Che Guevara e i due Cesare Battisti

Patria o morte!

(Cesare Battisti e Che Guevara)

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Due giorni dopo l’esplosione avvenuta a Parigi, è stato catturato in Bolivia lo scrittore e politico Cesare Battisti, latitante da trentotto anni per vicende criminali-terroristiche, legate all’ambiente dell’estrema sinistra extra parlamentare, di cui fu responsabile ai tempi della sua giovinezza: la latitanza di Cesare Battisti fuori dai confini italiani si è svolta tra l’Europa (Parigi, appunto, terra d’esilio di altri estremisti politici della stessa epoca) e il Sudamerica.

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https://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Battisti_(1954)#L’arresto_in_Bolivia_e_l’estradizione_del_2019

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Quello stesso Sudamerica che, più di cinquant’anni fa, vide la latitanza di un altro protagonista della lotta politica, da molti ancora oggi visto come un “estremista rivoluzionario”: Ernesto “Che” Guevara, catturato in Bolivia l’8 ottobre 1967 (per poi essere ucciso in un’esecuzione il giorno successivo)…

https://it.wikipedia.org/wiki/Che_Guevara#Cattura_e_uccisione

Ci possono essere coloro che si spingono a paragonare la vicenda di Cesare Battisti con quella di Che Guevara di cinquant’anni prima  ma, com’è facilmente prevedibile, sono dileggiati e ridicolizzati, anche se poco più di quindici anni, la rivista on line Carmilla organizzò una raccolta di firme di stima e solidarietà a Cesare Battisti a cui parteciparono molti giovani intellettuali di sinistra e hanno espresso parole di comprensione e solidarietà per lui persino un certo numero di personalità della cultura francese e sudamericana, parole spesso accompagnate dalle loro firme.

Vediamo quindi come Cesare Battisti sia un personaggio ambiguo, che divide: o lo si considera un perseguitato politico o un latitante che deve fare i conti con la giustizia dopo averla tanto sfuggita, è uno che spacca l’opinione pubblica, molto meno di Che Guevara, anche se…

…c’è da dire che, fino alla sua esecuzione, pure lo stesso Guevara era un personaggio che o lo si amava o lo si odiava, non lasciava indifferenti: non penso infatti che, all’epoca, quel guerrigliero fosse considerato innocuo un po’ come lo si considera oggi, con la sua effigie stra-conosciuta divenuta quasi un’immagine per uso commerciale come la Gioconda di Leonardo. Solo la morte di Guevara e il tempo trascorso ha livellato il giudizio dell’opinione pubblica nei suoi confronti: giudizio che oggi è molto difficilmente negativo così come, per una buona metà della popolazione, lo era invece negli anni sessanta, nel pieno delle scorribande guerrigliere per “liberare i popoli dell’America Latina sotto il giogo dell’oppressione”.

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Così come è molto difficilmente negativo – anzi c’è un coro unanime di elogio e stima nei suoi confronti ed è considerato un eroe nazionale – il giudizio verso un altro Cesare Battisti (anzi, il primo Battisti, l’altro è il Cesare Battisti di oggi): il professore e deputato socialista, di Trento quando Trento era ancora sotto l’Austria, il quale, poco dopo lo scoppio della Grande Guerra nel 1914, fuggì in Italia per arruolarsi come alpino tra le forze armate che combattevano l’Impero austro-ungarico  – quello di cui Battisti faceva parte, ne era cittadino e anche deputato al parlamento – per far sì che Trento e Trieste (terre cosiddette “irredente”) tornassero a essere italiane.

Di certo, anche il primo Cesare Battisti era considerato un pericoloso estremista politico, un traditore e terrorista latitante da stanare e acciuffare però, ovviamente, non erano gli italiani a considerarlo tale ma gli austriaci (per cui avevano anche spiccato un mandato di cattura per fallimento monetario e lo consideravano un “bancarottiere”).

Nel 1916, mentre combatteva come alpino, venne catturato da una brigata di suoi ex concittadini in divisa militare austro-ungarica e tradotto al tribunale militare che ne decretò la condanna a morte tramite impiccagione e non fucilazione come Battisti aveva richiesto.

https://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Battisti#La_cattura

Il primo Cesare Battisti fu catturato in Trentino l’11 luglio 1916 e venne ucciso dal boia il giorno seguente, 12 luglio.

