L’anno più felice di sempre

13 06 2019
Film britannico del 1957. Dell’epoca in cui incredibilmente si producevano ancora veri e propri film in UK, diversi da quelli di Hollywood.

Oggi vi proponiamo un articolo apparso sul Daily Mail due anni e mezzo fa. Nonostante sia forse passato un po’ di tempo, non penso proprio che esso abbia nel frattempo perduto la sua fragranza.

Anzi, mi viene da dire che migliorerà sempre più con gli anni.

Tra l’altro, il presente post del blog lo si potrebbe vedere come un ricorso di quest’altro: https://civiltascomparse.wordpress.com/2010/11/27/l11-aprile-1954-non-e-successo-niente/

Trovandosi sul Daily Mail, ovviamente, tutto l’articolo in questione è incentrato sulla Gran Bretagna e su tante cose che sicuramente riescono ad assaporarle in pieno solo i lettori britannici…però il fatto è che il 1957 pare davvero che fu sul serio un anno decisamente felice e non solo per l’UK ma per tutto l’intero Occidente (più Russia, ciòè l’allora URSS, che comunque considero parte dell’Occidente): gli USA furono nel pieno degli anni Cinquanta di Happy Days e di un presidente repubblicano con una politica economica di sinistra, la Germania ovest e l’Italia si stavano apprestando al cosiddetto “boom economico”, l’URSS metteva in orbita il primo satellite artificiale e cominicava il cosiddetto “disgelo”con gli USA e la NATO…

https://it.wikipedia.org/wiki/1957

Prima che trovassi il seguente testo, ricordo bene l’impressione di una certa serenità che ho sempre avuto di fronte ai mass media di quell’epoca precisa, che fossero magari siparietti pubblicitari animati francesi trasmessi in palinsesti tv notturni dimenticati  oppure riviste italiane dell’epoca trovate nelle cantine, riviste popolate oltre che da Amintore Fanfani anche da Jayne Mansfield e Brigitte Bardot. E proprio in un’Italia nell’anno di elezioni politiche somiglianti a una siesta messicana, alla televisione iniziò il “Carosello”, vennero messe in commercio le prime auto utilitarie “per tutti” come le Fiat 600 e Nuova 500 (stavolta davvero per le classi popolari e non per finta come successe con la Fiat 500 “Topolino” del 1936), e il “maggiolone” VW, la 2CV e la Citroen DS “Squalo” cominciarono a diffondersi rispettivamente dalla Germania ovest e dalla Francia dopo essere rimaste sotto chiave almeno dal 1939.

Al di là di questo, io non so se l’autore Dominic Sandbrook (https://www.dailymail.co.uk/news/article-4150296/Yes-1957-really-happiest-year-ever.html) o quei ricercatori di cui scrive abbiano mai pensato alla possibilità di cicli storici; il 1957 fu l’anno in cui “doveva ancora tutto accadere” poiché fu il primo in cui si lasciarono davvero alle spalle gli anni  che sfociarono nella cosiddetta “seconda guerra mondiale”, venne lasciata dietro quell’epoca cinica che portò al 1929, agli anni Trenta e ai disastrosi anni Quaranta. Epoca cinica la quale non potè imparare nulla dal 1957 semplicemente perché allora si trovava ancora nel futuro e non potè imparare nulla da quell’ ALTRO 1957, all’ inizio inizio della Belle Epoque situato nel pieno degli anni Ottanta del XIX secolo perché ormai troppo indietro nel passato.

 

Sì, il 1957 fu davvero l’anno più felice di sempre! Questo è ciò che hanno scoperto dei ricercatori e, come sostiene uno storico, la nostra epoca cinica potrebbe imparare tanto dal suo ottimismo

Qual’è stato l’anno recente più felice per la Britannia? Gli storici battibeccano da anni per cercare una risposta a questa domanda, ma ora una squadra della Warwick University sostiene di averlo scoperto. L’anno migliore della nostra storia moderna, affermano, è stato il 1957.

A prima vista, questa potrebbe sembrare una scelta strana: il 1957 fu l’anno in cui Harold Macmillan divenne Primo Ministro, Paul McCartney incontrò per la prima volta John Lennon, Stanley Matthews giocò la sua ultima partita per l’Inghilterra e Patrick Moore apparve per la prima volta nella televisione britannica.

Fu anche l’anno in cui la regina diede il suo primo messaggio natalizio televisivo ed Elvis Presley registrò il suo primo numero uno britannico, All Shook Up.

