaventare le nostre anime eroiche.

Non è illogico che una tale avventura intellettuale che gira attorno a una parola la quale affascina tanto e la si avverte gonfia del nostro destino, possa sembrare, di primo acchito, contemporaneamente vana e fatua. Non è illogico nemmeno che in una tale epoca percepita così eccezionale – tale da dire che non ce ne fu alcun’altra di uguale in tutta la storia umana – si considera di prendere  tali rischi intellettuali che fanno rischiare a un autore la sua firma, la sua penna e la sua anima eroica intorno a considerazioni che sembrano venute fuori da un universo incomprensibile, da una pseudo-divinazione incerta. Questa epoca è evidentemente – si direbbe necessariamente – quella del rischio supremo, dove lo spirito deve accettare, in certe circostanze, nel caso di ciò che esso giudica essere l’abbozzo di aperture sublimi, di ingaggiarsi in ciò che altri giudicherebbero con disprezzo e con – soprattutto, ma ben dissimulato – un certo spavento, come elucubrazioni pretenziose e inutili.

Eppure, dico questo senza perdere di vista ciò che considero come la mia missione che riguarda la realtà delle cose e le “verità di situazioni”, tutto ciò che è “operazionale” nell’ordine del quotidiano degli avvenimenti correnti. La mia missione, come me l’assegno senza la minima esitazione, è di tenere i legami più serrati possibile, tra la marcia del mondo, la marcia folle del mondo, e l’interpretazione che si deve incessantemente proporne, l’interpretazione della possibilità, se non di un modello di una disposizione superiore che dissipi e faccia giustizia quando risponde all’ordine, all’armonia e all’equilibrio di cui si deve avere l’intuizione, in questo insopportabile schiamazzo della follia degli uomini del nostro tempo. Questa delicata disposizione, dove cose e concezioni così differenti devono trovare le loro equivalenze, costituite a fianco dei giudizi sprezzanti che se ne può avere in nome della sola ragione, da un atto di puro eroismo. Bisogna averne, dell’eroismo, per rischiare la reputazione e l’equilibrio dello spirito, bisogna saper essere eroici in questo modo. Non comprendiamo nulla della tragedia del mondo se non affermiamo la nostra convinzione che sotto i nostri occhi si fa e si sviluppa la più terribile tragedia che si possa immaginare; così la nostra comprensione diventerebbe veramente a misura di questa “tragedia del mondo”. Così è ugualmente eroismo  perseguire l’esplorazione della parola “CAOS” nello stesso tempo che la guida della sua missione, e un eroismo ispirato, poichè in fin dei conti i due si ritrovano in comune.

Conseguentemente, propongo l’idea -,o l’interpretazione se si vuole – di cui la parola “CAOS” è portatrice, ma con delle risorse nascoste di tutte queste singolari situazioni, così differenti, così antagoniste, dalle nature così diverse, che non sono a prima vista che assemblate dal disordine che porta in sè la tentazione orribile della destrutturazione e della dissoluzione, fino alla caduta ultima nell’entropizzazione. Percepisco la parola “CAOS” come qualcosa che, in fondo al disordine che ha accettato di prendere in consegna, si rivela come la matrice di una concezione unificatrice, come una specie di animazione di ciò che potrebbe essere una rappresentazione ancora spezzettata, ma tendente alla ri-composizione dell’unità originale. Ho l’audacia eroica di vedere nella parola “CAOS” uno dei segni così rari vi fanno credere, uno di questi sbrindellamenti improvvisi che rinforzano la vostra fede.

Come si è detto, qualcosa di semplice ed eroico al tempo stesso.