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/4/44/Cesare_Battisti_morto.jpg

Una cinquantina di anni dopo, Ernesto “Che” Guevara fu catturato in Bolivia l’8 ottobre 1967 e ucciso dal boia il giorno seguente, 9 ottobre.

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A circa cinquant’anni dalla cattura e morte del Che e a poco più di cento dalla cattura e morte del primo Cesare Battisti, ecco che il 13 gennaio, dopo lunga latitanza, viene catturato in Bolivia il secondo Cesare Battisti e un po’ di gente in questi anni ha associato mentalmente il secondo Battisti al Che, entrambi latitanti sudamericani, definendoli o entrambi eroi o entrambi farabutti (termine che gli austriaci avrebbero utilizzato anche per il primo Battisti, mentre gli italiani l’avrebbero definito, e lo definiscono, eroe).

https://www.liberoquotidiano.it/news/editoriali/13263396/sono-tutti-inchinati-a-che-guevara-celebre-farabutto-l-editoriale-di-vittorio-feltri.html

Oggi siamo in piena epoca di farsa e confusione mediatica oltre che di anti-storicità (per quanto la Storia tuttora ci perseguiti e condizioni) e perciò la vicenda del secondo Cesare Battisti ci appare tutt’altro che mitopoietica (= generatrice di miti) e quasi cristica, come invece le prime due vicende a cui quest’ultima ci sembra misteriosamente legata anche se ovviamente solo a livello archetipico-simbolico.

E così la storia non si ripete completamente per la terza volta e oggi il secondo Cesare Battisti non è stato giustiziato ma farà solo l’ergastolo perché, per fortuna, nel nostro ordinamento penale l’esecuzione non è più prevista e, altrettanto per fortuna, non siamo in legge marziale.

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http://www.opinione-pubblica.com/bolivia-decollato-laereo-che-portera-in-italia-cesare-battisti/

Quello degli “anni di piombo” è un periodo complesso e ancora troppo pieno di ombre per poter essere trattato in maniera sintetica. Alle azioni genuinamente rivoluzionarie e alle lotte del movimento operaio italiano e dei gruppi giovanili sia di sinistra che di destra, si sono spesso mescolate ed affiancate condotte delinquenziali ed operazioni dei servizi segreti nazionali e stranieri che hanno affogato nel sangue decine di vite, stabilizzando gli assetti di potere politici, affaristici e criminali.

Cesare Battisti è una delle tante figure opache, a metà tra la criminalità e la lotta armata, che hanno attraversato quella stagione, lasciandosi dietro una scia di morte, di odio ma anche di misteri.

Qualche considerazione su chi si è azzardato anche solo a tentare di fare un accostamento assolutamente ridicolo ed improponibile. La distanza tra La Higuera e Santa Cruz è ben più ampia dei 150 km in linea d’aria che le separano. Tra il 1967 e il 2019 esiste un abisso. E fare paragoni tra Che Guevara e Cesare Battisti, vuol dire non essere semplicemente somari ma cretini fosforescenti con qualche lampo di imbecillità (ci scusiamo con Marinetti per tale prelievo forzoso). Se le alture della Bolivia rendono faticoso il respiro, i fanatismi fanno diventare claudicante e miope la memoria.

Considerazioni, fantasie, coincidenze su Donald Trump & co

Dal momento che a scrivere un’analisi seria c’ha già pensato il mio complice Mediter, pubblicando un articolo che vi invito a leggere, io qui mi limiterò ad aggiungere un po’ di frizzi e lazzi, di quisquilie e pinzillacchere, come avrebbe detto il principe della risata Antonio De Curtis in arte Totò.

Di che stiamo parlando? Ma delle elezioni presidenziali USA del 2016 naturalmente, quelle combattute forsennatamente tra Hillary Rodham Clinton e Donald John Trump nel corso dell’anno in corso, un 2016 ormai in dirittura d’arrivo.