Harold MacMillan divenne primo ministro nel 1957 sostenendo “non siete mai stati tanto bene!”.

Ciononostante, non fu in alcun modo uno degli anni iconici della storia moderna.

Nessuno ha mai scritto un libro che celebra gli eventi e le conquiste del 1957, come s’è fatto con anni importanti come il 1914 (l’inizio della prima guerra mondiale), il 1945 (la fine della seconda guerra mondiale) o il 1989 (la fine della Guerra Fredda) [o anche il 1968 o il 2001…]

Ma i ricercatori di Warwick sono irremovibili. Dopo aver setacciato circa otto milioni di libri pubblicati tra il 1776 e il 2009, e contando l’uso di “parole positive” come “pace”, “pacifico”, “divertimento” e “felicità”, affermano che tutte le prove suggeriscono che il 1957 rappresenta il picco, il vero Everest del nostro benessere nazionale.

Avendo passato un sacco di tempo a scrivere sulla Gran Bretagna dagli anni Cinquanta, potrei avere qualche dubbio sui loro metodi di ricerca, ma non posso essere in disaccordo con le loro conclusioni.

E anche se i sedicenti progressisti possono amare il mondo gentile e ordinato degli anni Cinquanta in Gran Bretagna, penso che potremmo imparare molto dai tempi degli arredi G-plan, delle radio in bachelite e delle case angolari di Lione.

Per i giovani [non solo per i giovani] di oggi, la Gran Bretagna del 1957 sembra appartenere alla storia antica. Era una terra di terrazzi affumicati e di pub di quartiere, di uomini incappottati [e con i cappelli] con le loro pinte di mite e di casalinghe con il velo che spazzava i loro passi, un paesaggio che svaniva di piccioni e stagni, Muffin The Mule e Hancock’s Half Hour.

Per i giovani moderni la fine degli anni ’50 sembra storia antica.

Non tutto era perfetto, ovviamente. Nessuna società lo è mai stata. La Gran Bretagna alla fine degli anni Cinquanta aveva poco tempo per persone che erano diverse, per immigrati, gay e lesbiche, o per coloro che non erano proprio in grado di adattarsi. Se avessi camminato per alcune strade nel 1957, avrei visto dei cartelli con su scritto “Niente cani, niente irlandesi e niente negri.”

Però è un po’ troppo poco per schernire i presunti fallimenti dei nostri predecessori. Molto meglio, penso, imparare da quello che avevano di buono – e la verità è che nel 1957, in Gran Bretagna c’erano un sacco di cose giuste.

Forse la cosa più sorprendente, considerato il fatto che tanti di noi sono disgraziati nel 2017, è ciò che una volta eravamo persone allegre e ottimiste. Erano passati solo 12 anni dalla fine della seconda guerra mondiale e alcune città e città erano ancora segnate dai danni delle bombe.

Eppure, dopo gli anni di austerità del dopoguerra, il grande motore del consumismo aveva già cominciato a ruggire. Nel 1957, i primi bar “express”, come li chiamavano allora, si stavano diffondendo nell’Inghilterra meridionale, mentre i primi gruppi di skiffle stavano trovando un pubblico entusiasta.

Le vendite di automobili, televisori e elettrodomestici in vendita a High Street erano a livelli record: entro la fine del decennio otto famiglie della classe operaia su dieci possedevano un televisore e tre su dieci possedevano una lavatrice; quando fino a pochi anni prima praticamente nessuno ne possedeva neanche uno.

Per dirla in modo spiccio, la vita stava migliorando ad un ritmo sorprendente.

Solo da vent’anni la Gran Bretagna era affondata nelle profondità della Grande Depressione, eppure milioni di persone ora godevano di comfort e piaceri – una nuova casa, una nuova macchina, forse anche una vacanza all’estero – cose che una volta sarebbero state quasi inimmaginabili.

In effetti, essere giovani nel 1957 era un paradiso. Era un paese con piena occupazione, dove si poteva uscire da un lavoro lunedì pomeriggio e trovarne uno migliore martedì mattina, dove gli stipendi erano alti e costantemente in aumento.

Nessuna generazione nella storia aveva mai prima goduto della libertà finanziaria e personale degli adolescenti del 1957.

