Qui sopra la versione vaporwave del brano Danger Eyez di Tassony e BOOM BO riprodotta da un boombox della Samsung degli anni novanta.
Noi di Civiltà Scomparse abbiamo avuto modo di parlare in diverse occasioni di un particolare genere musicale – per adesso non ancora molto famoso in Italia – chiamato vaporwave, che di primo acchito la si potrebbe vedere come una specie di pop-music nostalgica del pop (del synthpop soprattutto) di trenta/trentacinque anni fa oppure la si potrebbe vedere come un MEME di internet visto che la vaporwave è parecchio presente per esempio su You Tube e i cartoni animati e le scritte giapponesi, le statue classiche, lo stile windows, i videogiochi vecchi e i palmizi della Florida nei colori del tramonto (che accompagnano la musica) sono diventati, da qualche anno, un qualcosa di così diffuso in rete da essere visto come un vero e proprio meme.
Una moda passeggera, qualcosa di estemporaneo quindi, replicato un eccessivo numero di volte…ma forse non è veramente così. Forse la vaporwave è qualcosa di talmente impalpabile, di così radicalmente nuovo anche – nonostante sia realizzata con materiale più che altro “nostalgico” – che è perciò molto facile fraintendere e soprattutto banalizzare. E’ comodo dunque vederla come una specie di moda memeiola di internet senza alcun futuro vero di fronte a sè, senza capacità alcuna di ulteriore evoluzione, qualcosa di auto-referenziale e adatto solo per i segaioli mentali di internet o per quelli che la vogliono prendere in giro modificando a piacimento la celebre copertina di Floral shoppe di Macintosh plus.
E invece a nostro parere non è così: la vaporwave non solo non è affatto un meme effimero e ha un futuro luminoso davanti ma ha anche dietro di se’ una sua storia rispettabile, che parte proprio da quegli anni ottanta così tanto utilizzati come materia prima da questo genere musicale (che non è solo un genere musicale ma anche un’estetica). Fu infatti verso la fine di quel decennio che un certo John Oswald, un canadese, inventò qualcosa da lui chiamato plunderphonic, basato su una teoria – da Oswald messa velocemente in pratica – secondo cui la stessa registrazione della musica poteva essere utilizzata come uno strumento musicale. Oswald affermava che la registrazione non solo serve per documentare un brano musicale e per diffonderlo a più persone possibile ma ha in sé anche una valenza creativa la quale si può manifestare utilizzando la registrazione proprio come uno strumento musicale. C’è da dire che, nel momento in cui Oswald enunciava la sua teoria nel 1985, i sample pre-registrati già cominciavano a essere massicciamente utilizzati nella musica electro pop, anche quella non di nicchia, anche quella che allora passava per radio.
A fine anni ottanta non esisteva manco l’ombra di un internet di massa e non esisteva nemmeno nessuna forma di “creative commons” e simili perciò le leggi del copyright erano spietate: dunque John Oswald, quando mise in pratica la sua teoria musicale utilizzando come strumento le registrazioni di The Great Pretender di Dolly Parton per creare un brano da lui intitolato Pretender, si vide presto piombare in casa gli ispettori del corrispettivo della SIAE del Canada i quali gli sequestrarono tutte le settantatre copie dell’album successivo, il quale era invece realizzato utilizzando le registrazioni di canzoni di Michael Jackson a quell’epoca trasmesse per radio, e quelle copie furono sequestrate proprio per conto della casa discografica che allora aveva sotto contratto Jackson.
Tutto questo per dire che la vaporwave può vantare nobili origini underground pre-internet e che ridurla a una moda internettiana da prendere in giro e da scimmiottare con i meme rallentando brani anni ottanta famosi non le fa onore.
Di più, lungi dall’essere qualcosa di episodico e passeggero come i più pensano, la sua evoluzione nel futuro potrebbe, anzi, portare a una rivoluzione completa della musica pop.