Mi ricordo che si era cominciato a parlare della ri-candidatura di Hillary Clinton alla Casa Bianca già nel 2013, a inizio secondo mandato Obama, dopo che quest’ultimo l’aveva defenestrata dal posto di segretario di stato che aveva tenuto per tutto il primo mandato, quel mandato che, sfidando Obama alle primarie democratiche USA del 2008, avrebbe dovuto farlo proprio lei ma poi le cose erano andate diversamente e le primarie si erano risolte a favore dell’afroamericano.

Nel 2013, i giornali già parlavano di come le elezioni di tre anni dopo sarebbero state dominate dalla sfida tra la femminista ex first lady che aveva mantenuto il nome del marito ex presidente perchè “le facilitava la vita” e Jeb Bush, fratello dell’ex presidente George W. Bush. Insomma, corsi e ricorsi, la dinastia Clinton e la dinastia Bush per l’ennesima volta.

Le cose, come ormai sappiamo fin troppo bene, non sono andate così come si prevedeva nel 2013-2014. Nel giugno del 2015, il magnate immobiliarista Donald Trump detto “The Donald” – proprietario di un grattacielo a forma di torre a New York, di un casinò, di chissà quante auto e abitazioni e beni e di aerei boeing personali – annunciò di candidarsi come presidente degli Stati Uniti.

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Trump me lo ricordo negli anni novanta, che era famoso di luce riflessa perchè, in Italia, era più famosa di lui colei che lo aveva sposato, una certa Ivana Trump: mi viene in mente che su tutti i rotocalchi come Novella 2000, Eva Tremila, Grand Hotel, Stop ecc si parlava a profusione di questa Ivana Trump, di come fosse riuscita a impalmare questo super-riccone americano, di come da quasi povera fosse diventata stra-ricca, e io mi ricordo che, dalle mille immagini su queste pubblicazioni da sala di aspetto, questa Ivana mi sembrava una con l’hobby della chirurgia estetica, e non la vedevo nemmeno come una troppo intelligente. Spesso, su queste foto, la si vedeva accompagnata al suo consorte, Donald Trump, un allora quarantenne che me lo ricordo quasi sempre fotografato in smoking e farfallino, dal viso largo e guanciottoso, con lo sguardo solitamente un po’ corrucciato.

L’annuncio di Trump, durante la conferenza stampa nel giugno del 2015 di partecipare alla corsa per la Casa Bianca come venne accolto? Con applausi? No, con risate!

Infatti il PERSONAGGIO TRUMP, negli Stati Uniti, nonostante la sua fama decennale di super-benestante, era, fino a quel giugno, conosciuto per essere più che altro una star televisiva o poco più, uno che presentava reality show come “The apprentice” dove si sfidavano aspiranti imprenditori ed era lui, Trump, a suo insindacabile giudizio, a farli proseguire con le successive puntate del programma oppure a farli uscire, a fargli interrompere la gara.

Certo, poteva capitare che “The Donald” intervenisse negli affari politici statunitensi  attraverso i mass media ma, più che altro, era per avvallare teorie del complotto come quella che il presidente Obama non fosse nato sul territorio USA e quindi non poteva fare il presidente. Trump era considerato un COMPLOTTISTA, amico di complottisti, uno che, dicevano, aveva come sua specialità solo quella di dare aria alla bocca.

Eppure questo assoluto outsider della politica washingtoniana  – che tutti i mass media principali attendevano da un momento all’altro dicesse “va beh gente, ho scherzato, ora posso tornare ai miei affari” – riesce a sbaragliare uno dopo l’altro i candidati dell’establishment repubblicano durante le primarie: il predestinato Jeb Bush della dinastia Bush (figlio e fratello di due ex presidenti), che aveva ricevuto una cifra record per la sua campagna elettorale, e la coppia di ispano-americani Ted Cruz (un superconservatore religioso) e il giovane Marco Rubio (nient’altro che una specie di robot il quale ripeteva a pappagallo la politica neocon antisociale e guerrafondaia.)

Com’è come non è, alla fine Donald Trump si aggiudica le primarie repubblicane (nonostante a un certo punto si pensò persino di bloccarlo con una candidatura indipendente di un uomo totalmente del sistema come Michael Bloomberg) e, a inizio estate, è ufficializzato come candidato repubblicano per la corsa alla Casa Bianca.