Come disse a un intervistatore un ragazzo della classe operaia di Coventry: “Ogni settimana comprerei almeno due o tre singoli di musica. C’erano così tanti bei lavori ben pagati per adolescenti legati all’industria automobilistica. Ogni settimana mi basta una manciata di sterline, per i vestiti, per uscire fuori la sera e, soprattutto, per la musica. “

Niente di tutto questo andò perduto col nuovo premier eletto quell’anno Harold Macmillan, il quale, anzi, si fece vedere positivamente appagato dalla nuova società dei consumi. Senza dubbio questo spiega le sue famose parole dette a Bedford, “non siete mai stati meglio!”

“Siamo sinceri”, disse il primo ministro alla folla, “la maggior parte della nostra gente non se l’è mai passata così bene. Andate in giro per il paese, andate nelle città industriali, andate nelle fattorie e vedrete una prosperità che non abbiamo mai avuto nella nostra vita, né mai nella storia di questo paese “.

Gli intellettuali di sinistra danno alla Gran Bretagna degli anni Cinquanta una fama ingiustamente cattiva sostenendo che era soffocante

All’epoca, naturalmente, le persone presumevano che la loro nuova prosperità avrebbe potuto renderli sempre più felici.

Mentre la fine degli anni Cinquanta diventavano gli anni Sessanta, sognavano pacchetti salariali sempre più grandi, auto sempre più sfolgoranti, elettrodomestici sempre più elaborati, vacanze sempre più esotiche.

Sicuramente, si dicevano, la vita degli inizi del XXI secolo sarebbe stata un Paradiso, libero da malattie, tristezze e ansie.

Bene, sappiamo quanto si fossero sbagliati. In verità – oltre all’ottimismo e all’inizio inizio del consumismo, forse la qualità più preziosa che definì la Gran Bretagna del 1957 fu il senso di comunità.

Questo, più di ogni altra cosa, è ciò che distingue quel mondo dal nostro: un senso di appartenenza, di vicinato, di una società stabile, stabile, felice.

Si trattava di un paese con una grande mobilità sociale, in cui i bambini della classe operaia più brillanti potevano, dopo la scuola dell’obbligo, aspirare a un posto all’università, a un buon lavoro e un reddito costante.

Però, al tempo stesso, non era una società schiava dell’ingordigia e dell’ambizione; né era una società di individualisti rampanti, che conoscevano il prezzo di tutto e il valore di nulla.

A questo proposito, ciò era altrettanto vero nelle prospere periferie meridionali così come negli stereotipi delle calde e omogenee strade dell’Inghilterra settentrionale. Così, quando i ricercatori studiarono il fiorente borgo di Woodford nel 1957, in quello che oggi è il nord-est di Londra, furono colpiti dal forte spirito di comunità che si respirava allora.

La gente andava in chiesa e nei club insieme. Andavano d’accordo con i loro vicini, e si sentivano rassicurati che i loro concittadini condividessero la loro cultura e i loro valori.

«C’è uno spirito molto amichevole», osservò una casalinga, una certa mrs Noble. ‘Penso di appartenere a una calda comunità ‘.

Stava parlando di Woodford, ma avrebbe potuto facilmente parlare della Gran Bretagna tutt’intera.

In alcuni ambienti culturali, la Gran Bretagna degli anni Cinquanta subisce una stampa ingiusta. Gli intellettuali di sinistra, per esempio, sono spesso pronti a tacciare quegli anni come soffocanti, stagnanti e reazionari, sostenendo che invece gli anni Sessanta erano più liberi e sbarazzini.

Questo mi ha sempre colpito come un’assurdità assoluta. Sì, la Gran Bretagna degli anni Cinquanta era un paese patriottico e moralmente conservatore, non privo di difetti e pregiudizi.

Ma era anche una società immensamente stabile, prospera e ottimista, perfettamente bilanciata tra progresso e continuità, tra entusiasmo per il cambiamento e rispetto per la tradizione.

Con i loro ricordi di guerra di austerity, la maggior parte delle persone erano troppo sensibili, troppo consapevoli dalle avversità, per condividere le nostre ossessioni delle novità e delle celebrity. Sapevano che la vera felicità spesso si trova nella semplicità e nella stabilità, valori che invece in questi ultimi decenni abbiamo ampiamente dimenticato.

A Woodford nel 1957, venne intervistata una donna la cui vita forse sembrerebbe orribilmente noiosa a moltissimi giovani di oggi.

“Alla fine della giornata,” quella donna osservò, “ricordo tutte le operazioni di lucidatura e pulizia, lavaggio e stiratura, che dovranno essere ripetute da capo, e come molte altre casalinghe vorrei che la mia vita potesse essere un po ‘più eccitante a volte.”