In questo articoletto https://civiltascomparse.wordpress.com/2017/04/29/ma-insomma-cosa-diavolo-e-questa-vaporwave/ scrivevamo ciò:
Ebbene, qui si è iniziato col classico, col modo classico di parlare di musica, anche quella più pop e contemporanea: gli album (magari definiti DISCHI addirittura!), gli artisti, le pubblicazioni, i rilasci, i generi, i sottogeneri, le recensioni, le riviste di musica ecc.
Tuttavia, la vaporwave, a nostro parere, va OLTRE tutto questo. La maggior parte della roba vaporwave (soprattutto quella più memica, il MEME vaporwave, quello dei rallentamenti dei brani del passato, ma non solo) non ha assolutamente nessun artista, nessun album alle spalle, sono tutti anonimi, con nickname. I titoli sul tubo (su You Tube) sono per una buona parte in giapponese e la parte non in giapponese è fatta con i caratteri, con il font vaporwave.
Tutto quello qui ora riportato ci risulta ancora piuttosto vero ma ciò che all’epoca non sapevamo ancora è che nonostante la vaporwave sia un nuovo genere che nasce da internet (Finalmente internet ha la sua musica qualcuno scrisse) è anche un genere che, pur utilizzando internet come uno strumento musicale, vuole anche in qualche modo uscire da internet.
In che senso diciamo questo?
Un po’ come la vaporwave non è nostalgica e vintage pur adoperando materiale nostalgico e vintage preso da internet, allo stesso modo, volendo uscire dall’ ON LINE verso l’OFF LINE, fa sì di tornare all’analogico attraverso le musicassette, registrando sui nastri delle musicassette i brani musicali realizzati utilizzando i download da internet.
E quindi effetto nostalgia anche questo? La solita mania retrò, “le musicassette come ai bei tempi”?!
Secondo noi no, secondo noi è così solo apparentemente. La cosa davvero innovativa, e che guarda proprio al futuro, è che la SPERSONALIZZAZIONE dei brani, degli album e delle innumerevoli proposte vaporwave già presenti su internet in generale e su You Tube in particolare, ebbene tale spersonalizzazione prosegue passando dall’on line all’off line, passando dal digitale all’analogico, anzi rendendosi in qualche modo ancora più manifesta portando dentro i nastri delle musicassette l’anonimato prodotto da internet.
Come già nella witch house (che molti già non ricordano più ma noi la ricordiamo benissimo), i miti pop basati sulla personalizzazione, sulle “star” – o comunque sui “nomi” – saltano per aria (forse perché vanno troppo veloci), autori e titoli sono spesso indicati con caratteri non leggibili – per gli occidentali – e così gran parte dei nomi dei brani: in queste musicassette attirano di più i colori, le immagini e scritte rispetto a ciò che questi colori, immagini e scritte vogliono significare, conta di più il significante del significato, anzì significato praticamente non ce n’è, c’è solo estetica, aesthetic, una condizione di (coloratissimo) sbiadimento dei ricordi, come una sovra-registrazione analogica sopra altre registrazioni analogiche precedenti, e questo ci fa ripensare a John Oswald e alla sua pratica di usare la registrazione come strumento musicale: un cerchio che dunque si chiude ma che anche si diffonde, come le onde – radio – concentriche di un sasso lanciato in una pozzanghera.
La “rivoluzione completa” della musica pop, di cui parlavamo prima, sarebbe quindi uno sviluppo delle cose che nei prossimi decenni potrebbe portare alla vaporizzazione dell’intera musica pop una volta che la miscela di velocità dei processi, internetizzazione del mondo e lontananza negli anni dei ricordi dei vecchi miti (vedere questo articolo) sarà giunta ormai a compimento.
Di seguito, il contenuto degli album su You Tube nelle varie musicassette presentate nel video qui sopra:
Dan Mason ダン·メイソン – Miami Virtual 2.0
bl00dwave : Distance
Aokigahara Online – Mori
Limousine – Wrestling Wave [Full Album]
3D BLAST : 3D: Die a Hero
Cobalt Road – Purgatory Full Album
Cape Coral : Slowed Midnight
Brat’ya : Nightwalker
LUXURY ELITE // SAINT PEPSI : LATE NIGHT DELIGHT
Carrellata di immagini di musicassette vaporwave:
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