E dall’altra parte cosa succedeva, dalla parte delle primarie del partito democratico? Per la prima volta dopo chissà quanto tempo in America, aveva buone opportunità di vittoria (e quindi di diventare lo sfidante dei repubblicani) un uomo proveniente dal mondo dei sindacalisti (cosa che non succedeva dai primi anni ottanta), che si dichiarava pubblicamente SOCIALISTA ed era una super-colomba per quanto riguarda la politica estera: Bernie Sanders, solo BERNIE per gli amici.

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Una giovane Hillary e un giovane Bill, negli anni settanta, tifano Bernie 2016

In molti stati Sanders è riuscito a sorpassare la Clinton, il socialista minacciava di vincere le primarie e allora gli si sono messi i bastoni tra le ruote, tant’è che poi sono usciti documenti che hanno dimostrato come l’organizzazione del partito democratico abbia avvantaggiato la candidata del sistema Clinton a spese dell’anti-sistema Bernie: questa documentazione si è spinta a tal punto di certezza da far sì che la presidente delle primarie democratiche fosse costretta a dimettersi.

A metà anno si è capito che queste non erano elezioni normali.

I repubblicani avevano mal digerito la vittoria di Trump, soffrivano di mal di pancia, gli facevano le pulci, tentavano di far sì che la sua corsa non proseguisse, non sapevano come ma ipotizzavano di sostituirlo in qualche modo.

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I democratici sopportavano la Clinton, la maneggiona, la lady Macbeth del 2000, la strega dell’ovest e dell’east (coast), ciononostante era lei la beniamina dei mass media, era lei la spalleggiata da centinaia di giornali, quella che era destino fosse la prima presidentessa della storia degli USA, non era certo destino che L’ALTRO diventasse presidente USA, inquilino della Casa Bianca, il populista demagogo, quello spalleggiato da nemmeno dieci giornali e da un pugno di complottisti su internet, quello che incassava le simpatie del Ku Klux Klan, quello che aveva scimmiottato un giornalista disabile che l’aveva irritato.

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Trump fa il verso a un disabile.
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Gente del Ku Klux Klan, per la supremazia della razza bianca, simpatizza per Trump.

Non poteva certo diventare presidente degli United States colui che era considerato alla meglio un clown e alla peggio un Mussolini-Hitler redivivo, uno che somigliava a gente come l’italiano Borghezio e il russo Zhirinovskij, uno che diceva di volere regolare l’immigrazione di islamici e messicani con delle leggi peggio della nostrana Bossi-Fini e volendo addirittura costruire un muro tra Stati Uniti e Messico.

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Borghezio, il Trump italiano, o padano.
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Zhirinovskij, il Trump russo.

I mass media generalisti e mainstream (CNN, ABC, NSB, BBC…) minimizzavano le scoperte di Wikileaks sulla corruzione di Hillary (da alcuni detta simpaticamente “Killary”), gli scandali della Fondazione Clinton, le marchette alla grande stampa, le inchieste sui giri pedofili che lambivano il marito Bill, i capi di staff come John Podestà – già famoso per parlare di UFO e alieni – alle prese con il satanismo e l’arte sanguinaria, intanto si aprivano e chiudevano inchieste dell’FBI sulle e-mail illegali di quando era segretario di stato, con uomini del Federal bureau che si veniva a sapere chiamavano letteralmente Hillary “L’anticristo”, Julian Assange che diceva come “Killary” fosse dietro alle guerre di Obama quando era suo ministro degli esteri e che i Poteri Forti avrebbero fatto carte false per non far vincere Trump e far vincere LEI. Prendendo direttamente le consegne delle agenzie internazionali di notizie come la Reuters, per il Corriere della sera, La Repubblica, La Stampa ecc, la moglie di Bill e  mamma di Chelsea era la santa del politicamente corretto contro il riccastro demagogo che scimmiottava gli handicappati, lo xenofobo, ovviamente POPULISTA, misogino (come ben mostrava un video del 2005 ben pubblicizzato su tutti i canali mainstream, dove Trump offendeva tutte le donne dicendo l’orrenda cosa che per un riccone è molto più facile molestare una donna rispetto a un poveraccio) e poi voleva buttare a calci nel sedere messicani e islamici fuori dai confini degli States se fosse stato eletto mentre Hillary stava dalla parte di tutti, soprattutto delle minoranze perseguitate. D’altra parte, non era “Stronger together”, “Più forti insieme”, il motto della sua campagna?, che ben campeggiava quando Hillary era fotografata col suo candidato vice, uno squalo di Wall Street che era sembrato un pazzo pieno di tic durante il confronto tv col candidato vice di Trump, l’unico confronto tv dei candidati vice.