“Ma quando il caminetto alla sera scoppietta, quando la casa brilla di pulito, allora mi sembra che questa sia forse la strada per la vera felicità.”

Le nostre vite di adesso sono tanto più felici e piene della sua, con tutti gli stress, le inquietudini e le ansie fastidiose accompagnate dal flusso ininterrotto di aggiornamenti dei social network, delle e-mail e gli avvisi di Twitter? Mah.

In effetti, quando visionate cinegiornali e film di quei giorni, e vedete la semplice gioia della gente che si sdraia a prendere il sole sulla spiaggia di Blackpool, salutando agitata dai finestrini del treno, chiacchierando affettuosamente con i vicini all’angolo della strada, o lanciando i cappucci in alto alle partite di calcio , è difficile non provare una punta di rimpianto per la nostra innocenza perduta.

Non possiamo tornare indietro, naturalmente. I giorni di Dixon Of Dock Green e il fumo di pipa nei pub sono spariti, per non tornare mai più.

Ma se potessimo imparare ancora una volta i valori di semplicità, stabilità, patriottismo e comunità, allora forse anche noi potremmo riconquistare la tranquilla soddisfazione che caratterizzava la vita di tante persone in quel mondo scomparso del 1957.





E dopo il ritorno di Carosello torneremo ad andare a letto presto?

3 05 2013

La sera del 6 maggio, su Rai uno, ricomincia Carosello, dopo trentasei anni, il contenitore televisivo di sketch e siparietti pubblicitari, andato in onda in Italia, nell’era pre-spot e pre-tv commerciale, dal 3 febbraio 1957 (ma inizialmente era previsto il 1°gennaio) al 1°gennaio 1977. Ovvero, da quegli anni cinquanta che – come detto diverse volte su questo blog – hanno visto iniziare quel mondo mass-mediatico occidente-centrico del “dopo seconda guerra mondiale” (con tutti i suoi cliché) da cui siamo tuttora dipendenti. Quell’universo, quel punto di vista a cui ci riferiamo per leggere la realtà, in cui ci troviamo ancora dopo sessant’anni (Stati Uniti nostri alleati nella NATO assieme alle altre nazioni occidentali e Israele, politica internazionale incentrata sul Medioriente, musica pop-rock di grande consumo, le stelle del cinema anglofono, il predominio della lingua inglese, la televisione e i telegiornali, il Festival di Sanremo, Miss Italia…)

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La traiettoria di Carosello si è  interrotta con la fine della paleo-televisione in bianco e nero a due canali (la tv del Maestro Manzi, dei romanzi sceneggiati e delle riduzioni di opere teatrali) e l’inizio della neo-televisione, la tv commerciale – la sotto-era in cui ci troviamo tuttora, da cui ebbe origine l’impero Fininvest-Mediaset, quando si è passati dalla proverbiale frase rivolta dai grandi ai bambini dell’epoca,”E dopo Carosello/tutti a nanna”, al non andare “a nanna” per guardare le donnine semisvestite (il programma “Spogliamoci insieme” su TeleTorino International è proprio del 1977, anno di fine Carosello) che pubblicizzavano prodotti per i famosi sponsor della trasmissione, termine presto dilagato nell’era post-Carosello, l’era dell’auditel e degli indici di ascolto per valutare complesse strategie di marketing a seconda del target degli spettatori nelle varie fasce orarie. Tutto questo iniziato nei famosissimi – e ingiustamente rimpianti – anni ottanta, l’inizio della finanziarizzazione spettacolare dell’esistenza, del trionfo della merce, dello shopping, dell’esistenza commerciale, degli spot veloci, aggressivi, ben rappresentati da uno dei capostipiti di questa new wave post-caroselliana, cioè il famoso spot della Denim, quello dell’ “uomo che non deve chiedere mai”.

L’era del riflusso post-anni settanta, del Thatcherismo-Reaganismo, degli yuppies (i quali sarebbero arrivati di lì a qualche anno), del capitalismo neo-liberista sostenuto dalla finanza di Wall Street, non poteva prevedere un contenitore di messaggi promozionali lunghissimi, buonisti, sognanti, amichevoli verso lo spettatore, qual era Carosello. Il quale terminò il suo percorso ventennale (1957-1977) proprio all’inizio di un anno che vide un acuirsi delle tensioni ideologiche in Italia, e che si estesero anche a nuovi costumi e culture giovanili. Carosello si concluse quando iniziò un anno di confusione colorata e violenta, un fenomeno che i metereologi conoscono bene, quando si scontrano due correnti di diverso moto e temperatura; nel caso del settantasette, la corrente ideologico-sociale-impegnata degli anni settanta e la corrente anti-ideologica, privata, disimpegnata degli anni ottanta, i quali dovevano ancora iniziare ma erano già nell’aria.