Si noterà, e della benevolenza dei nostri lettori  non ne dubito, come abbia accuratamente evitato l’una o l’altra referenza che si sarebbe tentati se non giustificati di evocare, vale a dire anche di invocare con fracasso per chiudere il becco al proprio interlocutore. Niente “Dio”, niente “dei” là dentro, niente invocazioni profetiche, niente religioni imperative; questo, per chi vuole e deve tenersi ai termini correnti della nostra situazione generale, non è il nostro proposito, anche non scartando per nulla la possibilità potente e irresistibile. Nonostante l’ermetismo apparente dell’osservazione, io avanzo a passi lunghi e ben distesi, non dissimulo niente delle mie intenzioni e scarto l’ambiguità della profezia, invitando a indovinare la coerenza sotterranea del proposito; non m’interesso che a una cosa, che a una parola, di cui soppeso tutto il mistero straordinario dall’origine dell’aldilà dei tempi…Non ne ho detto abbastanza per proporre l’idea che arrivato a questo stadio di sperimentazione intellettuale, è difficile eludere l’idea quasi utilitaria, dopo tutto, che tutto questo deve avere un senso per giustificarsi irresistibilmente d’esistere. Se il disordine della follia che osserviamo non avesse senso, allora come potrebbe giustificarsi di esistere? Ma esiste e, di conseguenza, ha un senso nascosto e chi si rivelerà e che lo giustificherà di esistere; e questo senso è che il disordine in cui ci troviamo – perchè decisamente ci troviamo nell’era del disordine – non può essere, non può esistere, che nella misura in cui è il predecessore del CAOS. Non esiste che per la grazia di ciò che gli succede, e per la grazia che ciò che gli succede non è nulla di meno che il CAOS stesso, che è il ricominciamento del Tutto.

Dunque vado a issarmi di nuovo e riguadagnare il mio posto di vedetta, sulle muraglie deserte e silenziose, affacciato al mio Deserto dei Tartari, per occhieggiare l’arrivo della COSA, dell’avvenimento tanto atteso. Sono la sentinella al suo posto, sotto la volta ombrosa disseminata di luci interiori nelle notti che avviluppano le grandi distese desertiche, sotto questa volta celeste piena di stelle luminose e rutilanti, e sto di guardia.

“CAOS” è la parola d’ordine che la sentinella attende.

Philippe Grasset

Iperdisordine, punto di rottura e caos

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http://sacroprofanosacro.blogspot.it/2015/02/transizione-nella-preservazione-qui-cosi.html

Caos, dal latino Chaos e dal greco antico Khaos. In teologia, il caos è la «confusione generale degli elementi prima della loro separazione e della loro sistemazione per formare il mondo». Nella mitologia greca, Khaos precede tutto : «Nella mitologia greca, il Caos (in greco antico Khaos, letteralmente “Apertura, spalancatura”, dal verbo kainô, “spalancare, essere spalancato”) è l’elemento primordiale della teologia esodiaca. Esso designa una profondità spalancata…[…] Secondo la “Teogonia” di Esiodo, esso precede non solo l’origine del mondo, ma quella degli Dei…» Ci appoggiamo su questo possente riferimento per considerare che “il caos”, nelle nostre concezioni, è assolutamente differente dal disordine. Il caos è uno stato superiore del disordine, un sovra-disordine se vogliamo ; mentre il disordine comprende “degli elementi, dei dati, delle informazioni, delle variabili, di cui la disposizione è improvvisamente rovesciata”, il caos comprende, in disordine, tutti gli elementi, tutti i dati, tutte le informazioni e tutte le variabili possibili… Cioè, è un sovra-disordine, secondo il nostro giudizio in questa nostra epoca, un disordine che si stacca in modo decisivo dall’epoca da cui è tratto poichè contiene tutti gli elementi (tutte le informazioni) per la creazione di un’epoca nuova, di una nuova era, – ma no, ancora meglio, è decisamente meglio dire, – per un nuovo ciclo meta-storico… (Al tempo stesso, è evidente che il caos è “creatore” per definizione, o “necessariamente creatore”, ma in un senso che è il nostro, senza alcun rapporto con le dialettiche [di oggi.]

L’iperdisordine è uno sporgersi decisivo e di rottura nei confronti del disordine nella misura in cui apre il disordine a tutti gli elementi possibili, quindi apre la possibilità alla creazione di un ordine che sarà completamente differente dall’ordine [quello di prima] che precede il disordine, aprendo le porte al CAOS.

http://www.dedefensa.org/article-glossairedde_hyperd_sordre_d_sordre_et_chaos_16_02_2015.html

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