No, queste non erano elezioni normali, con Trump che su Twitter mandava un tweet dopo l’altro svillaneggiando la Clinton e dicendogliene di tutti i colori e quest’ultima, dopo che su internet erano uscite molte voci sulla sua salute malferma le quali dai mass media venivano rimandate al mittente come complottismo, si afflosciava poi improvvisamente come un soufflè mal cotto durante la commemorazione delle torri colpite dagli aerei e da allora si intensificarono le dicerie su Hillary che aveva un doppio, un clone che la sostituiva; con il vicepresidente Joe Biden che minacciava i russi di contromisure hacker, di guerra informatica perchè circolavano ipotesi sul coinvolgimento russo nell’influenzare il voto delle presidenziali e “The Donald” si sapeva bene quanto fosse stimato da Putin e qualcuno l’aveva anche soprannominato “The siberian candidate”, il candidato del Cremlino nientemeno, facendo il verso al titolo del film “The manchurian candidate”, quello che parlava di un candidato presidente USA psico-programmato per diventarlo fin dall’adolescenza.

Non erano elezioni normali, erano le elezioni USA più PUFFONESCHE che si fossero mai viste (per usare un aggettivo che il giornalista italiano free lance Piero Ricca utilizzò per le elezioni politiche italiane del 2006.)

Michael Moore, l’ex fustigatore di Bush e delle sue guerre, che continuava a tifare democratico anche dopo la debacle di Bernie Sanders e quindi stava per la Clinton, diceva che avrebbero votato per Trump anche moltissimi democratici delusi e che moltissimi elettori bianchi avrebbero votato per Trump – anche se non condividevano per nulla le sue idee e magari lo disprezzavano – perchè l’avrebbero utilizzato come UNA BOMBA MOLOTOV UMANA da scagliare contro il sistema di Washington, avrebbero utilizzato così il candidato che diceva agli Stati Uniti di non lasciarsi incantare più dalle false promesse della globalizzazione. E Moore, comunque, nonostante qualche amico lo tentasse di fare altrettanto – di usare Trump come bomba molotov contro il sistema – avrebbe detto no, avrebbe continuato a stare per Hillary, la quale, secondo lui, avrebbe stupito il mondo una volta eletta, sarebbe stata rivoluzionaria come papa Francesco.

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Micheal Moore in un sit in di protesta davanti all’ingresso della Trump tower.

Trump sarebbe stata la rivincita degli americani degli stati dell’America Profonda, quelli lontani dalle  east coast e west coast liberal e radical chic, quelli lontani da Silicon Walley e Wall Street, quelli col cappello da texano e con la macchina con le corna di bisonte e la Bibbia nel cruscotto assieme alla pistola, gli americani rozzi degli stati rossi anticomunisti nelle cartine alla tv che stupiscono i mass media nelle elezioni dai risultati a sorpresa: dopo il “negro” Obama una donna come e peggio di lui sarebbe stata troppo, ci voleva una reazione. Il mondo di Trump è quello del complottista sbraitante Alex Jones, delle armi libere e per tutti, dei giacconi di pelle nera e delle cose che esplodono fiammeggianti su sfondo nero, dei combattimenti di wrestling dove si urla e poi si rade a zero la testa di chi ha perduto la scommessa sul vincitore, è il mondo dell’hard rock e dell’ex attore e wrestler complottista Jesse Ventura, ex governatore del Minnesota e amicone di Trump; per non parlare poi dello yuppies serial killer Patrick Bateman, protagonista del romanzo “American psycho” di Easton Ellis, che ha come idolo proprio il Donald Trump degli anni ottanta.

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Christian Bale, che interpreta Patrick Bateman nel film “American psycho” tratto dall’omonimo romanzo, posa per una foto assieme a Donald Trump, di cui è fan lo yuppies serial killer assassino protagonista di romanzo e film.