Carosello fu la prima vittima degli anni ottanta, giunti dall’allora futuro nel gennaio ’77, per ammazzarlo.

E adesso, in questo confuso 2013, durante il perdurare di una crisi la quale potrebbe confluire nella morte del neo-liberismo e del disimpegno egoista, a-sociale, violento e aggressivo che porta con sé, ecco che, poco dopo la dipartita della permanentata inglese simbolo della svolta neoliberista degli anni ottanta, ecco che viene annunciato il ritorno in Rai di Carosello, la prima vittima di quegli anni, come abbiamo appena detto.

Per concludere, non so se, inoltre, questo revival  possa essere paragonato a quell’assenza di novità davvero originali, caratteristica propria dei nostri tempi finali, post-moderni, dove tutto ciò che è originale sembra già essere stato già tutto inventato, e possano essere dati solo le ri-proposte rimodernate, in cui esiste solo la citazione e non la creazione originale e originaria.

Mi viene da pensare al ritorno dei dischi di vinile nelle edicole, qualche tempo fa, alle versioni post-moderne anni novanta-duemila, del Maggiolone Volkswagen, della Mini Cooper, della fiat 500 e, per quanto riguarda la musica di consumo, di tutta quella serie di gruppi rock-pop che non fanno altro che riproporre anni ormai lasciati alle spalle, ma che si vogliono sempre riesumare e non si ha mai il coraggio di seppellire.

Buon ritorno di Carosello a tutti e, mi raccomando, andiamo poi tutti “a nanna”!





Appunti tratti dal mio quaderno – Special

29 01 2013

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Il filmato di Spot80, lo spot del panettone Galup – il panettone piemontese dalla crosta zuccherina di nocciole – quei tipici ambienti torinesi/pinerolesi, dai portici alti, signorili/risorgimentali, vagamente francesi/mitteleuropei, con la macchietta di Macario, dal forte accento piemontese, che però è resa tipo cartone animato (“cartone” deriva da “cartoon”), è seduto al tavolino, imbandito con una tovaglia bianca, fuori da uno di quei caffè della città, dove si serve il bicerin, e il Galüp – Macario calca ulteriormente la pronuncia piemontese del nome, praticamente mettendo una dieresi sopra la u – è sopra a una specie di piedistallo rialzato di metallo, sulla tavola imbandita. Tutto tipo “cartone animato”, anche se esistono in Rete delle immagini di Macario, le quali suggerirebbero abbia interpretato in carne e ossa lo spot.

Trasmissioni Tv degli anni ottanta, trasmesse alla proto-televisione a colori di allora, dai televisori pesantissimi, ingombranti, Blaupunkt o Grundig, dove comparivano ancora “mostri sacri” del vecchio avanspettacolo italiano come Renato Rascel e, appunto, Macario.

Sotto il video, presentato in un canale YT, c’è scritta un’informazione tipo “documentazione storica”, cioè che si poteva trattare di uno di quegli spot cosiddetti “areali”, i quali venivano trasmessi dalle reti Fininvest, esclusivamente in alcune regioni, in questo caso il Piemonte. Eppure io, me lo ricordo, da bambino sono convinto di averlo visto quello spot in Liguria [la quale, però, confina col Piemonte, quindi vicina all’ “area” in questione.]

Quando uno vede uno di quei filmati di Spot80 che non vedeva da una vita, particolari completamente dimenticati, i quali poi risalgono alla mente una volta rivisto di nuovo lo spot dopo tanto tempo; lo spot, oppure la sigla di un programma Tv dimenticato, di tanti anni prima. Che magari non se lo ricorda nessuno tranne te.

La piemontesità di quando quel “Macario cartoon” dice “A l’è propi bun”: già all’epoca ricordi “all’antica”, di quando la vita e la storia avevano un ritmo diverso, meno veloce e meno affollato.

Il Galup è del 1922. lo spot è del 1988, la morte di zio Oreste (la prima morte di un parente che m’ha colpito) è del 1988, mio zio era piemontese, nato nel 1922.