Inizio questo testo ricordando la sensazione di disagio nel vedere, dentro a quello studio televisivo, dentro a uno di quei “talk show”, che l’unico individuo a non avere una faccia da culo era Walter Siti.
Gli altri invitati: avevano in faccia ciò che ora mi viene di definire “pragmatismo cinico-nichilista”.
Volevo scriverlo come commento, ma poi ho pensato fosse meglio di no.
Al di là di questo, quella conferenza del professor Siti alla cattedra, invitato da un’allieva se ho capito bene, è riuscita a mettermi in crisi.
Come al solito, i grandi nomi della letteratura mi mettono a disagio, soprattutto se vengono citati con nonchalance, quindi quelle loro citazioni non mi vedono coinvolto. So che Dostoevskji non l’ho mai letto e non lo leggerò mai. Eppure non mi sento affatto un barbaro ignorante anche se, sapendo ciò che non ho mai letto e non leggerò mai, qualcuno potrebbe giudicarmi come tale.
Poteva anche essere un obiettivo di quella conferenza quello di mettere in crisi. Nonostante le mie idiosincrasie verso la grande letteratura, coi suoi ‘nomi storici’ (e quindi il non riuscire proprio a essere in sintonia con il background culturale di Walter Siti), i suoi timori, nella seconda parte della sua prolusione, erano anche i miei.
Le sue critiche – più o meno velate – all’ “industria delle lettere” attuale erano anche le mie.
Però, ecco, una cosa su cui il professore non si è soffermato (forse perché non c’era tempo a disposizione?) è il fatto che, lo si voglia o no, il pensiero reticolare iper-testuale ha scompaginato tutto, così com’era ben annunciato, per dire, nel 1993-1994, quando – liceale da strapazzo ancora più sprovveduto e inadeguato di quanto (non) lo sia adesso – avevo timore di quelle cose là che ho detto prima, le quali si sarebbero dispiegate sempre di più nel trentennio successivo.
E tutte le piccinerie delle case editrici (nonostante “volessero fare le cose in grande”), da allora in poi, ci sono state perché, mi viene da dire ora, si sono accoppiate due dinamiche: le leggi del mercato e del marketing (il “far quadrare i conti”, il “far fruttare il capitale investito dagli azionisti”) e la scimmiottatura della storia letteraria del passato.
Anzi, più che della storia letteraria del passato, delle PRATICHE e dei MEZZI della storia letteraria del passato (recente, naturalmente.) Quindi l’IPO-TESTO su carta, con nome dell’autore e titolo. Inserito in una ben determinata Storia da tutti condivisa.
Va dunque distinta l’ALIENAZIONE generata dai paletti messi dalle leggi di marketing per ostacolare la creatività anarchica dalla fissazione con la letteratura del passato, fatta di ipo-testi non multimediali, inscritta in un discorso storico.
La letteratura che ha in mente il prof. Walter Siti, quella tradizionale, è, si libera, ambigua e fatta per non arruffianarsi il pubblico utilizzando le strategie e le tattiche di marketing delle case editrici guidate dagli editor, però, nello stesso momento, come ho detto, è indubbio che Siti la veda come IPO-TESTO, come HORTUS CONCLUSUS, agganciato alla storia della letteratura precedente.
Anche le migliaia e migliaia e migliaia di pagine del (citato in casi come questi) Marcel Proust, sono comunque un ipo-testo e non un iper-testo.
Se si abbatte in qualche modo l’alienazione dovuta alla prigione delle leggi del mercato capitalista e del marketing correlato, penso si sia risolto praticamente tutto ciò che riguarda la mancanza di libera creatività anarchica nell’arte, nella letteratura, nel cinema e persino nello sport e nei videogiochi.