Quando proverbialmente si dice che “La realtà supera la fantasia”, non si vuole intendere che nella realtà possono avvenire cose da film di fantascienza o fantasy ma che possono avvenire cose a cui non si avrebbe mai e poi mai pensato nelle proprie fantasie: non mi sarei mai immaginato, infatti, lo scenario qui descritto dove, dopo la vittoria di “The Donald”, gli adolescenti e i giovani americani sensibili, facili all’emotività e a essere feriti nei sentimenti (i cosiddetti snowflakes, fiocchi di neve, che mi ricordano gli EMO), erano bambini quando Obama divenne presidente e son sempre stati abituati alla sua dolcezza, adesso, ormai teenager, sono traumatizzati da Trump e dai suoi modi duri, spicci e venati di brutalità, e allora vengono organizzati per loro dei sostegni psicologici nelle scuole e nei college dove studiano  in modo da aiutarli dopo questo trauma derivato dal vedere il soft Obama sostituito da un Borghezio/Zhirinovskij americano, decisamente hard. Allo stesso tempo, vi sono le continue manifestazioni di piazza contro Trump, con arresti e violenze, dove menano le mani e lanciano roba i neri dei gruppi di protesta di Black Live Matters, quelli probabilmente finanziati dal filantropo George Soros, e a queste manifestazioni si intrufolano non si sa come anche gli snowflakes e dunque i sensibili e traumatizzati emo snowflakes e i picchiatori neri sono uniti nella lotta contro Trump, da non credere.

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Tra lo star system, tra le stelle di Hollywood dei rotocalchi glamour e patinati, solo pochi personaggi da “America profonda” (Clint Eastwood, Chuck Norris) si azzardavano ad ammettere e consigliare di votare Trump, tutte le altre star, in massa, erano pronte a votare e far votare Hillary Rodham Clinton. E anche qui la campagna elettorale è stata non normale, con un’artista pop come Madonna che prometteva una fellatio a chiunque avrebbe votato per la Clinton (e un elettore di Hillary ha pensato bene di andare a casa di Madonna a New York per sperare di ottenere il premio col risultato di farsi allontanare dal portiere), con l’erede (?!) della stessa Madonna, la musicista pop (?!) Lady Gaga, che s’è presentata a un comizio della sua beniamina facendo il gesto V di vittoria, vestita con uno strano abito nero e rosso che ricordava vagamente una divisa militare postmoderna.

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Selfie di Kim Kardashian con Hillary Clinton.
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Lady Gaga al comizio di Hillary Clinton.

E poi Jon Bon Jovi, Bono Vox, Bruce Springsteen, Jennifer Lopez, Meryl Streep, Katy Perry, Beyoncè, George Clooney, Kim Kardashian, Miley Cyrus, Natalie Portman, Britney Spears, le Spice Girls (ah no, quelle tifavano Tony Blair, vent’anni fa)…tutto il sistema delle star americane al gran completo, e degno di menzione speciale il grande interprete Robert De Niro che, in un video circolato su You Tube si rivolge direttamente a Donald Trump dicendo che lo prenderebbe volentieri a pugni in faccia.

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Ehi, dico a te, ce l’ho proprio con te, ti prenderei volentieri a pugni in faccia!

Naturalmente, il 9 novembre, è stato l’apice di tutto questo: ma come? Un candidato come Hillary, la regina del politicamente corretto, la paladina dei diritti civili e delle minoranze, pompata da tutti i media che contano, pompata dallo star system;  la sera prima delle elezioni i corrispondenti italiani nei comitati USA in Italia non riuscivano a trovare uno che fosse uno che ammettesse di stare per Trump, il populista demagogo xenofobo e misogino sembrava spacciato, il New York Times dava la Clinton all’ 85% di probabilità di vittoria, alcuni giornali e tv anche oltre il 90%… e poi il mattino dopo la surprise.

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C’è da dire che la visione di un Trump presidente USA, assieme a una presidente donna tipo la Clinton, sembrava aleggiare nell’aria da anni: sincronicità, coincidenze, premonizioni, visioni deformate del futuro. Prendiamo per esempio la bufala secondo cui i cartoni animati dei Simpson nel 2000 predissero Trump presidente: approfondendo scopriamo che in realtà si tratta di una MEZZA bufala.)

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Effettivamente, nell’episodio dei Simpson “Bart to the future”, andato in onda nel marzo 2000, Lisa è un presidente donna somigliante a Hillary Clinton che ha ereditato una situazione problematica dalla precedente presidenza di Donald Trump.
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L’effettiva BUFALA in cui viene spacciato che nel 2000 i Simpson predissero Trump presidente quando invece l’episodio da cui sono tratte le immagini risale al 2015, anno in cui era già ben nota la candidatura di Trump come presidente.

Nel febbraio scorso, quando il magnate era in testa alle primarie repubblicane, avevamo già dato un’ “allerta sincromisticismo”, pensando a un’apparizione di Trump nella parte di se stesso (una delle sue tante nei film di Hollywood) in “Home alone 2” (“Mamma ho perso l’aereo 2”) del 1993 e agli indizi sincromistici che sembrano alludere a una commistione tra l’allora candidato, la città di New York, il disastro dell’11 settembre, la statua della libertà e un possibile futuro – per adesso ignoto – in cui tutto questo in qualche modo si intreccerà e riemergerà a galla in modi ancora non prevedibili, un possibile futuro che si manifesta e si è già manifestato in passato con indizi, per adesso enigmatici ma che comunque alludono a qualcosa che avverrà o potrebbe avvenire. E si saprà che in passato gli indizi alludevano a una certa cosa quando questa cosa si sarà effettivamente manifestata.

Prendiamo il secondo film della serie Back to the future, Ritorno al futuro, tra l’altro  film ambientato in parte nel 2015, l’anno in cui Trump ha avanzato in pubblico la sua candidatura per la Casa Bianca. Come abbiamo detto, “The Donald” è stato l’ideatore di un reality show di successo chiamato “The apprentice” (L’apprendista) in cui si sfidavano aspiranti imprenditori sotto il suo insindacabile giudizio, e uno dei tormentoni di quel programma tv durato anni era “You are fired!”, “Tu sei licenziato!” annunciato da Trump a colui che era escluso dalla gara e doveva quindi uscire fuori dal reality show. Ebbene, una delle scene centrali di Ritorno al futuro II è proprio quando uno dei personaggi (il McFly padre del futuro, del 2015) viene licenziato per via telematica, e si vede “You are fired!” uscire da tutte le parti nella stanza di casa collegata telematicamente con l’ufficio.

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Per altri dettagli interessanti sulle sincro in “Ritorno al futuro” relative al momento presente, vedere il seguente link (in inglese):

http://subliminalsynchrosphere.blogspot.it/search?updated-max=2016-11-15T18:52:00Z&max-results=7

 

Ma decisamente il botto lo fa personaggio di Biff Tannen – centrale in Ritorno al Futuro II – in cui lo svolgersi degli eventi passa freneticamente dal 1955 al 1985 al 2015. Biff Tannen è il bullo persecutore dei McFly (padre e figlio) e, andando clandestinamente indietro nel tempo dal 2015 al 1955 intrufolandosi non visto nella macchina del tempo del dr. Brown, Tannen riesce a parlare al lui stesso più giovane di sessant’anni, donandogli un almanacco sportivo coi risultati dal 1950 al 2000. Il giovane Biff Tannen del 1955 riceve dunque dal vecchio Biff Tannen del 2015 quell’almanacco del futuro e, nel corso degli anni, diventa stra-ricco per via di tutte le scommesse sportive vinte grazie all’almanacco, creando una linea temporale alternativa, un 1985 alternativo in cui finisce il malcapitato Marty McFly che scopre come il Biff Tannen del 1955 sia diventato una specie di Donald Trump del 1985 (e, noi sappiamo, ciò è avvenuto grazie al viaggio nel tempo dell’ottantenne Tannen tra il 2015 e il 1955 con in mano l’almanacco dei risultati dal 1950 al 2000), un Tannen che spadroneggia impunito in città facendo il bello e il cattivo tempo, con tanto di casinò modello Trump plaza chiamato nel film Pleasure paradise.

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Il Biff Tannen bullo del 1955 alle prese con Marty McFly.
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Il Biff Tannen magnate stra-ricco del 1985 alternativo.
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Il Biff Tannen ottantenne del 2015.
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L’almanacco.

ALMANACCARE: http://www.treccani.it/vocabolario/almanaccare/

Fantasticare; stillarsi il cervello per trovare un espediente o per indovinare qualche cosa: seguitando a almanaccar tra sé che cosa mai potesse essere tutto quel rigirìo (Manzoni); non chiudeva occhio almanaccando dove egli potesse trovar denaro (Verga). ◆ Part. pass. almanaccato, anche come agg., complicato, lambiccato: sofisticherie almanaccate (Tommaseo).

https://civiltascomparse.wordpress.com/2014/12/31/dialogo-di-un-venditore-di-almanacchi-a-un-passeggere-con-tante-scuse-al-conte-giacomo-leopardi-da-recanati/

Se digitate su Google image “Biff Tannen” e “Back to the future” “Donald Trump” (e anche in italiano, “Ritorno al futuro” “Donald Trump”, “Trump plaza” “Pleasure paradise”) vedrete come questo meme sincromistico si sia già parecchio diffuso fino a uscire fuori soltanto digitando il nome di Biff Tannen e fino a sfiorare il mainstream. Persino su un giornale on line di sinistra come Carmilla gli effetti si sono fatti sentire.

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Poker d’assi WASP tra le due sponde atlantiche e appunti sparsi 12

george w bush, prince charles, george hw bush, prince philip
Poker d’assi WASP con la stessa aria di famiglia tra le due sponde dell’Atlantico: George HW Bush, prince Charles, George W Bush, prince Philip.

Mi viene in mente il modo di abbigliarsi di Jimmy Savile, quei suoi abiti glitter, quel suo essere eternamente swinging london, anche in modo “fantascientifico”, le sue Rolls Royce (somiglianti ai modellini che avrei voluto da bambino, quando vedevo le pubblicità sulla quarta di copertina dei giornaletti), il suo essere giovanile anche da vecchio, il suo permettersi di fare tutto ciò che volesse, tanto aveva le spalle coperte dai “poteri forti”, i filmati di Top of the pops degli anni sessanta, in quel bianco e nero molto televisivo, con quelle fonti di luci dello studio Tv che “sparavano” sullo schermo, e con Savile sempre circondato da teenager, anzi, anche meno che teenager. Quello spezzone, quando scende dalla Rolls borbottando fonemi incomprensibili, anche in inglese, canticchiando, e poi si accende il suo solito sigaro enorme, utilizzando uno Zippo altrettanto enorme. Per poi richiuderlo col solito scatto di quando si richiude lo Zippo. Quel suo sguardo stralunato, a petto nudo e coi boxer. Sempre vestito in modo eccentrico, magari anche con gli occhialini rotondi rossi. Modo di vestirmi swinging london o mod, tipico anni 60 british, Austin Power, l’epoca delle Mini dai colori sgargianti, col volante a sinistra, quel modo di vestirmi ce l’avevo, senza rendermene conto, quando frequentavo il liceo negli anni novanta, l’epoca delle “okkupazioni” durante il primissimo governo Berlusconi […]

Poi quegli articoli di Carmilla risalenti al 2003, quando c’era stata l’invasione angloamericana dell’Iraq. L’epoca di Bush figlio, Cheney, i NEOCONservatori, i Teocon italiani, Berlusconi visto come tra i più amici di tutto questo, le manifestazioni contro la guerra con la bandiera della pace dai colori arcobaleno, quando si appendevano le bandiere arcobaleno su tutti i balconi. Quando era diventato un business quello delle bandiere arcobaleno e si vendevano dai chioschi, come i palloncini e i panini fuori dagli stadi e dai luna park. C’era un’atmosfera dove i media tradizionali venivano ancora presi molto sul serio (anche da chi scrive), in cui Bush figlio, nel bene e nel male, era molto mediatizzato, della serie “si sparli di me purché se ne parli”, il governo degli USA era molto mediatizzato, anche solo per criticarlo. Erano anche i tempi dell’allora segretario ONU Kofi Annan, un individuo alquanto mediatico, una specie di Obama ante litteram, con quella specie di fascino che hanno le persone di colore importanti e mediatizzate. Come anche Martin Luther King, Nelson Mandela e altri.